KIRBY, DITKO, ADAMS E LIBERATORE ALLA PACIFIC COMICS

KIRBY, DITKO, ADAMS E LIBERATORE ALLA PACIFIC COMICS

Nel 1971, i fratelli californiani Steve, 17 anni, e Bill Schanes, 13, fondarono la Pacific Comics, una piccola società che vendeva fumetti per corrispondenza.
Le cose andarono talmente bene che nel 1974 la società iniziò a distribuire alle prime fumetterie della California. Ben presto i fratelli si accorsero che se fossero riusciti a evitare di passare attraverso i distributori avrebbero potuto incrementare notevolmente gli utili.

Contattarono direttamente la Marvel e la Dc proponendo alle due case editrici di comprare il materiale direttamente da loro senza passare dai distributori. Le due case editrici accettarono e gli Schanes si trovarono ad essere nello stesso tempo rivenditori e distributori. Questo accordo permise ai fratelli di realizzare un profitto del 40% sui nuovi fumetti invece del solito 20%, e di guadagnare ancora di più con i numeri arretrati.

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Verso la fine degli anni settanta la Pacific aveva la sede degli uffici in uno stabile di 700 metri quadri su Ronson Road a Kearny Mesa, un’area commerciale nel centro di San Diego. L’azienda, distribuendo fumetti a centinaia di nuove fumetterie che cominciavano a sorgere come funghi, incassava poco meno di un milione di dollari all’anno. Fu a questo punto che i fratelli ebbero l’idea di fare della Pacific Comics una casa editrice.
I fratelli Schanes erano rimasti in cuor loro degli appassionati di fumetti e da editori continuarono a ragionare da fans, chiamando a collaborare i loro idoli.

Steve Schanes ricorda: “Pensai  di attirare l’attenzione dei lettori con un nuovo fumetto. Con chi farlo se non con il re dei fumetti, Jack Kirby? Eravamo già amici di Jack. Gli mandavamo copie gratuite di fumetti che lui aveva disegnato perché i suoi editori non gliene avevano mai spedito uno! Così lo chiamai al telefono, fu molto gentile, completamente accessibile, un vero signore…”.
All’inizio degli anni ottanta i fratelli Shanes chiesero a Jack Kirby, che aveva lasciato i fumetti nel 1978, solo i diritti di pubblicazione, assicurandogli il mantenimento dei diritti d’autore.

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Fu quindi proprio la Pacific Comics a realizzare il sogno di una vita di King Kirby, pagando al re le royalty. Kirby realizzò per la neo casa editrice Captain Victory and the Galactic Rangers, che fu pubblicato bimestralmente a partire dall’agosto 1981. Gli Schanes preventivarono una tiratura di 25mila copie, ma il primo numero ne vendette 110mila.
In breve tempo, la Pacific attirò l’interesse di altri professionisti del fumetto, tra cui Mike Grell. Quest’ultimo aveva pronto Starslayer, un fumetto che sarebbe dovuto uscire per la Dc Comics, ma che era stato accantonato a causa della cosiddetta “implosione” che aveva portato alla cancellazione di una trentina di titoli della casa editrice.

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Ben presto si aggiunsero un promettente esordiente come Dave Stevens e alcune stelle affermate come Steve Ditko e Neal Adams. L’avventura durò quattro anni: esaltanti dal punto di vista creativo, non altrettanto da quello economico visto che la Pacific Comics dichiarò fallimento nel 1984.
Intervistato sui motivi del fallimento Steve Shanes rispose: “Eravamo diventati grandi troppo rapidamente. Avevamo due linee di attività: pubblicazione e distribuzione. La pubblicazione guadagnava bene, ma c’era un grosso problema nella distribuzione”.

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“Avevamo concesso troppo credito ai rivenditori delle fumetterie che ritardavano a dismisura i pagamenti. Non riuscimmo a esercitare su di loro la pressione necessaria per avere i nostri soldi e ci ritrovammo con uno scoperto di centinaia di migliaia di dollari. Se dovessi indicare il motivo principale per cui abbiamo fallito, non avrei esitazioni: la nostra scarsa capacità di gestione della liquidità dal lato della distribuzione”.

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Oggi rimane ancora molto della storia della Pacific Comics, non solo il fatto di avere aperto il mercato delle fumetterie, fino a quel momento praticamente inesistente. Soprattutto per aver dato vita a una dozzina di serie dove si respirava un’aria nuova e che contribuirono a determinare i cambiamenti del fumetto in quegli anni.
Con la Pacific Comics collaborarono alcuni degli autori più acclamati. Gli esiti furono alquanto vari: dal capolavoro alla sufficienza stiracchiata.
Vediamone alcuni da vicino.

 

Jack Kirby

La Pacific Comics nasce con Jack Kirby. I fratelli Schanes da intenditori di fumetti quali erano vollero subito il più grande. E il più grande creò per loro Captain Victory.
L’ultimo capitano di Kirby ha un sacco di detrattori, che lo citano come esempio di una diminuita abilità grafica dovuta a problemi di salute e di una ulteriore involuzione nella inventiva e nella forza dei dialoghi.
Kirby ci racconta qui il futuro dell’umanità come aveva fatto in passato. Prima con Thor, poi con i Nuovi Dei e gli Eterni, ora con Capitan Victory.

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Tutto si svolge su una scala epica, in uno spazio infinito dove c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Kirby scrive Capitan Victory come risposta a “Rendez vous con Rama” di Arthur Clarke, solo che, a differenza di Clarke, non pensa che gli alieni siano benevoli. Kirby pensa che quando un potere maggiore incontra una potenza minore, la seconda viene schiacciata.

Capitan Victory tratta anche della vittoria su noi stessi e sulla nostra natura animalesca e bellicosa. In una vignetta del fumetto sta scritto: “la vittoria è sacrificio”. Significa che vinceremo offrendo noi stessi per la vita dei nostri amici. La nostra forza sta nell’essere un gruppo, non individualisti solitari.

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Il motivo principale per amare Capitan Victory è la ricchezza e la profondità del personaggio. Questa è la prima volta che Kirby si è identificato completamente in un suo eroe. Il capitano condivide la sua filosofia riguardo lo scopo dell’umanità e la certezza che ci sia una vita dopo la morte. Per questo il personaggio ci appare vero. Si occupa di problemi reali, reagisce in modi sfumati e stratificati, cresce e impara.

 

Steve Ditko

Tutto si può dire salvo che Steve Ditko non abbia creato nel corso della sua carriera personaggi singolari. Spider-Man è strano e anche il Dr. Strange lo è. E che dire di Squirrel Girl, Question, Blue Beetle e Shade the Changing Man? Veramente strambi.
Missing Man, il personaggio che Ditko creò per la Pacific Comics è forse il più strano di tutti. The Missing Man è apparso principalmente sulle pagine nell’albo antologico Pacific Presents.

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Il numero uno inizia con due storie, Rocketeer di Dave Stevens, che era già apparso su Starslayer, e Missing Man, già apparso su Captain Victory. Il lettore si ritrova catapultato dentro due storie iniziate altrove. E a differenza della maggior parte dei supereroi non avremo mai un racconto sulle origini dell’Uomo Scomparso (Missing Man). Non abbiamo un’idea chiara di quali siano i suoi poteri, salvo diventare una specie di spaghetto vivente, e nemmeno il suo vero nome.

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Sappiamo solo che è un programmatore di computer capace di trasformarsi in Missing Man. Le prime due storie sono abbastanza consuete, la terza un po’ più originale, la quarta è puro Ditko.
Il cattivo è un mezzo robot che compie una serie di omicidi a causa di contraddizioni interne. La scena finale mostra una scazzottata tra una nuvola di lettere casuali fluttuanti, che assomiglia a un’opera d’arte astratta.
Una saga di supereroi incomprensibile, anche se realizzata da uno dei più grandi creatori di fumetti.

 

Neal Adams

Il grande Neal Adams collaborò con la Pacific Comics con Skateman, uno dei personaggi più denigrati della storia del fumetto.
L’esperto Don Markstein lo ha definito “uno degli eroi meno acclamati di tutti i tempi”. La Guida dei fumetti di Slings & Arrows si è chiesta retoricamente: “A cosa stava pensando Neal Adams?”. E nel gennaio 1991 i Worst Comics Awards di Kitchen Sink Press hanno classificato Skateman come il peggior fumetto degli ultimi 25 anni.

Non è finita, il letterista Tom Orzechowski ha affermato che Skateman è “noto nel settore come il peggior fumetto del mondo”. E il San Diego Reader ha scritto che Skateman ha fatto sembrare la supereroina Dazzler “come Proust, al confronto”. Il paragone con Dazzler ci sta solo perché entrambi calzano i pattini a rotelle.

Neal Adams stesso ha dovuto ammettere che si tratta di “un fumetto riprovevole”, giustificandosi con il fatto che era stato concepito come promozione di un film che poi non era mai stato girato.

Billy Moon è un appassionato di arti marziali e veterano del Vietnam che ha iniziato una carriera con i rollerblade. In seguito all’omicidio del suo migliore amico si avvolge una sciarpa intorno al viso e inizia a combattere il crimine.
Per quanto riguarda la parte grafica, Adams si limita a fare il compitino trascurando gli sfondi. Nonostante tutto, l’unico numero uscito vendette 70mila copie.

 

Dave Stevens

Dave Stevens era l’enfant prodige della Pacific Comics. Tra il 1975 e il 1976 aveva fatto l’assistente di Russ Manning sulla tavola domenicale di Tarzan. Poi aveva tentato invano di entrare nella Marvel e nella Dc. Nel 1981 fu contattato a una convention da Bill Schanes, che aveva appena pubblicato Captain Victory n. 1 e stava uscendo con Starslayer di Mike Grell, dove servivano sei pagine di riempitivo.


Bill Schanes chiese: “Puoi preparare due episodi?”, Dave Stevens rispose: “Sì”. Bill aggiunse: “Puoi proporci tutto quello che vuoi”.
Allora Stevens realizzò un disegno promozionale dove c’era già dentro tutto: Rocketeer con il suo costume, la bellissima Betty, l’aereo da esibizione, i cattivi che sparano e gente che muore.
I fratelli Schanes dissero: “Sembra fantastico, fallo. Non vediamo l’ora di vedere la storia”. Stevens non aveva idea di cosa avrebbe disegnato. Fu così che le prime undici tavole di The Rocketeer uscirono nel 1982 sul n. 2 e sul n. 3 di Starslayer.


Fu subito un successo e il personaggio venne trasferito su un albo antologico creato appositamente: Pacific Presents, dove gli vengono concesse 12 pagine in ogni numero.
In queste pagine risulta evidente la passione di Stevens per gli anni trenta e quaranta, tanto che molti lettori pensavano che Rocketeer fosse la versione a fumetti di un vecchio personaggio delle pulp, o almeno che Stevens fosse un uomo molto più anziano del ventenne che era.


Nella storia pubblicata sul n. 2 di Pacific Presents scopriamo un’altra delle passioni dell’autore: quella per Betty Page, la pin up degli anni cinquanta, resa da Stevens in tutto il suo splendore a pagina 8.
Il successo del fumetto determinò un revival di popolarità per Bettie Page, che Stevens scoprì vivere nell’anonimato vicino alla sua casa di North Hollywood. Divennero amici. Lui le pagò i diritti d’autore per averne usato l’immagine e l’aiutò a riscuotere altri diritti da chi aveva sfruttato le sue foto del passato. “Dopo anni trascorsi a fantasticare su questa donna, ora la sto portando a incassare un po’ di soldi”, commentò Stevens.

 

Mike Grell

Mike Grell aveva originariamente creato Starslayer per la Dc Comics, ma i progetti di pubblicazione furono sospesi dopo la cancellazione in massa di titoli DC avvenuta a fine anni settanta. Grell propose allora la serie alla neonata Pacific Comics, che la pubblicò per sei numeri nel 1982.
Il personaggio principale è Torin Mac Quillon, un guerriero celtico ai tempi dell’Impero romano. Poco prima di essere ucciso dai soldati romani viene trascinato in un lontano futuro da Tamara, una discendente di sua moglie dopo che, rimasta vedova, si era risposata.


A Torin viene chiesto di unirsi all’equipaggio dell’astronave Jolly Roger nella loro lotta contro il regime oppressivo che governa la Terra.
Devo ammettere di avere un debole per questa serie che non riesce a nascondere i suoi debiti verso il fumetto europeo. Il disegno di Grell è allo stesso tempo classico e innovativo, perfettamente in linea con l’estetica anni ottanta. Procede per splash page sapientemente costruite, alternate a tavole con vignette dalla impostazione dinamica e moderna.

Lo stesso Grell, divenuto in seguito celebre per il restyling di Green Arrow (Freccia Verde), ammette come Starslayer derivi dal suo eroe precedente per la Dc: Warlord. “Warlord è un personaggio moderno in una società primitiva: Starslayer presenta un barbaro celtico in un futuro lontano”.
L’autore ricorda le fatiche della creazione: “Ho dovuto creare un mondo intero, un universo di città scintillanti e pianeti lontani, popolato da eroi e cattivi per deliziare l’immaginazione. Una progressione infinita di modelli di fogli e studi sui personaggi, design di astronavi e armi scarabocchiate su buste e sacchetti di carta finché tutto ha funzionato e i personaggi hanno cominciato a vivere”.

 

Bernie Wrightson

Bernie Wrightson all’inizio degli anni settanta viveva a New York insieme al collega Mike Kaluta, in un condominio sulla West Seventy-Ninth, dove venivano organizzate feste alle quali partecipavano, tra gli altri, Vaughn Bodé, Steve Harper e Archie Goodwin. Erano ragazzi cresciuti con Creepy e Eerie, vissuti nel mito di Al Williamson, Frank Frazetta e Wally Wood. Un gruppo di hippies consapevoli che la golden age del fumetto era ormai finita da un pezzo, ma erano pieni di una meravigliosa nostalgia che cercavano di trasportare nei loro fumetti.


Wrightson disegnava con la sigaretta che gli penzolava dalla bocca, senza riferimenti fotografici sedeva con solo un mozzicone di matita e la sua immaginazione mentre lasciava fluire la magia.
I fratelli Schanes erano dei fan sfegatati di Wrightson, tanto che nel 1983 gli dedicarono un’intera collana: Berni Wrightson Master of the Macabre. L’iniziativa editoriale fu curata da Bruce Jones. Si tratta della ristampa delle prime storie dell’orrore di Wrightson per le riviste della Warren, appena fallita, che appaiono qui a colori per la prima volta.


La serie durò quattro numeri. Quando i fratelli Schanes gli chiesero di realizzare una copertina per la neonata rivista horror Twisted Tales, Wrightson, che in quel momento era completamente assorbito dalle illustrazioni di Frankenstein, chiese: “Quali sono le restrizioni?”. La loro risposta fu: “Nessuna”. “No”, continuò Wrightson, “intendo le restrizioni”. “Non ce ne sono”, ribadirono gli Schanes. “No, no” insistette, “voglio dire, cosa non posso disegnare?”. “Bernie”, risposero i fratelli spazientiti, “è una rivista dell’orrore, disegna quello che vuoi”.
Seguirono settimane di assoluto silenzio, poi un giorno arrivò un pacco che conteneva una copertine disturbante come poche altre pubblicate in precedenza.

 

Richard Corben

Tra gli artisti che i fratelli Schanes chiamarono alla loro corte non possiamo dimenticare Richard Corben. Un uomo il cui nome è idolatrato dalla maggior parte degli appassionati di fumetti horror. Un uomo che con la sola forza visiva delle sue opere ha saputo coniugare underground e mainstream.
Approfittando del fascino che evocava il suo nome venne lanciato il bimestrale antologico Twisted Tales. Nel primo numero, uscito nel novembre 1982, lo sceneggiatore e co-editor Bruce Jones forniva un’idea di quello che intendeva realizzare con questa rivista.


Voleva riprodurre, spiega, quel senso di meraviglioso stupore che aveva provato da bambino negli anni cinquanta leggendo i capolavori della Ec Comics. Quei fumetti horror sono l’ispirazione per questo albo, ma siamo negli anni ottanta e ci sono un sacco di cose da aggiornare. L’horror si è profondamente evoluto dai tempi in cui Al Feldstein ne aveva stabilito i parametri narrativi per la Ec, inoltre si è arricchito di una vena psicosessuale.

E Corben naturalmente non la ignora. Nell’episodio “Infected”, che possiamo annoverare tra i suoi capolavori, ci presenta, a partire da pagina 4, una delle sue splendide ragazze dal viso ingenuo e dal corpo provocante. L’uomo che l’accompagna si concentra subito sulle gambe ben tornite della ragazza, prestando poca attenzione alle sue parole. Solo dopo essersi sdraiato con la giovane scoprirà il suo terribile segreto, la sua “infezione”…

 

Tanino Liberatore

Ranxerox, il bizzarro antieroe di Stefano Tamburini e Tanino Liberatore che aveva sconvolto il fumetto italiano, apparve anni dopo sulle pagine della rivista Heavy Metal, nel luglio 1983. Il cyborg realizzato con le parti di una fotocopiatrice scartata diventò subito uno dei personaggi preferiti dai lettori della rivista dedicata al fumetto d’avanguardia. La fama di Tanino Liberatore e del suo disegno a tecnica mista eseguito “in un delirio di gessetti, pantone, matite grasse per il trucco, trucioli di gomma, nastri adesivi, fissatori e pennelli” oltrepassò l’atlantico e invase così gli States.

I fratelli Schanes lo trovarono perfetto per la loro antologia di horror moderno Twisted Tales. Sul n. 7 del marzo 1984 apparve un fumetto scritto dal solito Bruce Jones e illustrato da Tanino intitolato: “Shut in”. È un racconto tagliato su misura per le caratteristiche dell’artista marsicano. Si tratta di una storia di malsana depravazione dove una coppia di giovani decide di accoppiarsi di fronte a un vecchio costretto su una sedia a rotelle da un ictus che lo ha lasciato muto e paralizzato.

Il colpo di scena finale lascia a bocca aperta.
Per la realizzazione di questo episodio Liberatore abbandona lo stile iperrealista che lo ha reso famoso per uno stile più lineare che aveva già utilizzato sulle pagine di Cannibale in un fumetto scritto da Stefano Tamburini nel 1979: “Saturno contro la terra”.

 

Rand Holmes

Rand Holmes è stato un artista e illustratore canadese molto attivo nel mondo del fumetto underground. Una delle figure di riferimento in questo campo come Robert Crumb e Gilbert Shelton. Autodidatta, impara a disegnare ricopiando i disegni di Will Eisner e di Wally Wood. La sua personalità lo spinge verso l’underground, un mondo libero che non pone limiti alla creatività e alla trasgressione. Una pacchia per chi come Holmes è sempre pronto a provocare una società che dietro a una facciata linda e pulita nasconde il suo lato oscuro e sporco.


Nel 1968 lascia la moglie, il lavoro sicuro, il suo Canada e raggiunge una comune in California dove diventa un capellone per godersi la vita. Nel 1983 un fumetto da lui disegnato per il n. 5 di Twisted Tales, “Banjo lessons”, diventa un caso. A causa della natura di questa storia l’editor April Campbell si sente in dovere di scrivere un corposo editoriale per evitare le accuse di razzismo. Spiega che che pubblicare una storia con protagonisti razzisti non significa condividerne il pensiero, ma al contrario stigmatizzarlo.


Tutto questo non bastò ad evitare la reazione dei lettori. La storia era davvero disturbante, metteva in mostra comportamenti che andavano dalla violenza gratuita al cannibalismo. Cominciarono ad arrivare lettere dei proprietari delle fumetterie che si rifiutavano di vendere il n. 5 di Twisted Tales rispedendo tutte le copie indietro.

 

John Bolton

Oltre a Twisted Tales, che si ispirava agli albi horror della Ec, la Pacific Comics pubblicò un altra serie ispirata alla produzione di quegli anni. Stavolta il tema di fondo era la fantascienza: si chiamava Alien Worlds. Il primo numero usci nel dicembre 1982.
Era un albo bimestrale dove apparivano storie scritte dal solito Bruce Jones, maestro dei racconti brevi con colpo di scena finale.


L’impostazione generale era speculare a quella di Twisted Tales: la fantascienza anni cinquanta in una veste riveduta e aggiornata agli anni ottanta. L’aggiornamento consisteva soprattutto in massicce dosi di donnine poco vestite che avevano portato gli editori a mettere in copertina la dicitura: “Raccomandato a un pubblico adulto”.
Tra i grandi disegnatori che apparvero sulle pagine di Alien Worlds c’è John Bolton, uno degli autori della new wawe inglese del fumetto che emigrerà negli Usa, un fenomeno noto come British invasion.

John Bolton esordisce sul n. 5 di Alien Worlds nel dicembre del 1983, disegnando con il suo stile classicheggiante “Lip services”. Il tratto di Bolton, fortemente nostalgico, ricorda i grandi autori del passato. Dà il suo meglio nella realizzazione di creature ora bizzarre, ora terrifiche, ora sensuali, che sembrano prendere vita all’interno delle pagine.
In questo episodio la protagonista è una mantide religiosa, la cui storia di amore e cannibalismo sembra ripetersi tra gli umani…

 

 

3 commenti

  1. “Saturno contro la Terra” di Liberatore aveva uno stile meno realistico e “più lineare”? Ma se c’era andato giù di matite sfumate… Più che altro vedo delle somiglianze con Folly Bololy o Tiamottì o Locatto & Pistoletta, le altre sue storie “al tratto”, insomma.

  2. Bell’articolo, anche ben illustrato. Mi fa piacere che si parli un po’ del compianto Dave Stevens, un talentuoso disegnatore morto nel 2008 per una rara forma di leucemia, a soli 52 anni. Mi permetto di segnalare anche il film (che a me non dispiace affatto, anche se è stato un flop) tratto dal suo personaggio più noto, “Le avventure di Rocketeer” (The Rocketeer, 1991), con una deliziosa Jennifer Connelly.

  3. Articolo molto, molto interessante.

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