IL MAL D’AFRICA NEL FUMETTO DA PRATT A MANARA

IL MAL D’AFRICA NEL FUMETTO DA PRATT A MANARA

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Naturalmente agli scrittori anglosassoni o francofoni poco importava se l’Africa ha avuto da sempre una sua prolifica tradizione di narrativa orale, solo tardivamente raccolta per iscritto da studiosi come il tedesco Frobenius (1), quello che contava era che fosse uno scenario ancora abbastanza misterioso ed eccitante per i lettori avidi di emozioni. Così dai romanzi dell’ingleseHenry Rider Haggard(2), creatore del cacciatore biancoAllan Quatermain, a quelli dello statunitenseEdgar Rice Burroughs(3), autore del ciclo diTarzan, l’Africa è stata sfruttata anche come fonte d’ispirazione per una narrativa d’evasione che poco aveva a che fare con il vero volto di quel continente e in cui i suoi popoli, anziché essere mostrati obiettivamente e in primo piano, costituivano solo un elemento dello sfondo, insieme alle belve e alle “giungle” descritte sommariamente, quando non erano ridotti allo stereotipo del selvaggio antropofago. Solo a metà del Novecento, in un romanzo comeOrzowei(4), si poterono trovare descritti con più attenzione e cura usi e costumi di autentiche etnie africane, ma a discolpa almeno dei due scrittori nominati prima, che sono comunque tra i migliori esponenti del genere, si può dire che ciò che interessava loro non era tanto descrivere la vera Africa (in cui Haggard aveva trascorso alcuni anni in gioventù, mentre Burroughs non la conosceva per nulla), quanto usarla come ambientazione vagamente plausibile per le affascinanti avventure che scaturivano dalla loro fantasia. Narravano anche di ricche di città perdute, antichi tesori e popoli immaginari. Ancora ai primi del Novecento dell’Africa se ne sapeva abbastanza poco da poterla usare come terra di confine in cui tutto poteva accadere, in cui si immaginava di poter ancora incontrare dei mostri, come nelle zone delle antiche mappe contrassegnate dalla scrittaHic Sunt Leones, un confine che si è oggi spostato dalle profondità delle oscure foreste africane alle profondità dell’oscuro spazio esterno della fantascienza. Non a caso, i primi due fumetti propriamente avventurosi, entrambi ispirati a opere letterarie e diffusi contemporaneamente sui giornali statunitensi dal 1929, furono dedicati a questi due scenari dell’immaginario: la fantascienza dei viaggi spaziali di Buck Rogers e l’approssimativa Africa di Tarzan delle scimmie (5). Anche se le sue giungle piene di liane, di feroci gorilla rapitori di fanciulle, di creature preistoriche e colonie nascoste di popoli antichi, non aiutano certo a conoscere l’Africa per quello che è, l’originale Tarzan letterario di Edgar Rice Burroughs era un personaggio né semplice né scontato, combattuto tra il suo lato selvaggio sempre in agguato e quello faticosamente riconquistato di uomo civile, nonché conoscitore di molti popoli e lingue, esistenti e non. Un personaggio, insomma, dallo spessore ben più solido e intrigante rispetto alla maggior parte delle sue blande imitazioni di celluloide, che con disappunto del suo creatore ne diedero un’immagine insulsa e ingenua. Il Tarzan dei fumetti, per lo meno quello delle principali versioni statunitensi per i giornali quotidiani e in albo, riuscì a mantenersi fedele a quello dei romanzi, anche perché in entrambi i casi le sue prime storie disegnate costituirono un’accurata trasposizione delle sue avventure letterarie. Grazie anche alle grandi capacità grafiche del suo primo disegnatore, il canadeseHarold Rudolph Foster(fondatore dello stile realistico dei fumetti), il Tarzan disegnato fu da subito un successo, confermato dalla successiva interpretazione diBurne Hogarth. I due giovani orfani giramondo Tim e Spud, protagonisti della serieTim Tyler’s Luck(La Fortuna di Tim Tyler) diLyman Younge meglio noti in Italia comeCino e Franco(6), nel corso di un ciclo di storie realizzato con l’apporto sostanziale dell’allora giovane disegnatore Alex Raymond (7), si stabilirono in via definitiva nel Continente nero. Dopo l’avventura “La misteriosa fiamma della regina Loana”, ispirata (per non dire copiata) da un romanzo di Rider Haggard (8), i due ragazzi si arruolarono nella Pattuglia dell’Avorio, un corpo speciale della giungla, o meglio un distaccamento di polizia coloniale. Le popolazioni indigene non svolgono qui ruoli determinanti, se non quelli di possibile minaccia o di aiuto di bassa forza per i personaggi principali. Anche i capi di banditi o bracconieri sono europei, come se gli africani fossero bambinoni privi di astuzia e doti organizzative. Quest’ottica paternalistica delle nazioni che occupavano e sfruttavano l’Africa inizialmente influenzò le avventure dei due personaggi creati dall’impresario teatraleLee Falk:Mandrake the Magician(Mandrake il mago), disegnato dal 1934 dall’ex scenografoPhil Davis, eThe Phantom(“Il Fantasma”), disegnato dal 1936 da Ray Moore e conosciuto in Italia comeL’Uomo Mascherato(9). Nelle storie di Mandrake, il robustoLothar, principe di una nazione africana ma descritto sempre più come un muscoloso bonaccione, abbandona le responsabilità politiche (e le mogli che avrebbe dovuto sposare) preferendo girare il mondo al seguito del simpatico mago come una sorta di servitore. Phantom, le cui storie mescolano con disinvoltura scenari di diversi continenti che ricordano sia il Golfo del Bengala sia l’Africa Subsahariana, è un bianco che per tradizione di famiglia si assume il diritto-dovere di amministrare la giustizia nelle profonde foreste, lasciandosi adorare dagli indigeni come essere superiore e organizzando poi l’ennesima polizia della giungla in stile coloniale. Le storie dei due personaggi hanno una notevole carica di ironia e sono costruite in modo impeccabile, limitandosi a riflettere in buona fede i tempi in cui furono realizzate. Del resto, in epoca post-coloniale Falk fece dimostrare a Lothar una maggiore presenza di spirito, collocandolo su un piano di amicizia paritaria con Mandrake, e conferì un’autorità super partes a Phantom, trasformandolo in agente dell’Onu e mettendo a capo della sua polizia della giungla ufficiali africani. Di fatto l’Africa autentica non si trova nelle prime strisce avventurose americane (né, spostandosi in Belgio, nelle prime storie delTintindi Hergé, in cui oltretutto  l’approssimazione umoristica era ancora predominante sulla componente documentaristica). Per trovarla bisogna guardare agli autori di un Paese che, tra tragiche vicende belliche ed esagerati entusiasmi per la costituzione del cosiddetto Impero, visse le ultime avventure coloniali in terra africana, invadendo quei paesi non ancora occupati da altri stati europei. Ovviamente il paese in questione è l’Italia, che una porzione d’Africa finì per conoscerla direttamente, il che non si può dire degli autori delle strisce americane.Già quella che è considerata la prima serie a fumetti del nostro paese, apparsa sul Corriere dei Piccoli fin dal primo numero del 1908, aveva per protagonista un piccolo africano,Bilbolbul, a cui ne capitavano di tutti i colori, mentre le deliziose vignette diAttilio Mussinodavano forma concreta a ogni sorta di modi di dire metaforici riportati nelle didascalie in rima. Dopo il 1934, con la pubblicazione nel nostro paese delle prime strisce esotico-avventurose americane con tanto di nuvolette, apparse sul giornale a fumettiL’Avventurosoe in appendice a Topolino, per imitazione cominciarono a essere realizzate da autori italiani analoghe storie realistiche. Nel 1935, con l’inizio della campagna d’Etiopia, una delle ambientazioni preferite divenne proprio l’Africa. Così l’avventura coloniale invase anche i giornali per ragazzi, L’Avventuroso compreso, con gli autori nostrani condizionati dalla propaganda coloniale del fascismo. Accanto agli autori più vicini al regime, comeCaesar,CossiooVichi, ce ne furono altri, comeAlbertarelli,CapriolieMolino, che si limitavano a racconti genericamente patriottici, in cui gli Italiani insomma non potevano che fare bella figura. Una delle serie più imitate fu Cino e Franco di Lyman Young, che col suo ingenuo tono coloniale si prestava facilmente a essere rivisitata in chiave fascista. Uno dei suoi primi epigoni, se non il primo in assoluto, fu il racconto “I Due Tamburini”, con cui il grande sceneggiatoreFederico Pedrocchi(10) e il disegnatore di origini tedesche Kurt Caesar (sotto lo pseudonimo autarchico di Cesare Avai) esordirono nel 1935 sul settimanaleLa Risata, nato l’anno precedente come giornale umoristico e trasformato rapidamente in rivista avventurosa seguendo l’onda del successo delle strisce statunitensi. Quando poi, nel 1938, cominciò a essere proibita la pubblicazione dei fumetti stranieri (inizialmente eccetto Topolino), le storie di propaganda ambientate in Africa scalzarono quelle degli eroi americani anche nelle prime pagine a colori de L’Avventuroso. In una storia apparsa quello stesso anno sul Topolino giornale di Mondadori, “I Predatori del Guardafui”, Federico Pedrocchi e il disegnatore Rino Albertarelli raccontando di “pirati” somali che assalivano pacifiche navi italiane, ma avendo ambientato il racconto nella Somalia del 1918 sfuggivano agli elementi propagandistici più attuali. Al giovane Gianni, protagonista di questa storia, si aggiunse poi l’amico Gino, dando inizio alla serie diGino e Gianni, in pratica un’ennesima imitazione di Cino e Franco, realizzata però, grazie alle doti artistiche di Albertarelli, con maggiore accuratezza iconografica nel ricostruire gli ambienti naturali africani e le specie animali che li abitano.Dopo l’ingresso dell’Italia nella Seconda guerra mondiale anche in questa serie furono imposti elementi sempre maggiori di retorica. Intanto, intorno al 1937, un bambino veneziano di dieci anni di nomeUgo Prat(non ancoraHugo Pratt) si era trasferito in Africa con il padre, che aveva trovato lavoro. Ci restò cinque anni e, dopo il ritorno in Italia e la fine della guerra, iniziò ad esprimere la sua passione per l’avventura dedicandosi al fumetto. Quella che si può considerare la sua versione di Cino e Franco la realizzò in Argentina nel 1959, con la serieAnn y Dan, nota in Italia comeAnna nella giungla(11). Date le sue esperienze dei luoghi, è naturale che questa serie, ambientata poco prima della Prima guerra mondiale, abbia un fascino particolare, rispetto ai fumetti “africani” precedenti. La coppia di ragazzi è formata questa volta dalla giovane inglese Anna Livingston, figlia di un medico, e il giovane italiano Daniele Doria, appena sbarcato in Africa Orientale, mentre tra i comprimari troviamo il marinaio veneziano Luca Zane, protagonista dell’episodio “La Città Perduta di Ammon-Ra”, che sotto vari aspetti anticipa il successivo e più famoso Corto Maltese. Costumi e idiomi degli indigeni sono verosimili (anche Pratt non resiste alla tentazione di farli esprimere in veneto), per non parlare delle impeccabili divise coloniali, per le quali l’autore aveva un’autentica passione. Comunque anche in questa serie certi luoghi comuni dei precedenti fumetti avventurosi sono ancora abbastanza rispettati e i popoli africani che insorgono contro le autorità coloniali britanniche sono descritti come feroci selvaggi, svolgendo di fatto il ruolo dei cattivi della situazione. Ben diverso sarà l’approccio delle successive storie di Pratt, come gli episodi diCorto Malteseappartenenti al ciclo“Le Etiopiche”(12) , realizzato tra 1972 e 1973 ma ambientato in Arabia e Africa durante la Prima guerra mondiale, il cui titolo è lo stesso di una raccolta di poesie del senegalese Sédar Senghor (13), ma i cui contenuti si ispirano vagamente a un romanzo omonimo scritto nel III secolo d.C. dal greco Eliodoro di Emesa. Il romanzo mescola situazioni avventurose e sentimentali. Nel ciclo di Pratt, autore e protagonista non possono che simpatizzare con i popoli oppressi di turno che difendono la loro terra da invasori stranieri, nessuna delle parti in causa è più vista in modo ingenuo come del tutto “buona” o “cattiva” e nessuno deve necessariamente vincere o perdere. Anche l’amore contrastato tra due giovani, nell’episodio“E di Altri Romei e di Altre Giuliette”, è il mezzo per riconciliare due popoli nemici. In questo senso Corto Maltese si può considerare il punto di arrivo del percorso di maturazione narrativa iniziato da Pratt con Anna nella Jungla, dove alla fine inglesi e tedeschi, nonostante lo stato di guerra appena dichiarato tra i loro due paesi, sceglievano di lasciarsi da amici. Del resto, a sancire la fondamentale unità e coerenza della poetica di Pratt, nomi e volti dei personaggi di Anna nella giungla ritornano non solo nelle avventure africane di Corto Maltese, ma anche nel cicloGli Scorpioni del Deserto(14), pubblicato dal 1969, ennesima opera dell’autore ambientata in Africa, ma che questa volta si svolge in piena Seconda guerra mondiale, narrando in modo particolarmente realistico ed introspettivo le avventure di un gruppo speciale di soldati alleati.