I SOGNI NEI FUMETTI DA LITTLE NEMO A DYLAN DOG

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Quella del linguaggio astratto e razionale, delle parole insomma, diventerebbe invece dominante nella vita da adulti, o almeno in quella che conduciamo da svegli. Quindi, per dirla con il linguaggio psicanalitico, un linguaggio basato sulle immagini può essere particolarmente adatto a restare in contatto con la parte di noi che releghiamo nell’inconscio, quando ci distacchiamo dal nostro io infantile per indossare le nostre maschere di adulti razionali.Ogni fumetto è in fondo una storia immaginaria espressa più nel linguaggio dei sogni che in quello discorsivo o scritto della vita da svegli, non deve quindi stupire se fin dalle origini molti fumetti sono stati ambientati direttamente nel mondo dei sogni. Già un codice del XII secolo illustrava un sogno del re Enrico I d’Inghilterra, in cui delegazioni di contadini, cavalieri ed ecclesiastici, si lamentavano con lui nei propri rispettivi interessi. Una chiara manifestazione interiore dei problemi che possono assillare un governante, oggi come allora costretto a scegliere tra le esigenze dei molti che contano poco e quelle dei pochi che contano molto. Nell’antico codice le figure dei personaggi sognati invadono tutto lo spazio delle vignette, rivolgendosi al re che dorme. Invece, nelle opere di certi grandi disegnatori del Settecento e dell’Ottocento, come Rowlandson e Topffer, appaiono i precursori delle nuvolette del pensiero tipiche dei fumetti, solo che invece di parole contenevano i sogni dei personaggi addormentati; evidentemente era chiaro anche per questi autori che chi sogna pensa direttamente per immagini. Una “tavola a fumetti”, ambientata quasi del tutto in un sogno, fu pubblicata sul giornale comico unghereseFidibuszverso la fine dell’Ottocento, con il titolo “Sogno di una Governante Francese”. Mostra appunto una governante che fa fare pipì a un bambino contro un muro, ma il rivolo aumenta fino ad allagare la strada, in cui iniziano a navigare imbarcazioni sempre più grandi. Quando diventa un mare attraversato da transatlantici, la governante si sveglia e sente piangere il bambino, che evidentemente ha bisogno di essere cambiato.Il sogno disegnato fu inserito da Freud ne “L’Interpretazione dei sogni”, il saggio che nel 1899 segnò l’inizio della psicanalisi e delle esplorazioni dell’interiorità che hanno caratterizzato il Novecento. Freud usò quel “fumetto” per illustrare la sua teoria dei sogni basata sulla soddisfazione dei desideri (per poter dormire la governante si illude di risolvere la situazione in sogno, finché l’illusione non si fa insostenibile), ma il disegnatore aveva già capito tutto, nella sua modalità di pensiero visiva, senza bisogno di scrivere né di leggere, le 450 pagine del libro di Freud. Freud ha tentato di tradurre, nel linguaggio degli adulti e della veglia, conoscenze che il nostro io onirico sembra possedere da sempre, in una modalità di pensiero non verbale. È un peccato che “L’Interpretazione dei Sogni” non abbia contenuto altre pagine disegnate, ne avrebbero certo reso il contenuto più chiaro, e forse anche più corretto sotto certi aspetti, ma a parte le difficoltà pratiche, probabilmente l’esigenza di Freud era di mettere sotto controllo le pulsioni oniriche, più che di viverle abbandonandosi ad esse con gioia. La capacità d’immergersi nei sogni ed esprimersi nel loro linguaggio godendone i frutti, è una cosa più da artisti che da scienziati e, nei fumetti, questa esplorazione sarebbe stata intrapresa dal loro primo grande pioniere, Winsor McCay. La prima serie diWinsor McCaysui sogni fu“Dreams of the Rarebit Fiend”(Sogni del fanatico del Rarebit) (2), pubblicata a partire dal 1904 con lo pseudonimo diSilas. Ogni tavola illustra un incubo di un diverso personaggio, che si sveglia nell’ultima vignetta, proprio come la “governante francese”. Qui però i sogni sono provocati da indigestioni di Welsh Rarebit, un piatto tipico gallese a base di formaggio. Sono quasi sempre incubi terrificanti e la fantasia dell’autore si scatena nell’invenzione di situazioni folli. I sognatori sono minacciati, inseguiti, schiacciati, uccisi, fatti a pezzi, o comunque frustrati nelle loro aspirazioni, che anche quando sembrano realizzarsi alla fine si ritorcono contro di loro. Al di là del puro divertimento, si intravedono in questi sogni le insicurezze che l’uomo moderno nasconde sotto l’apparente tranquillità della vita borghese, tra residui di ipocrisie ottocentesche e innovazioni a cui stenta ad abituarsi (come pericoli ricorrono treni, tram, automobili e anche prodotti di bellezza). La zitella che fugge davanti a troppi spasimanti, o l’impiegato che rimpicciolisce di fronte al principale, manifestano le contraddizioni di chi rinuncia a realizzarsi perché non si sente all’altezza della situazione. Nonostante la somiglianza tra i suoi “sogni” e quello “della governante francese”, è difficile che McCay conoscesse il giornale Fidibusz o il libro di Freud, che all’inizio vendette solo poche centinaia di copie. Probabilmente, il risveglio dell’interesse verso i sogni era dovuto a una precisa necessità dell’uomo “civilizzato” che, dopo essersi disfatto troppo alla leggera del proprio “mondo magico”, cercava ora di ritrovarlo dentro di sé. Il capolavoro con cui McCay regalò al pubblico un mondo di sogni magici e solari è la serie“Little Nemo in Slumberland”(Piccolo Nemo nella Terra dei sogni) (3), iniziata nel 1905 e disegnata in un prezioso stile liberty, arricchito dalle grandi possibilità di colorazione di cui all’epoca soltanto il New York Herald poteva disporre. Il bambino protagonista, Nemo appunto, ogni volta sogna di viaggiare verso la principessa della terra dei sogni. Ogni volta il re Morfeo gli invia un diverso personaggio come guida, e ogni volta Nemo si sveglia, a fine pagina, prima di essere giunto a destinazione. Poi i sogni iniziano a svolgersi a puntate e, alla fine di ognuno di essi, il protagonista arriva sempre un po’ più vicino alla principessa, nonostante i sabotaggi dell’invidioso pagliaccio Flip. È significativo che Flip sia nipote dell’Aurora, quindi in relazione col mondo della veglia; infatti come molti suoi abitanti è avido, egoista, disonesto… e sciocco. Le puntate scorrono al ritmo di una pagina a settimana e dopo nove mesi Nemo raggiunge la principessa, ma non è un finale, è solo l’inizio di avventure sempre più fantastiche, come se quei nove mesi di gestazione lo avessero portato a una sorta di rinascita nel mondo dell’inconscio, dopo il travaglio iniziale. Perfino Flip diventa suo amico, in una ideale riconciliazione con la sua controparte negativa, e insieme ripartono continuamente verso nuove meraviglie. Anche se incontra sul suo cammino ostacoli bizzarri e spaventosi, dal palazzo di ghiaccio di Jack Frost alle selvagge Isole di Canditi e dalla Sala della Sbronza alla Terra delle Scimmie, il bambino riesce sempre a superarli, a differenza degli adulti fanatici del Rarebit, e, a differenza del libro di Freud, il successo di Little Nemo fu immediato. Ben presto ne fu tratto uno spettacolo di Broadway, oltre a ispirare la pubblicazione di album e cartoline a lui dedicate. Evidentemente nel piccolo Nemo era facile per tutti ritrovare quella parte del proprio io ancora simile a un bambino, che ha bisogno di cercare nei propri sogni una parte perduta di sé stesso. A questo proposito, è interessante notare che il nome del giovane eroe in latino significa Nessuno. Potrebbe essere ispirato a Ulisse (che disse di chiamarsi Nessuno) o al capitano Nemo, entrambi esplorarono territori considerati inaccessibili, navigando il primo fino agli Inferi e il secondo nelle profondità sottomarine. Analogamente il loro piccolo omonimo percorre luoghi nascosti sotto la soglia della coscienza, e del resto, proprio per questo tipo di corrispondenze, sia le acque che gli Inferi sono considerati simboli dell’inconscio. Inoltre “Nemo”, nel senso di Nessuno, potrebbe rappresentare un po’ tutti gli uomini qualunque, tipici cittadini della moderna società industriale, che all’inizio del Novecento in uffici e fabbriche cominciavano a sperimentare un sempre maggiore senso di alienazione, a cui reagirono proprio immergendosi in quelle fantasie che scrittori, cineasti e disegnatori presero a fornire loro in dosi sempre più massicce. Poiché nella finzione Nemo è nato nel 1900 (all’inizio ha cinque anni), Oreste Del Buono ipotizzò che rappresentasse proprio il XX secolo (4), l’epoca dei piccoli Nessuno insomma, di cui certe caratteristiche si intravedono già in alcuni dei sogni creati da McCay. In una sequenza, per esempio, Nemo deve ricorrere come unica speranza a dei colpi di bacchetta magica, per rendere più vivibili le povere condizioni degli abitanti di una baraccopoli. In un’altra intraprende un lungo viaggio in aerostato e visita, tra l’altro, un pianeta Marte “globalizzato” sotto un ferreo regime di proprietà privata, dove non si può parlare se non si hanno soldi per comprare le parole, né respirare se non ci si può pagare l’aria. Nel mondo dei sogni del 1910, il piccolo Nemo ha il buon senso di andarsene da lì, mentre da noi ci sono voluti quasi altri cento anni per cominciare ad accorgersi di quanto sia pericoloso stabilirsi definitivamente su quel pianeta. Dopo il viaggio su Marte, i successivi voli in aerostato di Nemo lo portano a visitare in sogno le meraviglie d’America, dal Parco di Yellowstone alle cascate del Niagara e da New York a Chicago, mentre gli elementi fantastici lasciano il posto a disegni minuziosi e realistici delle metropoli statunitensi. Apparentemente, avviandosi verso i dodici anni, e quindi alla pubertà, il personaggio sembrava cominciare a perdere la capacità di sognare sul serio, finché nel 1911 fu spodestato dalle pagine a colori del supplemento domenicale e, con una serie di tavole in bicromia relativamente semplici, incentrate su un fiore magico che dà la parola agli animali, la prima parte della saga di Nemo ebbe termine. Il motivo era che l’autore, già diviso tra altri impegni nei settori del nascente cartone animato e del music-hall, era passato a un editore concorrente, il potenteWilliam Randolph Hearst, che lo utilizzò soprattutto come illustratore e vignettista satirico, mentre per il New York Herald continuava a portare avanti soltanto la serie dei “Dreams of the Rarebit Fiend”. Dopo alcuni mesi, McCay riprese Little Nemo per il suo nuovo editore, con il titolo“In the Land of Wonderful Dreams”(Nella Terra dei sogni meravigliosi), ma questo secondo ciclo, nuovamente ambientato nel più fantasioso regno dei sogni e in cui il pagliaccio Flip aveva un ruolo predominante, durò meno di tre anni e nel 1914 la serie fu interrotta definitivamente. Prima della sua chiusura, i sogni di Nemo portarono lui e i suoi amici in altri luoghi incantati, come la città di Mamma Oca, l’isola nel cielo, la terra dei Lillipuziani e la terra degli antidiluviani. In quest’ultima avventura, McCay disegnò tra l’altro vari lucertoloni giganti, che anticipavano le fattezze di quello che sarebbe stato il suo successivo personaggio:Gertie il dinosauro. Il quale debuttò ufficialmente nel 1915, non nei fumetti ma nei cartoni animati. In seguito McCay si dedicò soprattutto ai film d’animazione, rinunciando a brevettare molte sue innovazioni per donare all’umanità una nuova forma di espressione che potesse essere usata a scopi educativi. I sogni su carta però non morirono. A parte un trascurabile tentativo di ripresa di Little Nemo negli anni trenta (5), a firma di un fantomatico R. Winsor McCay Junior, molti altri personaggi dei fumetti vissero intere avventure o parte di esse nel regno dell’inconscio.