I GRANDI DISEGNATORI DELLA GOLDEN AGE

I GRANDI DISEGNATORI DELLA GOLDEN AGE

L’età d’oro (in inglese Golden Age) dei comic book, gli albi a fumetti americani, inizia verso la fine degli anni trenta.
Si è soliti indicare come data di inizio il giugno del 1938, quando sulle pagine del n. 1 di Action Comics, un albo antologico di 64 pagine come tutti quelli dell’epoca, esordisce il personaggio che cambierà il volto del fumetto americano: Superman.

Ci vollero quattro mesi perché il pubblico si accorgesse che qualcosa di interessante era nato, ma quando questo accadde il successo sarà improvviso e grande, facendo salire rapidamente sino a 500mila le copie vendute ogni mese, per arrivare, nel giro di due anni, a superare il milione.

Il successo di Superman fu anche il successo dei comic book: un nuovo mercato si era aperto, la domanda era in continua crescita e bisognava inventarsi un intero settore produttivo.
Il processo creativo si concentrò intorno ad alcuni grandi studi di autori che consegnavano i fumetti completi agli editori, che sarebbero poi stati stampati e distribuiti nelle edicole.

I GRANDI DISEGNATORI DELLA GOLDEN AGE
Il primo destinato specificamente alla fornitura di fumetti fu lo Studio Chelser di New York, che ebbe tra i suoi disegnatori di punta Charles Biro, Irv Novick e Jack Cole. I disegnatori venivano pagati venti dollari a settimana per produrre da quattro a cinque pagine di fumetti.

Il secondo ad aprire fu lo Studio Iger e Eisner, che in breve tempo raggiunse i quindici dipendenti. Il primo fu Bob Kane (futuro creatore di Batman), presto seguito dai giovani Lou Fine, Jack Kirby, Bob Powell, Joe Simon, Mort Meskin, Nick Viscardi, Klaus Nordling, Bob Powell e George Tuska.

Nella graphic novel autobiografica The Dreamer, Will Eisner ha descritto il funzionamento di uno studio di quell’epoca. Si partiva da una sceneggiatura più o meno elaborata scritta dallo stesso Eisner, da Toni Blum o Bob Powell, seguiva l’elaborazione del layout di ogni pagina del racconto che il più delle volte era eseguito sempre da Eisner, poi venivano le matite, il lettering e infine l’inchiostrazione.
Era un lavoro di gruppo che in alcuni momenti assomigliava a una catena di montaggio.

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Il terzo grande studio fu quello di Lloyd Jacquet, il Funnies Inc., situato sulla 45sima Strada di New York, città in cui erano localizzate tutte le redazioni degli editori di fumetti e quindi anche gli studi.

Tra i suoi collaboratori c’erano Carl Burgos e Bill Everett. Uno dei suoi primi clienti fu Martin Goodman, un editore di pulp che Jaquet aveva convinto ad avventurarsi nella pubblicazione di albi a fumetti. Lo studio realizzò l’intero n. 1 di Marvel Comics (novembre 1939), dove esordirono la Torcia Umana disegnata da Carl Burgos e il Sub-Mariner di Bill Everett.

I più importanti disegnatori lavorarono fianco a fianco in studi del genere dove realizzarono, attraverso il lavoro d’equipe, storie che sono diventate capisaldi del genere.
Ricordiamo alcuni dei disegnatori più interessanti dell’inizio della Golden Age, tra gli ultimi anni trenta e i primi dei quaranta.

 

“Superman”, Action Comics n. 1 – Giugno 1938 (Joe Shuster)

Diciamo la verità, in un epoca in cui le strisce giornaliere e la tavole domenicali dei quotidiani americani proponevano disegnatori come Hal Foster, Alex Raymond e Burne Hogart, le approssimative e sbilenche vignette di Joe Shuster non dovettero fare molta impressione.

I comic book erano all’inizio, i disegnatori stavano ancora cercando la loro strada. Scelsero di utilizzare un disegno a metà strada tra quello realistico delle strisce degli anni trenta e quello “cartoonesco” delle strisce degli anni venti, che avevano letto da bambini.

Questa via di mezzo permise loro di trovare un soddisfacente punto di equilibrio tra le esigenze di velocità produttiva e quelle di qualità realizzativa: non avevano i soldi per scattare foto ai modelli in posa e il disegno stilizzato permetteva di passare sopra agli errori anatomici.

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Chi lesse queste fatidiche 13 pagine del primo episodio di Superman, che raccontano di un bambino alieno infilato in una capsula spaziale dai genitori destinati a morire col loro pianeta, che raggiunge la Terra, viene adottato e crescendo scopre di avere dei superpoteri, non dovette concentrarsi troppo sui disegni.
Rimane nella memoria collettiva l’iconica copertina dove il gigante d’acciaio solleva un’auto De Soto del 1937.

 

“Sheena, Queen of the Jungle”, Jumbo Comics n. 1 – Settembre 1938 (Mort Meskin)

Il primo lavoro pubblicato di Mort Meskin è la storia che ha introdotto e raccontato l’origine di Sheena, la regina della giungla, la prima protagonista femminile nella storia  dei comic book.

Tutto ciò avvenne su Jumbo Comics n. 1, prodotto nel 1938 sotto gli auspici dello Studio Eisner e Iger. I due titolari, Will Eisner e Jerry Iger, hanno sempre discusso su chi avesse effettivamente scritto la sceneggiatura, ma l’artwork è puro Meskin, anche se doveva ancora sviluppare completamente il suo stile distintivo.

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L’influenza predominante è quella del Noel Sickles della striscia Scorchy Smith, con le sue silhouette, le sue ombre profonde e l’uso preponderante del pennello rispetto al pennino. Come una pagina domenicale di Scorchy Smith, sono strutturate le cinque pagine dell’esordio di Sheena.

Ogni pagina inizia con la scritta “Sheena – Regina della giungla” e lo pseudonimo W. Morgan Thomas, mentre nell’ultima vignetta c’è la firma di Meskin. Ogni tavola si conclude con un colpo di scena che viene ripreso nella successiva. Evidentemente erano state realizzate così per essere proposte agli inserti domenicali dei quotidiani, e solo come ripiego sono poi uscite nel formato comic book.

 

“The Bat-Man, The Case of the Chemical Syndicate”, Detective Comics n. 27 – Maggio 1939 (Bob Kane)

Se Joe Shuster abbandonò le matite di Superman dopo soli 24 numeri, Bob Kane non si sa ancora quanti numeri di Batman abbia effettivamente disegnato.
La realizzazione di un comic book era un lavoro di gruppo del quale poi una sola persona si prendeva tutti i meriti, in genere il disegnatore che faceva le matite. Batman però era un caso particolare, dato che Bob Kane firmava come Walt Disney anche i lavori fatti completamente da altri.

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È inoltre assodato che Kane avesse avuto dei collaboratori che gli scrivevano i testi fin dal primo numero, il più importante dei quali era Bill Finger.

Lo stile di Kane nei primi numeri è riconoscibile soprattutto per la quantità di immagini che copia quasi integralmente da Raymond e Foster, rendendole con una tecnica stilizzata che si ispira a Chester Gould, l’autore di Dick Tracy.

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Persino la mitica copertina del n. 27 di Detective Comics è presa da Flash Gordon, del quale Kane ricalca la posizione del corpo, l’angolo della testa e il braccio destro.
Anche in questo caso, però, la forza del personaggio era tale che i lettori passarono sopra le mancanze del disegno.

 

“The Human Torch”, Marvel Comics n. 1 – Ottobre 1939 (Carl Burgos)

Carl Burgos aveva 21 anni quando creò la Torcia Umana, ed era un tipo piuttosto irrequieto. Aveva lasciato la National Academy of Design lamentandosi della lentezza con cui insegnavano disegno. Trovò lavoro insieme a Bill Everett alla Funny Inc.

Un giorno i due si sedettero ai tavolini di un bar di Manhattan e misero a punto i loro piani per creare nuovi personaggi dei fumetti. Ovviamente, visto l’enorme successo di Superman, avrebbero dovuto essere dei supereroi. Scelsero due principi fondamentali: il fuoco e l’acqua. A Burgos toccò il fuoco.
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Creò un androide capace di infiammarsi chiamato Torcia Umana. I disegni sono grezzi e privi di grazia, in compenso la storia è piena di verve. Burgos suddivide le 16 pagine di questo episodio in piccole vignette dando all’azione un ritmo incalzante.
Il rosso sfolgorante del corpo della Torcia contrasta con tutto quello che gli sta attorno.

 

“The Sub-Mariner”, Marvel Comics n. 1 – Ottobre 1939 (Bill Everett)

Bill Everett era un talento molto superiore a Carl Burgos. Pure lui era un giovane irrequieto e arrabbiato che trovava pace solo nell’alcol e nelle sigarette. Forse inconsciamente prese a modello se stesso per creare il personaggio di Namor il Sub-Mariner, il primo antieroe dei fumetti.

Superman e Namor rappresentano fin dall’inizio le differenze esistenti tra le case editrici che li pubblicano. Sempre positiva la Dc Comics, sempre tormentata la Marvel.

I supereroi con super-problemi non sono un’invenzione di Stan Lee, ma di Bill Everett e il primo di tutti è proprio Sub-Mariner. Namor è un personaggio romantico, il nome stesso Sub-Mariner è un omaggio al poema del poeta Samuel Coleridge “La ballata del vecchio marinaio”.

Everett non confeziona nessun costume per Sub-Mariner, ma lo caratterizza fortemente nell’aspetto: le sue sopracciglia arcuate, le orecchie da elfo e l’attaccatura dei capelli lo rendono unico.

 

“Introducing Captain Marvel”, Whiz Comics n. 2 – Febbraio 1940 (Charles Clarence Beck)

La genialità nell’idea base di Captain Marvel stava nell’essere l’alter ego del giovane Billy Batson: un orfano intelligente e curioso a cui piaceva indagare sui misteri, e che finiva sempre per mettersi in pericolo. Per sua fortuna pronunciando la parola “Shazam” si trasformava in un essere potentissimo.

Per ogni bambino che leggeva fumetti di supereroi era un sogno che diventava realtà. Capitan Marvel divenne il più popolare supereroe degli anni quaranta. Sfortunatamente per la casa editrice Fawcett, la Dc Comics, vide in Capitan Marvel, una violazione del copyright in quanto il costume attillato con mantello, invulnerabilità, super forza e capacità di volare lo rendevano troppo simile a Superman.

Non aiutarono lo stile del disegnatore C.C. Beck, simile a quello di Joe Shuster, il viso di Capitan Marvel con ciuffo e mascellone squadrato e il fatto che sulla copertina del primo episodio, come in Superman, ci sia una De Soto del 1937. Perse la causa e  dovette chiudere.

 

“The Black Condor”, Crack Comics n. 5 – Settembre 1940 (Lou Fine)

Lou Fine era il disegnatore preferito di Jack Kirby, che si considerava un suo allievo. Questo dovrebbe bastare a stabilirne la statura: un genio del disegno che influenzò un’intera generazione di fumettisti.

La storia di Black Condor in Crack Comics n. 5, pubblicata dalla Quality Comics, è un esempio spettacolare delle capacità di questo disegnatore al suo meglio. Il magnifico lavoro di Fine sulle copertine di diverse riviste della Golden Age è ancora oggi talmente ricercato dai collezionisti che spesso si tende a sottovalutare il suo contributo alle storie nelle pagine interne.

In questa storia affascina, nella prima pagina, l’immagine di un uomo volante che si staglia leggero nel cielo, le braccia aperte e la testa ritta in una posa dal sapore leonardesco.

Il personaggio di Black Condor era stato creato da Lou Fine e Will Eisner l’anno prima, ed era essenzialmente una versione volante di Tarzan. Dopo l’uccisione dei suoi genitori era stato allevato da un condor che gli aveva insegnato i segreti del volo. Nessun limite alla fantasia durante i primi anni della Golden Age.

 

“Meet Captain America”, Captain America Comics n.1 – Marzo 1941 (Jack Kirby)

Durante gli anni quaranta Jack Kirby faceva coppia fissa con Joe Simon. Insieme i due concepirono Capitan America, un eroe volutamente “politico”: data l’aggressività espansionistica della Germania nazista bisognava fare uscire gli Stati Uniti dalla neutralità.

Joe Simon propose il personaggio all’editore Martin Goodman, che lo trovò così buono da affidargli una testata tutta sua sin dall’inizio: all’epoca, in cui lo standard era rappresentato dagli albi antologici, era un evento raro.

Simon, non pensava che Kirby potesse disegnare tutte le pagine necessarie ad approntare il primo numero nel poco tempo a disposizione cosicché chiese l’aiuto di due disegnatori free lance. Kirby però si infuriò, assicurando di poterlo disegnare tutto da solo. E lo fece.

A cominciare dalla iconica copertina con Capitan America che sferra un pugno in piena faccia ad Adolf Hitler. Kirby è già il più dinamico di tutti i suoi colleghi.

 

“The Origin of Plastic Man”, Police Comics n. 1 – Agosto 1941 (Jack Cole)

Il nome di Jack Cole è abitualmente associato a quello del suo personaggio più famoso: Plastic Man. Non si tratta di un fumetto qualsiasi, bensì, secondo Art Spiegelman della «incarnazione stessa del fumetto supereroistico: con la sua esuberante energia, l’elasticità, la sua eterna fanciullezza e la sua, in parte sublimata, sessualità».
In questo primo episodio il disegno è già pop che più pop non si può.

Non solo la cura maniacale, quasi da miniaturista medievale, del tratto, ma anche i continui e arditi cambi di inquadratura, e l’enfatizzazione grafica dei balloon sono fra le tecniche utilizzate da Jack Cole per rendere più avvincente una storia dove già Plastic man si esibisce in una decina di forme diverse.

Il supereroe che combatte il crimine con la capacità di trasformare il suo corpo in qualsiasi forma immaginabile diventa da subito il portabandiera di un’arte dai più considerata di serie B ma che ha già la consapevolezza di essere in serie A.

 

“Wonder Woman Arrives in Man’s World”, Sensation Comics n. 1 – Gennaio 1942 (Harry G. Peter)

Harry G. Peter, il primo disegnatore di Wonder Woman, non faceva parte della generazione dei giovani artisti che inventarono i comic book, tutti nati negli anni dieci: quando uscì il primo numero di Sensation Comics aveva già passato i sessanta.

Lui e lo psichiatra William Moulton Marston, l’autore dei testi, erano coetanei e entrambi sostenitori delle suffragette, le femministe d’inizio Novecento. Marston teneva conferenze a favore dell’uguaglianza delle donne e Peter disegnava vignette editoriali per le riviste di sostegno.

Insieme nel 1942 crearono quella che sarebbe diventata la più famosa eroina della storia del fumetto americano.

Lo stile di Peter, che ricorda quello pre-realistico di Roy Crane, è molto dinamico. Peter diede a Wonder Woman l’aspetto di una perfetta pin-up con tiara dorata, bustino rosso, gonnellina blu e stivali di pelle rossi al ginocchio. Era un po’ fetish, una vera mistress.

 

“Captain Marvel Jr.”, Master Comics n. 23 – Febbraio 1942 (Mac Raboy)

Mac Raboy è stato uno dei più grandi fumettisti americani. Il suo stile prezioso lo distingueva dagli altri disegnatori della Golden Age.
Quando lo sceneggiatore Ed Herron propose alla casa editrice Fawcett di sfruttare la grande popolarità di Capitan Marvel facendo uscire uno spin-off con le avventure di un eroe ragazzino chiamato Capitan Marvel Jr., suggerì Mac Raboy come disegnatore poiché con il suo stile realistico si sarebbe differenziato molto da quello stilizzato di C.C. Beck.

Mac Raboy era fortemente influenzato da Alex Raymond, che imitava nell’uso delle sfumature e nell’accurata disposizione degli spazi neri.

Il lavoro di Raboy su Captain Marvel Jr riesce a trovare un perfetto equilibrio tra il dramma e il dinamismo necessari per il genere dei supereroi e la visione più scanzonata e idealizzata di un adolescente che prende a pugni i nazisti tutto il tempo. Raboy diede al suo eroe un aspetto così distintivo che il giovane Elvis Presley, suo appassionato lettore, aveva modellato la propria pettinatura su di lui.

 

“Airboy”, Air Fighters Comics n. 2 – Dicembre 1942 (Charles Biro)

Il secondo numero di Air Fighters Comics sarebbe diventato il più famoso di tutti quelli pubblicati dalla Hillman Periodicals. Qui esordiscono l’eroe dell’aviazione Airboy e il suo caratteristico aereo ad ali di pipistrello Birdie.

Il personaggio fu creato, scritto e disegnato da Charles Biro, autore dalla forte personalità e dalle idee chiare.
Biro rinnovò il linguaggio un po’ letterario dei comics dell’epoca, introducendo dialoghi realistici e il gergo di strada.

Il suo approccio era quasi documentaristico: inquadrature medie all’altezza degli occhi, poche angolazioni, movimenti minimi e sfondi cupi.
Biro amava dedicarsi alle copertine, che realizzava in uno stile realistico che ricordava quello dell’artista espressionista tedesco George Grosz, con volti pieno di porri, denti storti e altre imperfezioni.
Firmava ogni copertina con un pennello di zibellino numero 5 in lettere così grandi da competere quasi con il titolo dell’albo.

 

 

 

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