I 10 MIGLIORI FUMETTI ITALIANI DEGLI ANNI ’60

Il nostro buon Sauro Pennacchioli (a soreta – NdR) ha sostenuto, sulla sua vecchia rubrica della posta di Giornale POP, intitolata in quel caso “Che palle gli anni settanta”, che i sessanta furono il decennio aureo del fumetto italiano. L’affermazione, pur condivisibile da vari punti di vista, necessita di qualche precisazione.
Gli anni sessanta sono gli anni della contestazione, del ribellismo, della rivoluzione. E questo vento di rivolta inizia a soffiare quasi da subito. Anche una storia apparentemente avventurosa di Tex come “Sangue navajo” nasconde la metafora di una rivolta contro l’establishment.
Non parliamo poi della comparsa sulla scena di Diabolik e degli altri personaggi “neri”, vero e proprio oltraggio all’ordine costituito. Per arrivare fino a Isabella e alla grande diffusione del fumetto erotico. Da questo punto di vista gli anni sessanta furono davvero unici.
Tutto era nuovo rispetto al passato, si abbattevano tabù e si cercavano strade mai percorse prima. Questo atteggiamento di fondo contribuì non poco alla creazione di alcuni capolavori fumettistici che sono rimasti nel tempo. Ne ricordiamo qui dieci tra i più significativi, elencati in ordine puramente cronologico.
Tex – Sangue navajo (1961)
Le avventure del ranger più carismatico dei fumetti erano iniziate nel 1948, quando spopolavano gli economici albi a strisce e quel formato sarebbe continuato a uscire per circa vent’anni. Dopo un lungo periodo di assestamento inizia nel 1961 l’età aurea di Tex.
È una Golden Age che si protrarrà per altri vent’anni, terminando nel 1980 con l’ultimo capolavoro di Gian Luigi Bonelli (anche se ormai assistito da tempo dal figlio Sergio), ovvero “Gli eroi di Devil Pass”. Questo periodo inizia con “Sangue navajo”, una delle storie più belle della serie.

Alcuni giovani nativi navajo vengono massacrati dai passeggeri di un treno. Tex esige giustizia mentre l’esercito invade la riserva. Consapevole che una ritorsione armata provocherebbe morte e lutti, il ranger mette in atto tattiche di guerriglia per tenere in scacco i militari senza versare una sola goccia di sangue.
Con l’aiuto del giornalista Martin Floyd, Tex riuscirà ad avere dalla propria parte l’opinione pubblica e a ottenere giustizia per i navajo. Una storia tra le più amate di sempre, con un Galep che ha ormai raggiunto la piena maturità espressiva e un Gian Luigi Bonelli che mette la sua prosa potente e diretta al servizio di una trama avvincente.
Zagor – Sulle orme di Titan (1963)
Zagor è un personaggio creato nel 1961 da Sergio Bonelli (sotto lo pseudonimo di Guido Nolitta) con il fondamentale apporto del non solo disegnatore Gallieno Ferri. Fino al 1962 viene realizzato completamente (sia per i testi che per i disegni) dal Ferri, mentre dal 1962 al 1963 subentra Gian Luigi Bonelli ai testi che lo trasforma quasi in una copia di Tex. Con l’episodio “Tragedia nella palude”, del 26 maggio 1963, Sergio Bonelli prende in mano i testi e fa spiccare il volo al personaggio.
Nella storia “Sulle orme di Titan” fa la sua prima storica apparizione il nemico zagoriano per eccellenza: lo scienziato pazzo Hellingen. Nolitta ripescò quello che diventerà uno dei personaggi più amati dai lettori dalle sue letture giovanili e in particolare da “Virus” di Federico Pedrocchi e Walter Molino (un fumetto di fantascienza del 1939), sia per la personalità del protagonista sia per l’aspetto fisico.

Qui forse Hellingen non possiede ancora tutto quel carisma che acquisirà nelle storie successive, ma appare già come un nemico diverso rispetto agli avversari più “realistici” finora affrontati. Si parte con un siparietto comico che ha come protagonista Cico. L’episodio vero e proprio inizia in modo da sembrare una classica storia western con indiani e soldati.
Poi tutto cambia, pian piano prende corpo una sensazione di pericolo incombente che ha il suo culmine nell’apparizione del gigantesco automa: Titan. Si apprezza già la capacità di Sergio Bonelli di caricare di pathos anche le situazioni apparentemente normali.
Valentina – La curva di Lesmo (1965)
Se gli episodi che abbiamo visto finora si possono considerare ottimi prodotti realizzati nel solco di una tradizione che vedeva nel fumetto soprattutto una forma di intrattenimento per giovani e giovanissimi, con Valentina le cose cambiano. Dopo che nel suo saggio “Apocalittici e integrati” (1964) Umberto Eco aveva sancito l’ingresso nel mondo della cultura Superman, Steve Canyon e Charlie Brown, il fumetto non fu più lo stesso.
Nell’aprile del 1965 era nata Linus, rivista antologica di fumetti destinata a un pubblico adulto, grazie anche alla collaborazione di Eco. Sul n. 2 apparvero le prime tre pagine di un racconto che avrebbe cambiato parte del fumetto italiano: “La curva di Lesmo” di Guido Crepax. Crepax è un giovane illustratore diventato famoso per la sua campagna pubblicitaria della Shell, oltre che un appassionato di fumetti.

“La curva di Lesmo” inizia con una sparatoria tra gangster, un classico del cinema americano. Ma lo sguardo di Crepax ai gangster americani è lo stesso dei “giovani turchi” della nouvelle vague francese, che guardavano al cinema di Oltreatlantico come a un enorme scatolone pieno di luoghi comuni da rielaborare e ricontestualizzare.
Valentina arriva solo a pagina 8 e si capisce subito che è lei la diva, anche se all’inizio era destinata a un ruolo secondario. Con due intensi primi piani ravvicinati sugli occhi e sulle labbra, Crepax la proietta nell’immaginario erotico degli italiani colti.
Si tratta di un fumetto di una modernità sconcertante, soprattutto per quello che riguarda l’impostazione della pagina. Le tavole di Guido Crepax appaiono come intricati reticoli di trame ortogonali e soluzioni stravaganti, che ricordano, retaggio forse della sua formazione di architetto, piantine di bizzarre abitazioni.
Satanik – Il ritratto di Alex Bey (1965)
Prima di Linus, la vera rivoluzione del fumetto italiano era stata compiuta dai neri. Con Diabolik, Angela Giussani avevano creato nel 1962 un personaggio anticonvenzionale che rappresentava lo spirito dei tempi. Il successo del criminale in calzamaglia fece nascere una lunga serie di imitatori, attestando l’affermazione dei fumetti neri.
Tra questi uno dei più originali fu senza dubbio Satanik di Max Bunker e Magnus (1964). Nell’italia del boom economico dovette essere scioccante assistere alle imprese di una rossa voluttuosa che compiva azioni impensabili per gli standard fumettistici allora imperanti. Ammazza i malcapitati che incrociano la sua strada… Va a letto con chiunque, purché danaroso… Non si tira indietro di fronte al ricatto, all’estorsione o persino all’uccisione dei propri famigliari…

Il personaggio di Satanik era dotato di una crudeltà affascinante e si attirò un sacco di denunce. Luciano Secchi (alias Max Bunker) intuì bene le potenzialità espressive, narrative ed editoriali della trasgressione e scrisse storie memorabili grazie alla potente resa grafica di Roberto Raviola (Magnus), storie contrassegnate da un mix di noir, thriller, horror ed erotismo.
Tra le sue storie più belle c’è “Ritratto di Alex Bey”, dove Satanik si ritrova ad avere a che fare con la mente contorta di quello che appare come un epigono moderno di Dorian Day, il personaggio di Oscar Wilde. Irretita suo malgrado dall’uomo, la rossa dovrà scoprire il terribile segreto che si cela dietro la sua eterna giovinezza.
Kriminal – Perry non si tocca (1966)
Se Diabolik trae le sue origini dalle avventure di Fantomas, Kriminal di Max Bunker e Magnus riporta in vita, almeno per certi aspetti, un protagonista del feuilleton ottocentesco: Edmond Dantes, il conte di Montecristo assetato di vendetta e determinato a castigare coloro che lo hanno privato del padre.
Come ben raccontato nell’articolo “Ammazzale tutte, Kriminal!”, All’inizio il protagonista rapisce, tortura e uccide un numero impressionante di persone, accanendosi soprattutto sul sesso femminile. Poi, dopo l’incontro con la giovane collegiale Lola, sul n. 55, il suo carattere inizia ad ammorbidirsi. L’implacabile assassino degli esordi si “rammollisce” e comincia ad agire secondo un suo nuovo codice personale, prendendosela soprattutto con i farabutti.

“Perry non si tocca”, pur appartenendo a questo nuovo corso, è una delle storie più belle della serie, coinvolgente ed emozionante. Qui conosciamo il lato più personale e sensibile di Kriminal, che rivede nel piccolo Perry sé stesso; le ingiustizie da lui subite e l’odio che ha trovato.
Così come scopriamo il lato romantico della sfida con il commissario Milton, immancabile contraltare del criminale. Nell’eterna lotta tra i due avvertiamo il profondo senso di stima che provano uno per l’altro, pur nella consapevolezza di appartenere a due mondi tra loro inconciliabili.
Corto Maltese – Una ballata del mare salato (1967)
Uno degli eventi fumettistici degli anni sessanta fu il ritorno in Italia di un grande autore dopo la lunga ed esaltante parentesi Argentina. Nel 1962, Hugo Pratt si stabilisce a Malamocco, un quartiere di Venezia, dove inizia a collaborare con il Corriere dei Piccoli. Con Anna nella giungla e Wheeling in Argentina era diventato un autore completo, ma al Corrierino fa un passo indietro e torna a disegnare fumetti scritti da altri.
Realizza su testi di Mino Milani alcune cose pregevoli come Le avventure di Billy James, L’isola del tesoro e Il ragazzo rapito, ma non è quello che vuole. L’occasione della vita gli capita nel 1967, con l’incontro con l’editore Ivaldi che lo ammira e perciò gli mette a disposizione un’intera rivista, Il Sergente Kirk, dove pubblica le sue opere italiane come autore completo.

Nasce così “Una ballata del mare salato”, splendido racconto corale ambientato in Melanesia, dove compare per la prima volta quello che diventerà uno dei personaggi dei fumetti più amati di sempre: lo “scazzatissimo” marinaio Corto Maltese. Si tratta di un racconto perfetto. Un momento magico.
Dal punto di vista grafico, nella ballata assistiamo a un equilibrio tra i densi segni di pennello del Pratt dei primi anni sessanta (Anna della giungla, Wheeling) e gli agili tratteggi di pennino del periodo del Corriere dei Piccoli (L’isola del tesoro, Il ragazzo rapito). Questo felice momento stilistico, unito a una capacità narrativa unica, fanno della ballata forse il punto più alto del fumetto italiano dei sessanta.
Guido Buzzelli – La rivolta dei racchi (1967)
Il 1967 fu un anno magico per il fumetto italiano, poiché oltre alla Ballata vide l’apparizione di un altro capolavoro del fumetto italiano: “La rivolta dei Racchi”, folgorante ritorno di Guido Buzzelli nel mondo della letteratura disegnata. Il primo esempio di graphic novel in Italia e il primo esempio di “fumetto d’autore”.
Peccato che ai tempi non se ne accorse nessuno, se escludiamo Rinaldo Traini, che nella terza edizione del Salone di Lucca volle pubblicare questa meraviglia sul catalogo ufficiale della manifestazione. L’opera rimase sconosciuta ai più fino a quando, nel 1970, il fumettista francese Georges Wolinski la trovò in un’edicola di Napoli, se ne innamorò e decise di pubblicarla sulla sua rivista, Charlie Mensuel.

“La rivolta dei Racchi” è ambientata in un mondo primitivo suddiviso in due classi: i belli e i brutti. I belli godono di tutti i privilegi, mentre i brutti sono ridotti al ruolo di schiavi. Uno di loro, Spartak, più furbo e intelligente degli altri, incita i “racchi” alla rivolta.
Splendida metafora sulla “lotta di classe” teorizzata in quegli anni, che riesce ad andare oltre le tensioni sociali diventando un’illuminante apologo sulla società e un allarmante profezia sul futuro. Il tutto narrato dal tratto personalissimo dell’autore, realista e grottesco allo stesso tempo, che riesce a creare un’opera tra il classico e il rivoluzionario.
Dino Battaglia – Moby Dick (1967)
Dopo Crepax, Linus aprì le sue pagine ad altri disegnatori italiani che in breve andranno a costituire il filone del cosiddetto fumetto d’autore. Era un fumetto con ambizioni artistiche che si elevava, per forma e contenuti, rispetto all’imperante fumetto seriale. Tra i rappresentanti di questo nuovo filone si distingue da subito Dino Battaglia.
Battaglia poteva definirsi un membro della cosiddetta scuola veneziana del fumetto che si riunì intorno alla rivista Asso di Picche subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale. A differenza di Hugo Pratt, Alberto Ongaro e Mario Faustinelli, Dino Battaglia non si trasferì in Argentina, ma restò in Italia dove collaborò con l’editore Bonelli e con il Corriere dei Piccoli. Durante gli anni sessanta continuò ad affinare il proprio stile fatto di ruvide tracce di pennino e di larghe campiture grigie, finché nel 1967 fu pronto a realizzare il suo primo capolavoro per la leggendaria rivista Sergente Kirk.

Si tratta della versione a fumetti di un classico della letteratura americana: Moby Dick. In questo adattamento in 31 tavole, il disegnatore veneziano con i suoi grigi sofferti e tormentati riesce a rendere l’ossessione di un uomo disposto a morire pur di sconfiggere la grande balena bianca che popola i suoi incubi.
Questa opera a fumetti destò un’impressione così grande che il suo autore per un lungo periodo venne etichettato come “adattatore di opere letterarie”, ingenerando l’equivoco per cui la sua “arte” fosse sottomessa a tale matrice. Sergio Bonelli lo defini invece un “fumettaro pericoloso perché mette in secondo piano la storia”. Eppure fu proprio lui a dargli l’opportunità di rivelarsi un autore completo a tutti gli effetti con lo splendido “L’uomo della legione”, terzo volume della collana “Un uomo un’avventura”.
Diabolik – Diabolik chi sei? (1968)
Diabolik ha creato il fortunato filone dei cosiddetti “neri”: le storie delle sorelle Giussani erano sempre appassionanti e piene di trovate, ma all’inizio i disegni erano appena sufficienti. Le cose cominciano a cambiare nel 1966, con l’ingresso nell’editoriale Astorina di Glauco Coretti, disegnatore dal segno classico e allo stesso tempo suggestivo.
Comincia in quell’anno una delle fasi più felici nella saga dell’inafferabile criminale che lo vedrà protagonista di alcune tra le migliori storie dell’intera serie. Tra queste c’è “Diabolik chi sei”, pubblicata sul numero 5 dell’annata VII, l’albo più venduto e ricercato dell’intera collezione.

Diabolik e Ginko si trovano rinchiusi in una cella senza via d’uscita, prigionieri entrambi di una banda di criminali. Ormai certo di andare incontro a una morte inevitabile, Ginko ne approfitta per soddisfare una curiosità che lo assilla, ponendo al suo nemico di sempre la fatidica domanda che si legge nel titolo:
“Noi stiamo per morire, e questo è il momento della verità. Diabolik, chi sei?”. “Non so chi sono!”, è l’incredibile risposta del genio del delitto.
“Diabolik, chi sei?” ha avuto nel corso degli anni alcuni sequel e prequel che ne hanno approfondito la trama aggiungendo particolari forse non del tutto necessari. In alcuni di questi episodi si sono verificate delle “correzioni” di alcuni elementi dovuti a imprecisioni o a esigenze narrative, ma che non hanno tolto un briciolo della sua iconicità all’albo originale.
Hugo Pratt – Gli scorpioni del deserto (1969)
Hugo Pratt, nel 1969, quando stava realizzando l’ultima parte della “Ballata del Mare Salato”, pubblicò, sempre su Sergente Kirk, una storia ambientata durante la Seconda guerra mondiale dedicata a un gruppo di soldati appartenente al Long Range Desert Group: Gli Scorpioni del deserto.
Diciamo che la prima storia degli Scorpioni del deserto non è paragonabile alla Ballata, della quale non possiede né il lirismo né il lungo respiro. Nondimeno gli Scorpioni furono molto amati dal loro autore, che poteva sbizzarrirsi a disegnare, con il solo ausilio di una sottile linea d’orizzonte e pochi tratti di nero pieno, il deserto del Sahara a lui tanto caro.

Questa serie è interessante anche perché presenta un nuovo complesso personaggio prattiano: il capitano Koinsky, il quale, anche se inevitabilmente schiacciato dall’aura carismatica e dalla straripante personalità del più celebre marinaio, presenta da subito caratteristiche sue proprie, tra le quali spicca una malinconica vena di sottile poesia.
Pratt ritorna alle storie di guerra, che ben conosce dopo le esperienze fatte in Argentina con Ernie Pike, scritto da Héctor Oesterheld, e con la casa editrice Fleetway per il mercato inglese.
È la storia di un viaggio di oltre mille chilometri attraverso il deserto egiziano, da Giarabub a Suez. La narrazione, tutto sommato tradizionale, alterna momenti di azione a momenti di riflessione.
(Mancano Jacovitti e Guido Martina con i suoi paperi disneyani… – NdR)
Sempre interessanti queste classifiche. Sono lo spunto per riprendere in mano vecchie storie.
Per quanto riguarda Zagor, personalmente, avrei scelto una storia più rappresentativa della “contestazione” come ad esempio Seminoles!
Storia, tra l’altro, in cui gli indiani della Florida sono rappresentati col loro tipico abbigliamento (forse per la prima volta in un albo Bonelli?) denotando un’attenzione alla loro cultura che va oltre la semplice partecipazione emotiva alla tragedia di un popolo.
Daccordo, a parte Crepax, raccomandato radicsl chic dei “60
A caldo, mi salta all’attenzione l’assenza di Franco Caprioli e la sua produzione di storie di mare ecc…
Però Alan Ford ….manca…è ancora adesso in edicola
Crepax e Diabolik li avrei proprio evitati, magari inserendo essegesse e/Lavezzolo.
E voglio ricordare che la Ballata è la storia in cui esordisce Corto ma non è una storia di Corto. È corale con una decina di personaggi TUTTI con la stessa importanza.
Sembrerebbe che tra un decennio e l’altro ci sia un muro. A mio modesto parere non è così. La sensibilità e la maestria delle storie di Zagor dei primi anni 70 o i racconti brevi di Corto, o la “summa” nolittiana dei primi 25 Mister No, passando dal quasi felliniano Decio Canzio nel semiserio Piccolo Ranger e dall’affresco magistrale Ken Parker sono ben più carichi di “cambio di passo” del fumetto nostrano. Un po’ come nella musica pop: nel 67 e 68 si infransero le barriere, negli anni successivi si esplorò ciòche c’era al di là di esse.