GLI ANNI SETTANTA DI JACK KIRBY

GLI ANNI SETTANTA DI JACK KIRBY

Quando Jack Kirby nel 1970 lascia la Marvel per passare alla Dc ha compiuto da poco cinquant’anni e ha raggiunto secondo molti l’apice della sua potenza grafica. Negli ultimi anni Martin Goodman, l’editore della Marvel, gli aveva aumentato la retribuzione a pagina e pertanto non doveva più produrre una enorme mole di lavoro. Era passato da una media mensile di 91 pagine nel 1966 a 45 nel 1969.

Non più costretto a sottoporsi a ritmi produttivi disumani, la sua arte ne aveva guadagnato dal punto di vista qualitativo. In questa fase lasciano a bocca aperta i volti dei personaggi, ormai arrivati alla perfezione pur nell’antinaturalismo sempre più spinto di Jack Kirby, che, come sempre, ha in mente proporzioni tutte sue. Le facce sono allargate, gli occhi distanti, i nasi piccoli, il mento squadrato. L’insieme ha però un armonia che ricorda le sculture greche.

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Nel 1969, il numero di vignette in cui Jack Kirby divide le pagine si riduce a quattro. L’autore lo fa anche per disegnare meno, ma va a perdere quel meraviglioso equilibrio tipico delle pagine a sei vignette del periodo precedente.

Aumentano anche le splash page, che sono spesso due per numero. Certamente servono a Kirby per tirare il fiato, ma vanno a rallentare la fluidità dello storytelling. I volti dei personaggi, infine, si arricchiscono di ombre realizzate mediante vaste chiazze nere, che donano alle espressioni facciali una serietà che non si era vista prima.

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Questo era dunque lo stato dell’arte di Jack Kirby all’inizio degli anni settanta. Qualcuno sostiene che il periodo migliore del Kirby disegnatore era già finito e che da lì in poi imboccò la strada della decadenza.

Secondo la nostra opinione in un artista così grande e con una carriera così lunga ha poco senso parlare di decadenza. Sarebbe meglio parlare di fisiologiche modificazioni che rimangono nell’ambito di uno stile che ha sempre vissuto di contraddizioni interne più o meno esasperate, ma sempre ricondotte in una sintesi che ha del miracoloso.

Qui di seguito analizzeremo nel dettaglio l’evoluzione di Jack Kirby in alcune opere realizzate durante il periodo Dc e poi in quelle al suo ritorno alla Marvel. 

Jimmy Olsen n. 133-134 (1970)

Nonostante la Dc l’avesse annunciato a destra e a manca tramite annunci pubblicitari che gridavano “The Great One is Coming!” e “Kirby is Coming!”, il n. 133 di Jimmy Olsen rappresentò comunque un piccolo shock per i lettori.

Lo shock a ben vedere però derivava più dalle storie, tortuose e adrenaliniche dall’inizio alla fine, che dalla magnificenza dei disegni, che chi leggeva gli albi della Marvel aveva da tempo ampiamente digerito.

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Semmai chi conosceva Jack Kirby fu sconcertato dalla visione del volto di Superman, ritoccato dall’onesto gregario Al Plastino, più che dalle nuove invenzioni visive. C’è anche chi ha trovato il suo Jimmy Olsen inferiore rispetto alla produzione nel periodo Marvel a causa del lavoro incerto di Vince Colletta sulle chine.

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Le quattro vignette per pagina che erano diventate la regola nell’ultimo anno alla Marvel ritornano sei. Le innovazioni sono legate soprattutto al numero delle splash page che aumenta: sono tre nel numero 133 e addirittura quattro nel 134. Due di quelle quattro sono dei collage in bianco e nero dall’aspetto un po’ inquietante.

New Gods n. 5-6 (1971)

Con il n. 5 di New Gods agli inchiostri arriva il preciso Mike Royer, maggiore responsabile del segno kirbyano degli anni settanta.
Durante una serata di fine anni sessanta, Royer ricevette una telefonata da parte di Kirby che gli disse: “Alex Toth dice che sei un bravo inchiostratore”. La bravura di Royer consisteva soprattutto nel rispettare al 100% le matite di Kirby a differenza di altri inchiostratori, come Joe Sinnott, che tendevano a correggerle là dove sembravano sbagliate.

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Con Mike Royer le pagine di Jack Kirby diventano pura magnificenza. La prima doppia splash page è addirittura indescrivibile. Raffigura una specie di titano Prometeo incatenato che vaga nello spazio. Le spesse linee scure che lo definiscono, tutte di forma e dimensione diverse, ci mettono di fronte a un vero e proprio cambio di marcia.

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Grazie a queste ombre le figure assumono una tridimensionalità realista che in Kirby non avevamo mai visto prima. Il mostro marino che occupa per intero la splash page finale del n. 5 è rappresentato in uno stile che, pur contenendo suggestioni provenienti dal passato (i mostri della Atlas), appare completamente proiettato nel futuro.

Kamandi n. 1-2 (1972)

Mentre quella che avrebbe dovuto essere la “grande opera” di Kirby, il cosiddetto “Quarto mondo” dei Nuovi Dei, si rivelò una saga incocludente, fu un titolo inizialmente considerato minore come Kamandi a rivelarsi il punto più memorabile della produzione kirbyana per la Dc.

La doppia splash page iniziale con le acque del fume Hudson che sommergono parzialmente la Statua della libertà è una specie di inno alle capacità visionarie del re. Ma quello che colpisce maggiormente nel primo numero è il ritmo della storia costantemente elevato.

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Le sequenze si susseguono senza pause, in ogni pagina succede qualcosa di rilevante, c’è sempre almeno un elemento visivo che spinge a proseguire la lettura per saperne di più. Umani regrediti all’età della pietra, esplosioni, uomini lupo in grado di parlare, tutto cambia in tempi velocissimi. In certe sequenze pare di trovarsi di fronte a un’estetica da videogioco assolutamente inconsueta per quegli anni.

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L’inventiva di Jack Kirby rifulge soprattutto nella rappresentazione delle varie razze di animali antropomorfi che popolano queste pagine. Gli aggressivi lupi, le orgogliose tigri, gli infidi ratti… Kirby li disegna tutti con precisione inaudita, ma allo stesso tempo con soprannaturale naturalezza.

The Demon n. 6-7 (1973)

The Demon fu il tributo pagato un po’ malvolentieri da Jack Kirby al ritorno dell’horror nei primi anni settanta. Naturalmente fu un horror alla sua maniera, un mix geniale e assurdo di mostri, stregoneria e supereroismo.

La saga raffigurava un mondo in cui erano in gioco solo le opposizioni più elementari: il bene contro il male, l’innocenza contro la corruzione, il nostro mondo contro il loro. Una trama zeppa di potenziali sviluppi che però Kirby non sfruttò a fondo.

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Puntò tutto sulla spettacolarità e sulla favolosa monumentalità delle immagini. Quello che rende indimenticabili le splash page di The Demon è proprio la monumentalità delle figure. Figure mostruose, infernali o divine, fisiche e scultoree che si materializzano al centro della tavola, distorcendone la percezione: come un pugno in pieno volto.  
Dall’altro lato, Kirby con The Demon imbocca una strada simile a quella intrapresa, e portata sino alle estreme conseguenze, da Alex Toth negli stessi anni.

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La strada di Toth procede verso un minimalismo assoluto che opera per sottrazione alla ricerca di un disegno sempre più stilizzato, ma anche sempre più espressivo. Kirby semplifica il segno e sintetizza gli sfondi, ma non vuole andare fino in fondo: le sue ombre barocche e i mille dettagli conferiscono al risultato finale una inaspettata tensione. 

Omac n. 1-2 (1974)

In Omac (One Man Army Corps) viene completamente alla luce il procedimento utilizzato da Kirby per realizzare i suoi fumetti da autore completo, che si occupa sia dei testi che dei disegni. In queste pagine appare ovvio che le immagini siano state create prima dei testi. La logica risiede tutta nella successione delle sequenze di immagini, il testo sembra quasi un di più. La cosa funziona perfettamente dal punto di vista visivo, un po’ meno per quello che riguarda la coerenza narrativa. 


Si tratta di una serie straordinaria a livello visivo, infarcita di immagini dalla grande potenza visionaria e assolutamente anticonvenzionali. Sembra che Kirby abbia fatto appello a tutto il suo immaginario artistico per sorprenderci a ogni pagina.

Lila, la “build a friend” che appare nella prima pagina completamente disarticolata, pare una delle bambole surrealiste di Hans Bellmer. Seguono i Global Peace Agents, pittoreschi esseri senza volto che sembrano ispirati dal personaggio The Question di Steve Ditko. Abbiamo poi un gigantesco “Grande Fratello” meccanizzato di orwelliana memoria dotato di un enorme occhio che tutto vede.


L’equilibrio tra tensione e stilizzazione è ottenuta attaverso il dettaglio, da sempre presente nello stile di Kirby, ma che qui rasenta la perfezione. 

Our Fighting Forces n. 157-158 (1975)

Our Fighting forces era un albo di storie belliche pubblicato dalla Dc dal 1954 fino al 1978. Jack Kirby ne disegnò 12 numeri, tra il 1974 e il 1975, con protagonisti i Losers (i Perdenti).
L’episodio in due parti intitolato “Panama Fattie” rappresenta uno dei punti più alti di Kirby alla Dc. Lo storytelling è perfetto e cinematografico.


L’avversario viene introdotto per primo mentre svolge i suoi affari criminali, i Losers arrivano dopo in una intensa sequenza d’azione… segue un momento di calma dove vengono stabiliti i dettagli della loro missione è così via.
Jack Kirby era imbattibile nel disegnare fumetti di guerra, anche perché la guerra l’aveva fatta davvero e ne conosceva ogni particolare.


Le due splash page presenti in questa storia lasciano a bocca aperta per la ricchezza dei dettagli e per l’equilibrio quasi magico tra le parti in luce e quelle in ombra. Il personaggio femminile di Panama Fattie è visivamente straordinario, per non parlare delle scene di combattimento. Le sequenze aeree di Kirby sono sbalorditive, come l’inseguimento finale.

Marvel Treasury Edition n. 1: 2001 a Space Odissey (1976)

Appena tornato alla Marvel, nel 1976, Jack Kirby fa il botto trasponendo il film 2001 Odissea nello spazio in fumetto. Kirby, il creatore della Marvel cosmica, era forse l’autore più adatto per raccontare a fumetti il film spaziale per eccellenza, il capolavoro di Stanley Kubrick.
L’adattamento è uno splendido numero unico di 72 pagine in grande formato scritto e disegnato da Jack Kirby e inchiostrato dall’ottimo Frank Giacoia.


Per realizzare il fumetto, Kirby guardò con attenzione il film, studiò una serie di fotografie di scena, lesse la sceneggiatura e il racconto di Arthur C. Clarke “La sentinella”, che ha ispirato il film.
Le illustrazioni di Kirby risultarono immediatamente riconoscibili a chiunque avesse visto il film, mentre i personaggi erano unicamente suoi: muscolosi ed emotivi con un tocco perturbante.


Nella trasposizione a fumetti si nota che Kirby scelse di utilizzare delle splash page in coincidenza delle sequenze del film più lunghe. Il suo è stato un tentativo di far coincidere i tempi necessari a uno spettatore per guardare le immagini in movimento con i tempi di lettura per interpretare tutte le informazioni inserite in una tavola disegnata.

Black Panther n. 1-2 (1977)

Quanto ai suoi vecchi personaggi Marvel, Kirby accettò di riprenderne in mano soltanto due: Capitan America e Pantera Nera. Naturalmente Kirby li riprende a modo suo, catapultando i lettori nel mezzo di nuove avventure, senza tenere minimamente conto della continuity con gli episodi apparsi precedentemente (che peraltro non ha letto).


Per quanto riguarda Pantera Nera le pagine sembrano un continuo fuoco d’artificio, zeppe come sono di soluzioni grafiche sempre nuove e sorprendenti. All’interno di una scansione strutturale ripetitiva, dove in ogni numero a una doppia splash page iniziale seguono pagine impostate su una griglia regolare di sei vignette, Jack Kirby inserisce una serie di trovate visive che stordisce il lettore per ricchezza e quantità.

Negli ambienti, nei costumi dei personaggi, nei mezzi di locomozione, vengono mescolati dettagli ipertecnologici con elementi artistici più arcaici, in un mix di assoluto fascino.


Le sequenze migliori sono giocate sul contrasto tra il dinamismo delle inquadrature e delle pose dei personaggi e la loro massiccia imponenza grafica, a cominciare dal corpo di T’Challa/Pantera Nera, squadrato, “pesante” e stilizzato al massimo.
I disegni di Black Panther ipnotizzano lo sguardo, lo stile ormai completamente antirealistico di Kirby affascina e convince anche in questa sua ulteriore evoluzione. 

Devil Dinosaur n. 4-5 (1978)

Devil Dinosaur è sempre stato considerato un lavoro minore, ma a ben guardare ci mostra un Jack Kirby in splendida forma. Non sarà certo uno degli apici del disegno kirbyano, ma rimane comunque una gioia per gli occhi.

Lo stile sempre più cartoonesco del Kirby degli ultimi tempi faceva storcere il naso ad alcuni lettori e ai critici, più propensi a cantare le lodi dello stile naturalistico di Neal Adams, ma in realtà Kirby stava facendo qualcosa di veramente speciale.

Qualcosa che oggi, a livello grafico, appare invecchiato meglio dell’iperrealismo di Adams e dei suoi meno dotati emuli.

In effetti, il lavoro di Jack Kirby dopo il ritorno alla Marvel forse non ha eguagliato le sue opere precedenti, pur rimanendo il lavoro di un artista che ha il pieno controllo sul proprio talento. Il Kirby di Devil Dinosaur è il Kirby delle vignette sovradimensionate e piene di particolari, che concedono molto spazio alle sue figure dalle linee pesanti e agli attenti dettagli dello sfondo.

Le splash page sono all’ordine del giorno e ormai sono diventate per Kirby un riconoscibilissimo marchio di fabbrica. La doppia splash page che apre il quarto numero, raffigurante l’incubo profetico del protagonista Moon-Boy, è una delle migliori di sempre. 

A conti fatti, lo stile che Jack Kirby mise in mostra durante gli ultimi anni settanta aveva perso quell’aurea di perfezione assoluta che lo aveva avvolto dalla seconda metà degli anni sessanta ai primi anni dei settanta. Era uno stile imperfetto, gravido di tensioni inespresse e forze contrastanti in continua evoluzione, ma ancora in grado di sprigionare un fascino senza tempo.




6 commenti

  1. Se posso dire la mia caro Trogi, i fumetti americani parlano molto e muovono poco. La grafica è curatissima, meravigliosa, ma fine a sé stessa. Meglio allora i fumetti europei e anche i manga.

    • Dipende da che disegnatore si parla.

  2. bell’articolo.
    interessante considerare cone la marvel si spenda ancora il capitale immaginativo e di personaggi creato dal Re e da pochi altri.
    dopo mezzo secolo.
    C

  3. Graficamente maestose le tavole del Kirby ani 70 e narrativamente povere? Assolutamente no!
    Nei suoi testi introduce tematiche adulte e ancor oggi attualissime: la lotta tra l’uomo e la tecnologia, quest’ultima innalzata la rango di divinità portatrice di vita, mentre il primo non può che adeguarsi -diventando lui stesso una macchina- o ribellarsi per conservare la propria umanità.
    Storie semplici che non vanno da nessuna parte? Non scherziamo, dai.

  4. Riguardo ai cambiamenti dello stile di Kirby negli anni 60 (il minor numero di vignette e i minori dettagli) bisogna anche ricordare che cambiò il formato delle tavole originali.

    I disegnatori Marvel lavoravano su carta fornita direttamente dalla casa editrice (e già squadrata), e ad un certo punto (mi pare nel 1966 ma dovrei andare a controllare per essere sicuro) la Marvel iniziò a fornire pagine grandi LA METÀ (praticamente uno dei vecchi fogli tagliato a metà). Ovvio che questo diminuì la percentuale di riduzione in stampa e quindi il livello di dettaglio.

    La cosa `MOLTO evidente confrontando (se non si hanno le tavole originali, costosissime) i volumi delle “Arist Edition” della IDW che riproducono le tavole in grandezza originale.

  5. Il Kirby anni 70 ? Narrativamente povero e graficamente grossolano.
    Da lui hanno imparato i Liefeld degli anni 90…

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