GIAN LUIGI BONELLI GUERRIGLIERO

GIAN LUIGI BONELLI GUERRIGLIERO

Nel recente saggio “G.L. Bonelli Tex sono io”, l’autore, Gianni Bono, riporta una sua intervista di molti anni fa a Gian Luigi Bonelli, fatta in un ristorante con i figli Sergio e Giorgio.

A un certo punto il creatore di Tex accenna a una fantomatica organizzazione chiamata “Goal”, al che i presenti chiedono delucidazioni.

– Vorrei che quello che sto per dire restasse tra le persone presenti a questa bella tavola imbandita. E quindi, lei, spenga un attimo il registratore. Ecco, bravo.
Io ho sempre avuto un profondo senso di giustizia e ritenevo che quello che stava succedendo fosse pure follia. Quella guerra doveva finire, in un modo o nell’altro, e quindi a qualcuno venne l’idea di provare a farla finire dall’interno, minando alcuni centri nevralgici.
E mi tirarono dentro…

– A fare cosa, papà? – chiede Sergio tra il serio e il preoccupato.

– A fare il giustiziere, il raddrizzatore di torti. Ma un conto è farlo fare a un eroe di carta, anche se oggi Tex è uno di famiglia, un conto farlo in prima persona.

– Dai, papà, non ci tenere sulle spine – esorta Giorgio – cos’era ‘sto Goal?

– Goal è un acronimo che sta per Gruppo organizzato azione libera e io ne divenni uno dei capi. Un giorno si decise di assalire gli uffici della Edison in Foro Buonaparte.
Fazzoletto davanti alla bocca, ci presentammo nel tardo pomeriggio, quando ormai tutti i dipendenti erano andati a casa, nell’ufficio del direttore per obbligarlo a togliere la corrente a tutta la città. Ben deciso ad arrivare fino in fondo, gli puntavo la pistola alla tempia.
Il poverino tremava e quindi lo tranquillizzai dicendo che non gli avrei torto un capello; bastava che mi desse retta e facesse una telefonata in centrale!
Mentre cercavo di convincerlo, tenendo con l’altra mano il fazzoletto ben calcato sul volto per non essere riconosciuto, mi resi conto di essere rimasto solo in ufficio. I miei “colleghi” erano spariti.
Da un grande finestrone li vidi che stavano facendo man bassa di mobili e denaro.

Altro che atto eroico! Mentre quel poveraccio credo che se la fosse fatta addosso e continuava a balbettare: “La prego, la prego”.
Preso dal disgusto, rimisi la pistola nella cinta dei pantaloni, mi abbottonai la giacca e me ne andai, mettendo la parola fine a quel folle gesto e, poi, a tutta la banda. Non so se qualcuno mi avesse visto o riconosciuto…

Il racconto parrebbe un’invenzione estemporanea, ma leggendolo attentamente appare, invece, piuttosto credibile.
Non stupisce che “all’attentato” avesse partecipato una persona irruente, con il fisico palestrato e la pistola sempre in tasca come Gian Luigi Bonelli. In effetti Tex, come dice il titolo del libro di Bono, è lui. Il primo Tex, almeno.

Io stesso, alla fine degli anni settanta, impedii a un mio amico palestrato e un po’ ingenuo di svolgere un ruolo analogo per la banda di Cesare Battisti, il terrorista scappato poi all’estero. Ne ho parlato qui.

Quello che non si capisce bene nel racconto di Gian Luigi Bonelli è l’epoca. Non pare quella della dittatura fascista o quella della Repubblica sociale controllata dai nazisti.
Parrebbe piuttosto l’Italia degli anni venti, quando alcuni liceali anarcoidi piazzavano bombe un po’ ovunque.
Anche Cesare Musatti, il fondatore della psicoanalisi italiana raccontò in tarda età di avere fatto esplodere una bomba da qualche parte.

Però Gian Luigi Bonelli spiega che il gesto dimostrativo aveva lo scopo di accelerare la fine della guerra, e in quel contesto dobbiamo rimanere.
Mi pare, quindi, che il periodo più probabile sia quello, cruciale per la storia italiana, tra il 25 luglio 1943 e l’8 settembre dello stesso anno.

Il 25 luglio, preso atto che gli alleati anglo-americani hanno rapidamente conquistato la Sicilia e si apprestano a risalire la penisola italiana, il Gran consiglio fascista sfiducia Benito Mussolini. Il re Vittorio Emanuele III coglie l’occasione per toglierlo dalla guida del governo, che passa al generale Pietro Badoglio, e farlo arrestare.
Il partito fascista viene sciolto e in tutta Italia si assiste ad abbattimenti delle statue di Mussolini e a gesti simili. Il Duce un tempo tanto amato è ormai odiato per la guerra fallimentare al fianco di Adolf Hitler nella quale ha trascinato gli italiani.

Però il re e Badoglio hanno paura della reazione tedesca e, aspettando che gli alleati arrivino fino a Roma, dichiarano che la guerra continua come prima. Questo, soprattutto, deve essere il motivo per cui Gian Luigi Bonelli, come molti italiani, trovino insensato continuare una guerra già persa.

Solo che americani e inglesi, prendendosela comoda, risalgono molto lentamente la penisola. Del resto quello è solo un diversivo per tenere occupate più truppe tedesche possibile, distogliendole dalla costa atlantica, dove l’anno successivo ci sarà il grande sbarco alleato che punterà verso Berlino.

Alla fine, l’8 settembre 1943, il re e Badoglio vengono costretti dagli americani ad arrendersi, inducendo così i tedeschi a occupare l’Italia, salvo la parte meridionale invasa dagli alleati.
Mussolini viene liberato in un blitz dai tedeschi e messo a capo dello Stato fantoccio della Repubblica sociale italiana.
Chi ha festeggiato la caduta di Mussolini o non vuole farsi arruolare deve andare in montagna con i partigiani, oppure attraversare il confine svizzero come profugo. Così fa Gian Luig Bonelli.

Però lo spirito guerrigliero di Gian Luigi Bonelli non viene meno, a quanto leggiamo nella stessa intervista.

– Ero stanco di stare con le mani in mano con questa guerra che non finiva più. Una volta mi viene un’idea e vado a Campione (un’enclave italiana in territorio svizzero – NdR), che all’epoca era indecisa se essere svizzera o in provincia di Como.
Prendo alloggio in albergo e alla sera convoco le autorità cittadine (quattro gatti più il comandante dei carabinieri) per il mio grande progetto: la fondazione dello Stato libero di Campione, di cui io sarò, inutile dirlo, il presidente.
Dico al podestà
(il sindaco – NdR) che sarà il capo del governo, al prefetto che sarà il primo ministro (ammesso che ci fosse veramente un prefetto, Gian Luigi Bonelli fa un po’ di confusione: capo del governo e primo ministro sono la stessa cosa – NdR) e al comandante della stazione dei carabinieri che guiderà le forze armate.
Tutti ascoltano con attenzione, mi guardano un po’ straniti, ma apprezzano certamente la cena e mi salutano.
Durante la notte mi squilla il telefono in camera. È il maresciallo dei carabinieri che mi dice:
“Signor Bonelli, lei mi è tanto simpatico, ma io sto per venire ad arrestarla e volevo avvisare…”.
Non faccio neanche in tempo ad abbassare la cornetta che ho già scavalcato la finestra. Dal tetto salto nel prato e prendo la via dei boschi…

 

(In apertura: particolare della copertina di “G.L. Bonelli Tex sono io”, Gianni Bono)

 

 

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3 commenti

  1. Strano un acronimo che forma una parola inglese che significa meta, considerato che da noi se Tex e Zagor vanno a vedere il derby e sparano intorno per non permettere assembramenti, nel momento in cui Jerry Drake segna urlano GOL! In fondo stiamo parlando di un tizio che ha scritto una storia come Sangue Navajo in cui un ranger nonchè capo pellirossa arriva quasi a dichiarare guerra agli States. Birichino. Zuzzerellone. Peccato che ora stia scrivendo altrove e per un altro pubblico, perchè se fosse ancora nei paraggi di via Buonarroti starebbe sicuramente lavorando alle Mirabolanti Avventure di Edison Bonaparte sospeso tra Salgari e Saturnino Farandola, un Martin Mystere steampunk che mette mano alla colt se solo non rispondi a tono. So long, GLB

  2. In tutte le biografie dei maestri del fumetto americano di quella generazione, c’è ampio materiale sulle loro imprese nella seconda guerra mondiale. In effetti di ciò che fecero i nostri autori si sa abbastanza poco. Forse sarebbe interessante provare ad assemblare i dati partendo da fonti certe.

    • Se ne sa poco perché se non sono scappati in montagna o in Svizzera, hanno partecipato alla guerra dalla “parte sbagliata”, così come la grande maggioranza dei personaggi dello spettacolo e degli italiani in generale.

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