GENE COLAN DISEGNA DEVIL

Il supereroe a cui Gene Colan, uno dei più importanti disegnatori Marvel dell’età classica, è legato a doppio filo è Devil (Daredevil).
Tra i tanti supereroi con superproblemi, la felice intuizione di Stan Lee che contribuì a fare la fortuna della Marvel, Devil, nato nel 1964, ha pochi superpoteri e decisamente molti superproblemi.
Questo squilibrio di base allungò a dismisura il processo necessario affinché il personaggio acquisisse una precisa identità, che a ben vedere si concluse soltanto con l’avvento ai testi e ai disegni di Frank Miller. A un quindicennio di distanza dalle origini.
Tuttavia non mancarono in questo periodo albi di una certa rilevanza, che sono rimasti nella memoria dei lettori e vengono letti ancora oggi.
Per esempio, il breve ciclo di Wally Wood del 1964-1965 e, naturalmente, quello ben più corposo di Gene Colan, che prende il via nel 1966.
Colan era tornato da Stan Lee l’anno prima. Su Tales to Astonish n. 70, dell’agosto 1965, facendo seguito alle insistenze dei lettori, Lee aveva dato una nuova serie autonoma a Namor il Sub-Mariner, dopo la chiusura della precedente avvenuta una decennio prima.
Sub-Mariner era stato creato nel 1939 da Bill Everett, autore che, peraltro, aveva disegnato (e co-sceneggiato) anche il primo numero di Devil.
Ai testi della nuova serie c’era naturalmente Stan Lee, e ai disegni, cui nemmeno Vince Colletta con i suoi inchiostri sghembi riusciva a togliere magnificenza, un mostro del fumetto che nessuno conosceva, un certo Adam Austin.
Lo pseudonimo l’aveva pensato Stan Lee, che amava inventare nomi e cognomi con la stessa lettera (Peter Parker, Matt Murdock…), per permettere a Colan di lavorare alla Marvel quando ancora era sotto contratto della concorrente Dc Comics.
A un certo punto Lee offrì a Colan cinque dollari a tavola in più per avere l’esclusiva e l’ottenne. Dal n. 77 il disegnatore nato nel Bronx in una famiglia ebraica cominciò a firmarsi con il proprio vero nome.
Alla Marvel in quegli anni non si poteva stare tranquilli. Nel luglio del 1966 usciva l’ultimo numero dell’Uomo Ragno disegnato da Steve Ditko, che aveva appena lasciato la casa delle idee sbattendo la porta.
Stan Lee chiese a un recalcitrante John Romita, che in quel periodo stava disegnando Devil, di sostituirlo sulle pagine dell’arrampicamuri.
Devil, alias l’avvocato cieco Matt Murdock, rimase quindi senza disegnatore.
Nell’agosto del 1966 Gene Colan firmò il suo ultimo numero di Namor e dal settembre successivo iniziò a dedicarsi a Devil.
Per comodità, nell’analizzare i sei anni in cui il Decano (questo il soprannome datogli da Stan Lee), si dedicò a Devil abbiamo diviso questo periodo in tre parti, approfittando delle due piccole interruzioni durante le quali Gene Colan si occupò di altro.
Il ruolo di Stan Lee
Il Sorridente, questo era invece il soprannome che Lee si era dato da solo, scrive le storie dei primi 50 numeri di Devil.
Bisogna riconoscergli alcuni meriti. Innanzitutto le molte lettere che la Marvel ricevette da parte di persone associate a organizzazioni che aiutano le persone con handicap, in particolare i ciechi. Per quanto probabilmente l’idea della cecità proveniva da Bill Everett, che aveva una figlia con questo problema.
Le lettere raccontavano della calda accoglienza riservata alle avventure di Daredevil dai lettori disabili, i quali sentivano di aver finalmente trovato un eroe che li aiutava a rafforzare la propria autostima.
In seconda battuta vengono i titoli. Erano quasi sempre insoliti, drammatici e avvincenti. Si passa da “Devil muore per primo” a “Il nome del gioco è caos”. Da “Non guardare ora, ma è il dottor Destino!” a “La prigione vivente!”.
Stan Lee per Devil inventò, insieme ai disegnatori, una galleria di cattivi variopinti. Il brutale Gladiatore, l’enigmatico Marauder, l’improbabile Stilt-Man e il diabolico Jester. Tutti assurdi, ma immediatamente riconoscibili.
Anche i dialoghi che Lee mette in bocca a Devil sono tra i più strani e divertenti dell’universo supereroistico. Capaci di rivaleggiare con quelli dell’Uomo Ragno.
Infine, sul n. 25 di Daredevil appare all’improvviso una delle trovate più bizzarre della Silver age: Mike Murdock, il pittoresco fratello gemello di Matt… interpretato da lui stesso!
Matt Murdock finge che Devil sia in realtà suo fratello Mike per allontanare i sospetti da se stesso. Le complicazioni che seguono degne di un autore a cui piace flirtare con l’assurdamente improbabile, quando non con l’impossibile.
Anche se Mike Murdock verrà poi tolto di mezzo: alcuni auotori successivi, come Frank Miller, lo ricorderanno nelle interviste con non celato imbarazzo dichiarando che per loro è come se non fosse mai esistito.
Gene Colan dal n. 20 al n. 49
Il Decano disegna un primo ciclo di circa 30 numeri, che va dal 20 al 49, dove viene inchiostrato principalmente da Frank Giacoia e John Tartaglione.
Gene Colan, da appassionato di cinema, è forse il più cinematografico tra i disegnatori Marvel della Silver age.
Lui stesso individua le pellicole come una delle sue principali fonti di ispirazione.
“Ho preso nota, in particolare, di come i vari registi utilizzassero luci e ombre. Questi due elementi hanno aggiunto il dramma a ogni storia e quella profondità extra alla magia Marvel. La Silver age è stata un momento cruciale nell’evoluzione dello storytelling per tutti noi illustratori di fumetti. Se solo avessi potuto aggiungere anche il suono… non pensare che non ci abbia provato!”.
Gene Colan era anche il più “cinematico” tra gli artisti della casa delle idee, forse sotto questo profilo dava dei punti persino a Jack Kirby. Devil diventò la testata dove era possibile ammirare i salti e le capriole più spericolati dell’epoca.
Colan puntò molto sull’aspetto acrobatico del personaggio, concentrandosi su inquadrature e coreografie, distorcendo, comprimendo e dilatando ogni muscolo e ogni segmento anatomico con l’unico scopo di coinvolgere il più possibile i lettori nell’azione.
Il malinconico tratto chiaroscurale di Gene Colan aggiunse al personaggio uno spessore particolare. Invece il ritmo narrativo non era esattamente il suo punto di forza.
Aveva l’abitudine di partire alla grande, disegnando pagine mozzafiato di una o due grandi vignette per poi rendersi conto solo verso metà storia che avrebbe dovuto comprimere il resto dell’episodio nelle pagine finali.
Devil n. 47 – Brother take my hand
Si tratta di una delle storie più belle di Devil. Stan Lee ai suoi livelli più alti, quando ancora riusciva a fare di un albetto di 20 pagine un capolavoro.
Siamo nel periodo più critico della guerra del Vietnam, a pochi mesi dall’offensiva del Tet. Quando Lee e Colan progettarono questa storia, nell’estate del 1968, i sondaggi all’opinione pubblica indicavano che più della metà della popolazione Usa era ormai contro la guerra.
Per la Marvel non erano più i tempi dell’anticomunismo della prima metà degli anni sessanta. Se il nuovo atteggiamento che Lee mette rappresenti un vero cambiamento di opinione o un adattamento calcolato all’umore del suo pubblico, o una combinazione di entrambi, in questa sede non ha importanza.
Sta di fatto che su queste pagine il Sorridente, attingendo a tutta la sua capacità retorica, confeziona una condanna senza appello a questa e a tutte le guerre.
“Guerra! La manifestazione più brutale, più idiota, più ripugnante, di tutto ciò che non c’è di sbagliato nell’umanità! E sono sempre i più giovani, i migliori a pagare il prezzo più alto! Il mondo non sarà mai in grado di ripagare il debito che ha nei confronti degli innumerevoli Willie Lincoln che hanno offerto tutta la loro lealtà e devozione!”.
Daredevil n. 47 è una storia unica che, facendo a meno di supercriminali in costume, tratta in modo significativo alcuni argomenti abbastanza insoliti per un fumetto del 1968: la guerra del Vietnam, le disabilità fisiche e la diseguaglianza razziale, senza per questo rinunciare ad essere un comic book. Potenza della Marvel di allora.
Da un punto di vista grafico Colan è ai suoi livelli massimi. Amava disegnare soldati e qui ne ha l’opportunità. Gli stavano a cuore i diritti civili e qui si parla del problema del reinserimento nella società dei reduci di guerra.
Amava anche disegnare gli afroamericani, i loro problemi e la loro umanità. “Ho sempre trovato le loro caratteristiche interessanti per la forza, lo spirito e la saggezza scritti sui loro volti”, dice Colan che l’anno successivo darà vita all’eroe nero Falcon sulle pagine di Capitan America.
Roy Thomas
Quando Gene Colan tornò su Devil n. 53, dopo essere stato assente per tre numeri, al posto di Stan Lee trovò Roy Thomas.
Colan si era abituato a costruire una storia a partire dalle minimali indicazioni del Sorridente date a voce o telefonicamente, magari davanti a un sandwich e a un caffè. Con Thomas le cose cambiarono. Thomas scriveva.
Anche se, benché scritte, i soggetti continuarono a essere poco più che sintetici spunti dai quali partire per sviluppare una storia compiuta di una ventina di pagine. Se il Decano non seguiva ogni riga scritta da Thomas e non rispettava la scenggiatura esattamente come scritta, il numero due della Marvel non se la prendeva più di tanto.
Spesso succedeva che Gene Colan piegasse lo storytelling alle proprie esigenze di rappresentazione grafica. In pratica, le storie venivano costruite sulla base di ciò che il Decano preferiva disegnare. Comunque, alla fine, i dialoghi di Thomas riuscivano sempre a salvare la situazione.
La galleria di cattivi inventati da Roy Thomas non è memorabile. Stunt-Master, ricavato sul famoso centauro Evel Knievel, forse è il più caratteristico.
Il merito maggiore della gestione Thomas è stato quello di aver iniziato a costruire una identità autonoma a un personaggio di cui Lee aveva fatto un clone dell’Uomo Ragno un po’ più vecchio e raffinato. Con Thomas iniziano a comparire le atmosfere cupe e le note malinconiche che troveranno il loro compimento con Frank Miller.
Gene Colan dal n. 53 al n. 82
I numeri 50, 51 e 52 di Devil vennero disegnati da un ancora acerbo, ma promettente, Barry Smith, mentre Colan era stato dirottato sui Vendicatori.
L’esperimento non ebbe seguito e con il n. 53 le matite ritornarono al Decano. Da questo numero in avanti il lavoro di Colan si fa squisito e pieno di sottigliezze, nonostante le chine passino al legnoso Syd Shores.
“Ho incontrato molte persone alla Marvel che mi hanno aiutato moltissimo, ma Syd Shores mi ha aiutato più di chiunque altro”, ha detto Gene ricordando i tempi della Atlas.
“Le cose che non sapevo e che mi ha insegnato erano incredibili. Ho adorato il suo lavoro. Era assolutamente spontaneo: riusciva a tirare fuori cavalli o qualsiasi altra cosa senza bisogno di riferimenti fotografici. Se avessi avuto problemi a disegnare una figura, mi avrebbe mostrato in due secondi cosa fare per sistemarla”.
Nonostante gli entusiasmi di Colan, il riformarsi della coppia a due decenni di distanza non diede i risultati sperati.
Il ripasso a china preciso e definito di Shores faceva a pugni con le matite selvagge e impressioniste del Decano. L’impressione generale è quella di un eccessiva pulizia del tratto, che finisce per smorzare l’espressivita e la vitalità del segno di Colan.
Per fortuna nemmeno Shores può ingabbiare la resa del movimento da parte di Colan, che in questa fase è pazzesca. A differenza di Kirby, che proiettava le sue figure avanti e verso dietro in modo che sembravano uscire dalla pagina, le figure di Gene sembrano cariche di un’enorme energia repressa.
Allo stesso modo di Frank Frazetta, Colan preferisce catturare la scena un attimo prima del punto di massima azione, per infondere una sensazione di energia trattenuta che la rende unica e avvincente.
Devil n. 65 – The Killing of Brother Brimstone
Questo storia enigmatica e tenebrosa, che ricorda i grandi film noir degli anni quaranta, non è una storia di supereroi.
Devil, che non possiede grandi superpoteri salvo il “senso radar” che gli permette di “vedere” pur essendo cieco, permette agli autori di giocare su un doppio registro.
A volte ci sono episodi che lo vedono opporsi al supercriminale di turno in uno scontro che spesso è impari, possedendo l’antagonista poteri superiori all’eroe. Altre volte ci sono episodi dove Devil si oppone ad avversari senza superpoteri come in un fumetto non supereroistico.
Questo episodio privo di supercriminali permette di osservare da vicino il particolare metodo di lavoro di Roy Thomas.
Allo sceneggiatore del Missouri piaceva prendere spunto da romanzi o da film e mescolarli insieme per ottenere qualcosa di nuovo. Gli spunti alla base di questa storia sono due.
Il primo è la serie gotica televisiva Dark Shadows, di cui Thomas era un accanito spettatore, principalmente a causa del vampiro Barnabas Collins, interpretato da Jonathan Frid, che aveva un aspetto davvero tenebroso.
“In effetti, nei giorni in cui scrivevo a casa invece che negli uffici della Marvel, allo staff (tranne a Stan, ovviamente!) era proibito telefonarmi tra le 16:00 e le 16:30, quando il telefilm andava in onda”, ricorda Thomas.
Il secondo spunto è il film di Robert Aldrich del 1968 L’assassino di Sister George, che narra come la vita di un’attrice di soap opera aveva iniziato a sgretolarsi quando il sospetto che la produzione volesse cancellare il suo personaggio dalla serie si era insinuato nella sua mente.
Karen Page, ex segretaria dello studio legale di Matt Murcock, sta lavorando come attrice a Los Angeles in una soap opera dove compare un cattivo chiamato Brother Brimstone.
All’improvviso Brother Brimstone da personaggio di finzione diventa reale, e comincia ad accanirsi contro i componenti della troupe.
La vicenda cattura la nostra attenzione all’interno di un’atmosfera di mistero carica di tensione grazie al grande lavoro fatto da Colan, che riesce a rendere alcuni particolari in modo magistrale. Uno su tutti, la nebbiolina fluida che rende le scene iniziali particolarmente suggestive.
Gerry Conway
Quando Gerry Conway arriva alla Marvel, all’inizio degli anni settanta, insieme ad altri giovani sceneggiatori come Gary Friederich e Len Wein, la Casa delle idee è in un momento di grande espansione. Dalla produzione di una dozzina di albi al mese, era passata a oltre cinquanta titoli.
Gerry Conway è sostanzialmente ancora un appassionato di fumetti nella prima fase della sua curva di apprendimento come sceneggiatore. Prima di Devil non aveva mai scritto per una serie continuativa. Non aveva idea di come destreggiarsi tra le trame e gli archi narrativi dei personaggi o come manovrare i crossover da un titolo all’altro.
Le sue prime storie appaiono un po’ rozze e bizzarre. Lui stesso, ripensando a quel periodo, si definisce “un adolescente terrorizzato” che aveva appena compiuto 18 anni.
Nella sua run, Conway crea un supercattivo di relativo successo come Man-Bull, su Devil n. 78, introduce nel n. 81 la carismatica nuova co-protagonista nella serie: Natasha Romanoff, la Vedova Nera.
Conway aveva scritto un paio di avventure sulla serie dalla breve vita di Vedova Nera e pensava che “sarebbe stata una compagna perfetta per Devil, sia come partner nell’avventura, sia come possibile partner nella vita amorosa”.
Con gli editor decise di modificare il nome della testata, che a partire dal n. 92 diventava Daredevil and Black Widow.
Gene Colan dal n. 84 al n. 98
Il periodo finale di Gene Colan su Devil è anche il più bello.
Colan, il “pittore con la matita” che ormai padroneggiava completamente l’arte delle ombre e della luce, incontra quello che diventerà il suo inchiostratore principe: Tom Palmer. Costui era uno dei pochi che riusciva a inchiostrare Colan senza seppellire le sue matite.
Lo stile unico di Colan può essere polarizzante.
I suoi fan sono sempre stati entusiasti della capacità di narrazione creativa di Colan, come della grande maestria nella resa delle atmosfere e delle emozioni. Ma il suo singolare approccio artistico, che si rifiuta di assorbire gli stili di altri disegnatori di punta della Marvel, ha spesso contrariato alcuni lettori.
Stan Lee stesso non chiese mai a Colan di imitare Jack Kirby, come aveva imposto anche a John Buscema.
Il Decano aveva già tutto dentro di se. È lo stesso Tom Palmer a spiegarlo: “La prima volta che mi trovai a inchiostrare Gene, feci tutto il possibile per trasformare le sue matite altamente evocative in disegni al tratto inchiostrati per la stampa. Ricordo che usai un’infinità di tratteggi per rendere al meglio le evoluzioni della sua matita magica”.
“Imparai presto che Gene disegnava a matita in modo molto diverso rispetto ad altri disegnatori”, continua Palmer. “Realizzava vignette caratterizzate da un’infinità di variazioni tonali, che andavano dal bianco al nero, passando per un sacco di gradazioni di grigio. Rendere il tutto in un lavoro stampabile era un’affascinante sfida che si rinnovava ogni mese”.
La differenza con Syd Shores è visibilissima. È come se il disegno si fosse liberato di una gabbia che lo imprigionava.
Il segno scorre adesso fluido e naturale, dando vita a figure indefinite ed emozionanti. L’azione diventa ancora più incontenibile caratterizzando questi ultimi numeri. Siamo purtroppo ai titoli di coda, anche se ai fan della coppia basterà acquistare la nuova serie horror della Marvel The tomb of Dracula, dove si trasferirono, per prolungare l’emozione.
Devil n. 87 – From stage left enter Electro
Fu una decisione strana quella di trasferire Devil e Vedova Nera da New York a San Francisco nel maggio del 1972.
Prendere Matt Murdock e Natasha Romanoff da una metropoli che contava otto milioni di abitanti per portarli nella quarta città più grande della California, con una popolazione di neanche 300mila persone, fu una scommessa.
Qualcuno disse che era stata un’idea di Gerry Conway, che da quelle parti aveva vissuto per alcuni mesi. Comunque la San Francisco dei primi anni settanta poteva essere lo sfondo ideale per un tipo di fumetto più impegnato, come Daredevil and the Black Widow voleva essere.
Anche se i fuochi della contestazione, scoppiati per la prima volta proprio in quella zona nel 1964, erano ormai spenti, San Francisco era ancora un laboratorio sociale a cielo aperto dove prendevano forma alcune forme di sperimentazione comunitaria.
La città ideale dove dispiegare le idee “femministe” di Conway, lasciando campo libero all’affascinante eroina russa.
L’albo inizia con una splash page che ci mostra Matt e Natasha davanti a una delle caratteristiche strade ripide. Basta questa immagine per capire che siamo a San Francisco.
A pagina 3, salito sul ponte Golden Gate, Devil pensa: “Lo facevo più grande”.
Matt prende l’autobus, Natasha guida una spider nel traffico. Quando Devil e Vedova Nera vengono fermati dalla polizia, vengono definiti “due di quei super-tizi di New York”.
Questo numero possiede una leggerezza non comune, intrisa di una malinconica allegria che lo rende senza tempo.

Gene Colan mostra come Devil affronta gli avversari
Credo che a sud del polo nord siamo in pochi ad apprezzare quella sagomaccia di Mike Murdock. Immagino Stan Lee non ci avrebbe mai pensato, se DD fosse stato un successo come F4 o Spidey, ma l’idea che un “matusa” ( come da traduzione dei tempi) e principe del foro, quando non Scavezzacollo, possa travestirsi da simpatica canaglia mi ha sempre intrigato. Il Sorridente, poi, non dimentica mai la sua cifra stilistica e fa dire a Mike Murdock che uno come lui parla sempre tanto perchè non sa mai quando qualcuno potrebbe chiudergli la bocca. Il suo momento della verità, come ammette davanti a Karen e Foggy.
Sono anni così. Il famigerato D.G. Chichester tenterà di tornare sulla caratteristica di Murdock che essere un attore capace di interpretare ruoli simmetrici, di essere un avvocato rispettoso della legge, un vigilante ed un imbroglioncello da gioco delle tre carte in strada, ma sarà tutto azzerato in un fill-in di Warren Ellis ( matite di Gammill inchiostrate da Palmer ). Naturalmente da Miller in poi la serie è diventata sempre + cupa – prima lo era stata principalmente per le matite ora di Colan ora di Kane – se non consideriamo le parentesi di Kesel e Waid, ma nel secolo scorso, proprio per il fatto di non essere una hit, dava la possibilità agli autori di sperimentare. Nel ciclio di Steve Gerber ( parzialmente disegnato dal Decano ) abbiamo letto di un attacco alla Casa Bianca da parte di due mutanti bizzarri come il Mandrillo e Nekra, di un triangolo tra Matt, Natasha e la Dragoluna e di una incursione nella palude di Ted Sallis. Io ho tanto amato da bimbo il ciclo di Lee/Colan pre Palmer ( che secondo me, con le sue chine fotografiche cristallizzava il movimento di Gene ) a rotta di collo con DD privo di ipersensi contro HYde e Cobra, poi contro il Coleottero, poi contro Trapster, poi contro Dooom fino alla fine di Mike Murdock. Tartaglione e Giacoia buoni inkers a mio avviso.
Naturalmente non è sempre vero, ma una serie in difficoltà può sbrigliare la creatività: è capitato con lo Hulk di Peter David e la Doom Patrol di Grant Morrison.
Colan ha lasciato comunque una eredità: sono figli del suo segno Tom Mandrake e Brent Anderson, del dinamico duo Colan/Palmer i lavori + recenti di Mike Deodato jr.
Lunga vita a Mike Murdock! Ciao ciao
Complimenti Gianluca! Quest’ articolo mi è proprio piaciuto!
Ciao!
L’articolo è ottimo. Mi è venuta voglia di rileggermi tutto il Devil di Colan. Le storie non erano orribili, però il motivo per leggere l’albo erano più che altro i suoi disegni. Tra i tre sceneggiatori nominati io non vedevo molta differenza se non per il fatto dei dialoghi di Lee oggettivamente più brillanti, per il resto Devil era un’imitazione di Batman anche nei villain con Jester/Joker, il Gufo/il pinguino ect., tanto che quando è arrivato Miller, per mettergli di fronte un villain all’altezza ha dovuto attingere ad un nemico di Spider-man. L’idea del fratello gemello che sbuca fuori dal niente poi è un classico delle soap-opera. Di Everett penso che oltre la cecità del personaggio ci sia anche il problema con l’alcol del padre.
Bellissimo articolo su un BIG del fumetto. Ricordo che la prima cosa che facevo, quando compravo la mia copia dell’UOMO RAGNO in edicola era andare in terza di copertina a vedere quella di DEVIL (che allora non potevo comprare), rigorosamente in bianco e nero, e rimanevo colpito invariabilmente dal titolo altisonante (aspetto giustamente messo in risalto dall’autore dell’articolo), e mi chiedevo perché i titoli degli albi del mio amato tessiragnatele non fossero altrettanto ROBOANTI. Onore al sorridente, fosse solo per questo. Concordo con l’autore nell’accostamento del RE al DECANO, perché entrambi finalizzavano il disegno all’azione. E non mi stupisce scoprire (grazie per l’informazione) che il vecchio caro Stan non avesse detto a Colan di copiare Kirby. In Colan, infatti, c’era già quello che c’era in Kirby, e cioè l’amore per il dinamismo e per l’azione. Le anatomie di Colan sono distorte e oniriche tanto quelle del RE. Ciò che conta non è rappresentare la realtà, ma reinventarla in funzione dell’azione. E cosa sono i supereroi se non AZIONE! Questo rende giusto l’accostamento tra i due BIG fatto dall’autore dell’articolo, che mi trova assolutamente d’accordo. L’amore per le varie tonalità di scuro che caratterizza il disegno di Colan ne fecero il disegnatore perfetto per un personaggio cieco, cosi come lo fecero per il re delle tenebre DRACULA. Mi sono chiesto, e giro la domanda, cosa mai avrebbe realizzato il nostrano MAGNUS, così abile con il nero, alle prese con un personaggio come Devil. Se pensiamo al suo Kriminal, lo vedrei alla grande alle prese con il supereoe cieco. Ma questa è una pura disquisizione da amante di Comics.
Vorrei sottolineare che le invenzioni del duo Lee/Colan di quel periodo furono geniali. Stilt-man lo trovo fantastico, in linea coi tempi (non dimentichiamoci che giravano tipi come l’Uomo Colla e il Coleottero, tanto per citarne alcuni) e disegnato dal Decano che rese vertiginosi i combattimenti col Diavolo, e il tanto vituperato Mike è stato recuperato nella attuale serie di Daredevil, tanto per rimarcare che poi tanto male non fu.
Ottimo articolo!. Non si loderà mai abbastanza il Decano e giustamente viene indicato Palmer come suo miglior inker. Ottimo poi l’excursus sugli scrittori, giusto sottolineare i drammatici titoli ad effetto che venivano ben resi dalla Corno (“Uccidi! Urla Man-Bull”, “Se un occhio ti offende …”). Il mio Decano era quello della Tomba di Dracula, ma non nego che fosse grande anche in Devil e Cap. La necessaria antitesi a Kirby.
A proposito di lodi, l’Iron Man del Decano è a mio avviso il piu bell’Iron Man di tutti. Ancora ricordo il numero nel quale faceva uscire le rotelle sotto gli stivali dell’uomo di ferro facendoli diventare a tutti gli effetti dei pattini a reazione. Che immagini, e che forza quell’armatura nelle sue mani. Con quelle pose un po distorte e dinamiche sapeva creare veramente dei capolavori. Insieme al suo Devil (scusate ma per uno della prima ora come me Daredevil suona male) io metterei Iron Man a parimerito, anche prima del suo Dracula. Vorrei suggerire al Dr Trogi, del quale credo mi accingero’ presto a fondare un Fan Club, un articolo su Larry Lieber, il fratello di Stan, e sul suo reale ruolo nella nascita della Marvel. Credo sia stato importante ma non so in che modo.