EZIO BARBIERI, IL GENTILUOMO DELLA LIGERA
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Google+ (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)

Il 30 aprire 1945, cinque giorni dopo la liberazione dalla dittatura nazifascista, a Milano di armi ne girano parecchie. Per il ventitreenne Ezio Barbieri e i suoi amici è uno scherzo procurarsi pistole e mitra. Riescono pure a rubare una delle poche auto in circolazione, una veloce Lancia Aprilia targata 777.
Indossando giacconi neri che ricordano quelli della polizia, la banda forma un posto di blocco nella strada proprio dietro la questura. Ezio ha un pizzetto inconfondibile alla D’Artagnan e, come il moschettiere, si inchina sorridendo ironicamente. Solo che, con il suo tono gentile, impone agli allibiti passanti di consegnare il portafoglio.
Ma quando uno dei suoi complici cerca di strappare la collanina d’oro dal collo di una donna, lui lo ferma ricordandogli di comportarsi da gentiluomo. Pochi minuti dopo, i banditi risalgono sull’Aprilia e scompaiono dalla circolazione.
Da dove è spuntata questa strana banda di criminali?
Ezio Barbieri nasce a Milano, il primo novembre 1922. Figlio di un maestro di musica e di una sarta, cresce nel periferico quartiere Isola. Il nome del quartiere dalle rotaie della ferrovia che le girano attorno, dando l’impressione di isolarlo dal resto della città. Il quartiere è famoso soprattutto per essere il centro della ligera, la storica malavita milanese.
Arriviamo al 1943, quando gli effetti della Seconda guerra mondiale iniziano a farsi sentire nella città bombardata da americani e inglesi. «Sono diventato un bandito perché vedevo tutte le mattine mia madre alzarsi alle quattro e fare ore di coda per avere mezzo chilo di pane», racconterà Barbieri. Fino a quel momento aveva abbandonato un mestiere dopo l’altro: tipografo, imbianchino, barbiere, fattorino. Adesso, a 21 anni, guadagna molto di più vendendo alla “borsa nera” i prodotti divenuti scarsi a causa della guerra. Soprattutto alimentari, ma anche sigarette e benzina.
Nel 1945, pochi giorni dopo la rapina ai danni dei passanti, Ezio decide di organizzare imprese più clamorose. È a capo di alcuni sbandati che solo una settimana prima erano partigiani, fascisti e disertori. Insieme a loro assalta alcuni depositi di alimentari, dato che il cibo è diventato sempre più prezioso a causa della disorganizzazione in cui versa il Paese.
Una parte della refurtiva viene regalata ai poveri del quartiere Isola, per garantirsi il silenzio della popolazione. Ad agosto dello stesso anno, Ezio Barbieri incontra e arruola il braccio destro che sta cercando da tempo. Si chiama Sandro Bezzi, un disertore della Marina che aveva sposato una cantante della quale si era invaghito.
Alla fine della guerra, di ritorno da un campo di concentramento tedesco, aveva scoperto la moglie nelle braccia di un altro. Sconvolto, si era messo a rapinare negozi. Proprio di un uomo così, determinato e coraggioso, ha bisogno il boss dell’Isola. Ma a Barbieri non interessano le rapine ai negozi, perché ormai punta in alto: alle banche.
Anche nelle nuove rapine il boss, a causa del suo narcisismo, agisce sempre a viso scoperto e si distingue per la sua creatività: una volta, per distrarre i cassieri, manda una bionda prosperosa a spogliarsi davanti a loro. Nessuno viene mai ucciso perché ha ordinato ai suoi di sparare raffiche di mitra solo sul pavimento o sul soffitto, a scopo intimidatorio. Le leggi della vecchia ligera, che impongono il rispetto della vita umana, non sono ancora cadute in disuso.
Durante le fughe la banda risulta sempre irraggiungibile perché l’Aprilia, in grado di toccare i 125 km orari, è più veloce delle jeep (che non arrivano ai 100 km) offerte dall’esercito americano alla polizia italiana.
La polizia non è abituata agli inseguimenti anche perché nel precedente regime fascista, famoso per la sua durezza, nessuno si sognava di rapinare le banche. Inoltre, quando la banda dell’Aprilia raggiunge il quartiere Isola, gli agenti si scontrano con la scarsa collaborazione della popolazione locale.
A un certo punto Ezio Barbieri si trasferisce insieme all’amico Sandro Bezzi, in tutt’altra zona. Va ad abitare al quinto piano di una casa elegante di Porta Magenta. Il piano è diviso in due appartamenti, nei quali vivono con le rispettive amanti.
Barbieri si tiene vicino il socio anche per controllarlo, perché non gli piace la piega che sta prendendo. Mentre lui lavora d’astuzia, il braccio destro, duro e violento com’è, preme sempre più svelto il dito sul grilletto e alla fine potrebbe scapparci il morto.
Intanto, la polizia ha individuato Mino Regonini, l’autista della banda dell’Aprilia. Regonini ama vantarsi delle proprie imprese quando beve un bicchierino con gli amici, e questo ne permette l’arresto in un bar di corso XXII marzo. Dopo un interrogatorio piuttosto ruvido, l’autista della banda finisce per rivelare il nuovo indirizzo del capo.
Il 2 novembre, la polizia irrompe nella casa di Porta Magenta. Barbieri e Bezzi se ne accorgono all’ultimo momento e bloccano gli agenti sulle scale del secondo piano, sparando raffiche di mitra e lanciando bombe a mano. Poi fuggono sui tetti, ma vengono feriti dai colpi della polizia e catturati in un garage vicino.
Mentre viene trascinato al carcere di San Vittore, Ezio Barbieri dice ai giornalisti che non vi rimarrà per molto. Infatti, solo un paio di mesi dopo, il 4 gennaio 1946, evade insieme a Sandro Bezzi. Quest’ultimo ha rischiato di non farcela perché, a causa delle ferite non ancora del tutto rimarginate, per un momento Barbieri aveva pensato di abbandonarlo sotto il muro di cinta. Tanto basta a Bezzi per offendersi e decidere di mettersi in proprio.
Ezio Barbieri chiude con il crimine, anche perché ha messo da parte abbastanza soldi per poter vivere agiatamente. Con una nuova amante, Fulvia, va ad abitare sotto falso nome a Novara, il capoluogo piemontese non distante da Milano, sperando che nessuno lo riconosca.
Invece, dopo pochi giorni, viene arrestato di nuovo. Chiede agli agenti venuti a prenderlo se può andare un attimo in bagno, il permesso gli viene accordato e lui ne approfitta per scappare da una finestrella. La polizia, beffata, lascia libera Fulvia per controllare la sua casa, pensando che prima o poi l’amante verrà a trovarla. Barbieri arriva una notte senza farsi vedere, e se la porta via indisturbato.
Il 26 febbraio è il giorno che lega per l’ultima volta il destino dei due ex amici. Sandro Bezzi è andato ad abitare in una casa del quartiere milanese di Greco, dove, per sua sfortuna, alloggia anche la fidanzata di un tenente di polizia. Quest’ultimo, notando uno strano via vai di loschi figuri, intuisce che quello è un covo di criminali.
Di sera, fa circondare l’abitato dai suoi colleghi per controllare chi esce. E a uscire è proprio Bezzi, insieme a un socio. Appena vedono gli agenti, i due si danno alla fuga. Il complice cade ferito per un colpo di pistola, mentre Bezzi lancia una bomba a mano facendo saltare per errore una donna di passaggio. Poi ruba la bicicletta a un ragazzo e cerca di darsi alla fuga, ma muore falciato dalle raffiche dei mitra.
Nelle stesse ore, altri poliziotti accorrono a Rho (una città alle porte di Milano), dove, secondo una telefonata anonima, Ezio Barbieri si nasconde con Fulvia. Dopo aver circondato la casa, gli agenti gli intimano di arrendersi. Buttandosi dalla finestra, Barbieri tenta la fuga a piedi, ma un proiettile lo ferma ferendolo al braccio. Ormai la polizia ha imparato a giocare duro con i delinquenti di quello stampo, e anche la sorveglianza nel carcere di San Vittore è migliorata.
Tre mesi dopo, la domenica di Pasqua del 21 aprile 1946, Barbieri partecipa alla più grande rivolta carceraria di tutti i tempi. Dopo aver saccheggiato l’armeria, i rivoltosi prendono in ostaggio una trentina di secondini. In qualità di portavoce, il ventiquattrenne Barbieri chiede la mediazione di Ildefonso Schuster, cardinale di Milano, che però preferisce non intervenire.
Durante la rivolta, Barbieri viene a sapere che la fidanzata gli ha dato un figlio, Vittorio: «È un amore di bambino che pesa 9 chili con il mitra», scherza con gli altri detenuti. Dopo quattro giorni di occupazione, alcune unità di carabinieri e di bersaglieri espugnano il carcere facendo cinque morti e più di cento feriti.
Alla fine del suo processo, a Barbieri vengono cumulate le pene per i reati più disparati, per un totale di 30 anni di carcere duro. Torna in libertà nel 1971, con cinque anni di anticipo. Nella città siciliana di Barcellona Pozzo di Gotto, all’età di 49 anni, Ezio Barbieri si rifà una vita come commerciante. Si sposa due volte e compra una bella villa sulle colline vicine.
Sempre lucido e vivace, a chi gli chiede perché durante le sue imprese appariva sempre sorridente, Ezio Barbieri risponde: «Ero uno spaccone, d’accordo, ma quando si è giovani può venir voglia di ridere. Però se ci avesse lasciato la pelle un poveraccio, magari un padre di famiglia, non avrei riso per niente». È morto nel 2018, a 95 anni.
(Per gli altri articoli sui delitti famosi pubblicati da Giornale POP clicca QUI).
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Google+ (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)