DAVID LYNCH, REGISTA INTRANSIGENTE

Dal 2006, anno in cui è stato distribuito nelle saleInland Empire, David Lynch ha diretto soltanto alcuni cortometraggi, compreso lo spot per DiorLady Blue Shangai, interpretato da Marion Cotillard, e un paio di serie televisive, tra cuiTwin Peaks – Il ritorno. Sembra incredibile che uno dei più importanti registi viventi sia riuscito a girare soltanto due opere cinematografiche negli ultimi vent’anni: se si considera oltretutto la pochezza di molti film americani (anche “firmati”) che escono nelle sale da un po’ di tempo a questa parte. Cresce quindi il rimpianto per i tanti progetti che Lynch ha dovuto forzatamente lasciare per strada: dal vecchio soggetto intitolatoRonnie Rocket, storia di un piccolo ragazzo dai capelli rossi e dalle strane facoltà, che negli anni ottanta sembrava potesse vedere la luce grazie alla Zoetrope di Francis Coppola, a uno degli ultimi, il film su Marylin Monroe che avrebbe dovuto intitolarsiThe Goddess. D’altronde, è abbastanza evidente che nella situazione attuale le idee di Lynch non siano in linea con il sistema produttivo, e che il regista non voglia adeguarsi, insistendo con orgoglio nel suo essere poco conciliante (da antologia la frase“il film è mio e ci metto tutti i conigli che voglio”). Al contempo, però, è troppo interessato a esplorare ogni genere di linguaggio per rinunciare ad alcune committenze (e il committente evidentemente ne apprezza il talento al punto da accettare uno spot che è tutto tranne che uno spot). La componente umoristica presente in molte opere di Lynch è forse alla base di una certa avversione nei confronti del suo cinema. Umorismo attraverso cui prende in giro, con feroce sarcasmo, la seriosità che spesso costituisce l’involucro delle produzioni hollywoodiane: il connubio, paradossale, con l’apparente cupezza dei film crea un cortocircuito perverso che sgomenta. Del resto, una linea sottile può separare la situazione più drammatica dal suo risvolto comico, e Lynch è un maestro nel confondere i due registri. InVelluto blula stridente tensione tra essi si avverte maggiormente: sin dall’inizio, con l’uomo che innaffiando il prato viene stroncato da un infarto, scena che sembra uscire da un film di Frank Tashlin/Jerry Lewis. Ma momenti con varie gradazioni da cinema brillante (quando non addirittura farsesco) sono presenti in quasi tutti i lavori di Lynch: daEraserahead – La mente che cancellaal cortometraggioThe Cowboy and the Frenchmanfino aCuore selvaggio; daTwin PeaksaUna storia vera. Non a caso, tra i cineasti prediletti figuranoBilly WildereJacques Tati(ma anche Fellini, Kubrick e Hitchcock, nelle cui opere di sicuro non manca la componente comica). Il film che lo rivelò nel 1980,The Elephant Man, fu prodotto da Mel Brooks.Senza contare la passione lynchiana per i cartoni animati come Woody Woodpecker/Picchiarello. PersinoInland Empiresembra proprio la parodia seria, definitiva, di tutto un fare cinema, produttivo ed espressivo (e che comprende il punto di vista dello spettatore, perché si “fa” cinema anche guardandolo), già ampiamente destrutturato in precedenza. Sperando quindi di poter vedere presto un nuovo lavoro di David Lynch nelle sale, scorriamone la filmografia attraverso una serie di sequenze e dichiarazioni di e su di lui. David Lynch Un film, per come la vedo io, dovrebbe avere dei contrasti. Dovrebbe mostrare molti tipi diversi di sentimenti che formano un tessuto. È un percorso fatto di cose scioccanti e di cose tenere. La cosa eccezionale di David è che non prende spunto da nulla in particolare. Non legge i giornali e non guarda la tv. Tutte le idee di David sono interamente farina del suo sacco. Una volta c’era il circuito d’arte e d’essai, dove circolavano i miei film. Oggi il cinema alternativo è sempre più in un angolo, schiacciato dai blockbusters. È fantastico lavorare con lui.È molto vicino all’attore. È molto chiaro sulle caratteristiche che i personaggi devono avere. Quando dirige siede vicino alla cinepresa e si sentono sempre le sue reazioni. La maggior parte dei film rispecchia il mondo in cui viviamo. Sono storie. Nelle storie non mancheranno mai i conflitti. I ricchi e i poveri, i buoni e i cattivi. Attratto dall’anormalità e dalle situazioni esasperate, Lynch si è attirato spesso l’incomprensione di critica e pubblico. Secondo me è pericoloso affermare che un personaggio femminile di un film rappresenti tutte le donne, o uno maschile tutti gli uomini. Alcuni critici cinematografici amano le generalizzazioni. Ma si tratta di “quel” personaggio preciso, in “quella” storia precisa, che percorre “quella” strada precisa. Preferisco un minuto di David Lynch a cinque ore di Spielberg. Le cose sono cambiate molto. Tanti film non vanno bene al box office anche se, sulla carta, sarebbero dovuti essere meravigliosi e quelli che vanno bene non sono proprio quelli che mi piacerebbe fare. La fantasia più ossessiva è per Lynch quella della “generazione”, la metafora della procreazione come immagine di ogni creazione, di ogni formarsi di forme e di immagini. Lavorando a un quadro o a una foto, può scattare un’idea cinematografica. Anzi, il cinema m’è apparso un naturale complemento quando a vent’anni seguivo i corsi di Belle Arti a Philadelphia. Stavo dipingendo un giardino verde su una tela nera, che un colpo di vento ha fatto vibrare: avrei voluto che l’immagine continuasse a muoversi, su un’onda musicale. Di Lynch si può dire che ha rinnovato il cinema attraverso il suono: se il suo découpage visivo resta classico e trasparente (ma con una sorta di deformazione che attesta una volta di più la forza del cinema, dove il minimo scarto in rapporto alle regole risulta tanto ricco di effetti), il suo découpage sonoro è decisamente personale. Il suono ha una funzione precisa, quella di spingerci avanti nel film, di farci subito sentire al suo interno, avviluppati dalla sua durata. Con tutto il mio amore per David Lynch, Inland empire e l’ultima serie di Twin peaks erano molto, molto pesanti. Non che i film precedenti fossero comprensibili, ma il suo bello era anche quello, non si capisce ma si prova piacere, come davanti a certi quadri astratti, ma le ultime prove erano proprio lente nel ritmo. Deve essere colpa della meditazione trascendentale, se ti elevi troppo poi hai difficoltà a raccontare sesso, violenza e stranezze oppure è solo l’età. Sinchè è vivo c’è speranza, quanto è vero che un regista, anche dopo anni di maialini coraggiosi e pinguini ballerini può venirsene fuori con un capolavoro !