DA KRAZY KAT AL GATTO DI FRANCO MATTICCHIO

DA KRAZY KAT AL GATTO DI FRANCO MATTICCHIO

Esiste un luogo dove i topi amano i gatti e questi ultimi passeggiano sulla Luna, mentre cani ed esseri umani sono costretti a subire le loro stravaganti angherie. Tale incredibile mondo non si trova in un’altra dimensione o su un pianeta alieno, ma proprio qui, sulla Terra, tra le pagine di quegli illustratissimi e variopinti albi che chiamiamo fumetti.

Simpatici e pestiferi felini vivono nel mondo delle nuvolette sin dalle origini di questo particolare medium, caratterizzandosi per originalità e forza trasgressiva. I mici di carta, pur apparendo talvolta estremamente differenti da quelli reali per aspetto e comportamento, riescono a mantenere intatta la loro essenza, la loro felinità, tanto da essere animali domestici e selvatici al medesimo tempo. Sono pronti a convivere con gli esseri umani, ma solo alle proprie condizioni.

Questa  contraddizione, nelle tavole disegnate, si manifesta attraverso nonsense, ardite soluzioni grafiche, strizzatine d’occhio all’arte moderna, desiderio di indipendenza e trasgressione. Il big bang di questo particolare universo, che spesso viola le leggi della fisica che conosciamo, è datato 1910, quando prende vita la prima striscia avente quale protagonista un gatto. Si tratta di Krazy Kat, un fumetto decisamente innovativo anche per quei pionieristici anni.

Il creatore George Herriman imbastisce un teatrino con pochi personaggi e un copione dalle regole da una parte rigide e dall’altra libere. Nell’immaginaria città di Coconino il gatto Krazy Kat (di cui non viene mai specificato il sesso) è innamorato del topo Ignatz. Quest’ultimo reagisce lanciando mattoni. Per i suoi atti violenti il topo finisce in gattabuia per l’intervento del cane poliziotto Offissa Pupp, a sua volta infatuato di Krazy.
Herriman ha così gettato le basi per una visione dei gatti surreale ed anarchica destinata a tenere banco fino ai giorni nostri.

Nel successivo Felix the Cat (noto in Italia anche come Mio Mao) mutano personaggi e luoghi, ma la musica fondamentalmente non cambia. Creato nel 1917 da Pat Sullivan come cartone animato, nel 1923 Felix viene trasferito anche nei fumetti da Otto Messmer. Si tratta di un gatto dai comportamenti umanizzati ma dotato di una logica assurda, tanto che nelle sue avventure tutto è possibile, con oggetti che si trasformano e comiche situazioni ambientate sulla Luna.

Le mode passano, ma la pervicace indipendenza dei gatti non tramonta. Non stiamo a elencarli tutti perché non basterebbe un libro, e arriviamo al soggetto principale di questo articolo.
Negli anni ottanta Franco Matticchio comincia a scrivere e disegnare brevi storie di Jones, un gatto antropomorfo che ha assorbito e rielaborato la lezione di Herriman, anche se l’autore italiano sostiene che, in realtà, il suo non è un gatto (guardatelo e giudicate voi).

DA KRAZY KAT AL GATTO DI FRANCO MATTICCHIO

Le storie sono talvolta mute, imprevedibili e irreali.  Lasciano spazio a un mondo onirico e visionario del quale Jones è talvolta protagonista involontario e talvolta solo spettatore. Forse il fatto che Franco Matticchio gli abbia fatto assumere forma semiumana ne ha indebolito l’essenza felina quasi onnipotente dei suoi predecessori di carta, pur mantenendolo al contempo molto più incontrollabile, mutevole e inarrestabile, di noi semplici umani.

DA KRAZY KAT AL GATTO DI FRANCO MATTICCHIO

Il suo nome completo è Ezekkiah Jones, ma da bambino lo chiamavano semplicemente Zeke. Ha una benda da pirata sull’occhio sinistro (sin da piccolo) anche se non si sa il perché. A chi scrive questo suo aspetto polifemico ricorda uno sketch del comico Francesco Salvini, che aveva battezzato con il nome Categorico un pupazzino saltellante con un solo occhio, che a suo dire (proprio perché monocolo) aveva un solo punto vista ed era perciò categorico nelle sue opinioni. Ma a parte questa menomazione fisica i due sono molto differenti, perché Jones appare aperto a ogni soluzione incredibile, muovendosi in brevi racconti ove tutte è possibile.

Potremmo dire che i fumetti di Franco Matticchio sono principalmente in bianco e nero, anche se nelle storie di Jones ne succedono di tutti i colori.
Jones litiga con un cuscino che prende vita, insegue il suo cappello su alberi che sembrano non avere mai fine, vede crescere e prendere vita i fiori sulla sua camicia hawaiana. All’inizio si stupisce anche lui di tante stravaganze, ma poi si lascia trasportare, novello Gulliver del sogno e del nonsense.

D’altra parte, se può esistere un gatto antropomorfo possono esserci anche luoghi fantastici dove sogno e realtà si confondono, convivono e talvolta lottano tra loro. Anche se non è chiaro quale sia il vincitore.
Con un tratteggio dal sapore vagamente ottocentesco e storie che ricordano la slapstick comedy e il limerick per immagini invece che per versi, Jones è un novello Alice in fumetti di meraviglie.

Che importa se le trame non hanno senso (ma veramente non ne hanno?), l’importante è che ci incantino e ci trascinino al loro interno trasformando anche noi, per il tempo della lettura, in piccoli Jones e in piccole Alici.

 

 

 

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