COSA NE SAI DELLA BANDA DELLA MAGLIANA?

Il 14 maggio 2012, da una cripta negli antichi sotterranei della basilica romana di Sant’Apollinare viene aperto un sarcofago di marmo, dal quale viene estratta una bara di zinco, poi una di rame e infine una di legno. Il corpo all’interno, benché sepolto da 22 anni, è ancora in buono stato, tanto che vengono prese facilmente le impronte digitali dai polpastrelli.
Non ci sono dubbi, si tratta di Enrico De Pedis, un boss storico della banda della Magliana. Da tempo si sapeva che era sepolto lì, ma cosa ci faceva in quella chiesa prestigiosa? Un portavoce vaticano ha dichiarato che la famiglia di De Pedis aveva ottenuto l’autorizzazione versando una forte somma di denaro per le opere pie della Chiesa. Non tutti, però, sono convinti.
Secondo la sua vecchia compagna Sabrina Minardi, De Pedis era coinvolto nel caso di Emanuela Orlandi, la figlia di un commesso del Vaticano misteriosamente scomparsa nel 1983. La Minardi aveva raccontato agli inquirenti una storia incredibile di cardinali e festini che non si è mai potuto verificare.
Inoltre, Emanuela Orlandi era stata vista per l’ultima volta proprio nei pressi di Sant’Apollinare. Dopo aver fatto portare via i resti di De Pedis per seppellirli in un cimitero “normale”, i magistrati fanno sfondare il muro accanto alla cripta, dove si trovano duecento casse piene di ossa. Si farà l’esame del Dna sulle ossa recenti per essere sicuri che tra di esse non ci siano anche quelle della Orlandi. E questo è solo uno dei tanti misteri della banda che trent’anni fa ha terrorizzato Roma e l’Italia.

La Magliana è un popoloso quartiere romano che nasce con l’abusivismo edilizio degli anni sessanta in una zona sotto gli argini del Tevere, quindi soggetta alle inondazioni. All’epoca, intorno a Roma ci sono ancora le baraccopoli e chi cerca disperatamente una casa non sta a sottilizzare.
La banda che prende il nome da questo quartiere si forma nel 1977 in maniera fortuita, per l’incontro di tre malviventi. Il primo, che diventerà anche il più importante, è Francesco Giuseppucci. L’uomo possiede una roulotte piena di armi che presta o conserva per le bande criminali della zona.
Tra i suoi “clienti” c’è Enrico De Pedis, il quale gli lascia in custodia un borsone pieno di armi. Giuseppucci le nasconde provvisoriamente sul suo maggiolino, che gli viene rubato appena va al bar per un caffè. Dell’auto non gli importa, ma da alcune voci viene a sapere che le armi sono state rivendute in un bar malfamato del quartiere San Paolo.
Le ha comprate Maurizio Abbatino, noto per riuscire a guidare l’auto a tutta velocità nelle trafficate strade romane, un’abilità preziosa durante le fughe dopo le rapine. In breve, intorno a un tavolo si siedono Giuseppucci, ossia il “custode” a cui hanno rubato le armi, De Pedis, il proprietario delle suddette, e Abbatino, l’uomo che le ha comprate dal ladruncolo.
Invece di litigare, su suggerimento di Giuseppucci i tre decidono di mettersi in società. In apparenza sembra si stia formando una banda come tante altre, ma non è così, perché i tre sono stati indirettamente influenzati dalle idee dell’ancora poco noto Raffaele Cutolo, il fondatore della Nuova Camorra Organizzata.
Cutolo, ispirandosi alla mafia siciliana, sostiene che invece di rimanere divisa in tante bande di quartiere, la camorra napoletana dovrebbe costituirne una sola, assorbendo o eliminando le altre. Solo così si potrà gestire in maniera efficace il lucroso mercato della droga, che proprio negli anni settanta è in piena espansione.
L’idea “metropolitana” convince i romani anche se poi i giornali li chiameranno la Banda della Magliana, cioè di un quartiere solo, perché la maggior parte dei fondatori proviene da lì. Per comprare la droga ci vogliono tanti soldi, per questo la banda decide di finanziarsi sequestrando il duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere. Dopo aver ottenuto il cospicuo riscatto di un miliardo e mezzo di lire, lo uccidono invece di liberarlo.
Per poter smerciare l’eroina e la cocaina in maniera centralizzata occorre però che, come stabilito dall’inizio, tutta la malavita cittadina si compatti, il che non è un’operazione facile. Dalla fine della guerra, Roma è stata spartita da “batterie” di quattro o cinque criminali che gestiscono zone ben delimitate dei singoli quartieri. Nelle strade in sua gestione una batteria può fare quello che vuole, al di fuori di esse nulla.
Quelli della Magliana cercano di convincere tutte le batterie a obbedire ai loro ordini, perché entrare in una grande organizzazione conviene anche a loro. Tra i nuovi acquisti c’è Danilo Abbruciati, boss del quartiere Testaccio, lo stesso dal quale proviene De Pedis. Chi non accetta di unirsi viene ammazzato senza tanti complimenti, come Franco Nicolini, il malvivente che controlla il giro delle scommesse all’ippodromo.
La criminalità romana, non abituata agli omicidi facili, si arrende di fronte alla prepotenza. D’altra parte quelli della Magliana non vogliono apparire troppo esosi; ogni batteria, una volta assolti gli impegni nello spaccio della droga, può continuare a svolgere le attività criminali che crede senza dover renderne conto a nessuno.
A loro volta quelli della Magliana si occupano di attività parallele, come il gioco d’azzardo, la prostituzione, le scommesse clandestine e il traffico d’armi. Tutti i membri ricevono una percentuale sui guadagni, chiamata “stecca”, anche quando finiscono in prigione. E se uno cerca di fare il furbo, viene ucciso senza tanti complimenti.
È quello che succede, per esempio, a un tizio accusato di tagliare per conto suo la cocaina (cioè sostituirne una parte con un’altra sostanza di poco valore) che doveva spacciare. I membri fondatori si arricchiscono rapidamente, ora indossano Rolex e guidano Ferrari, ma continuano a partecipare personalmente alle maggiori operazioni, compreso quello che è diventato il loro capo carismatico, Franco Giuseppucci.
Diversi componenti della Banda della Magliana, pur rimanendo criminali comuni, simpatizzano per il neofascismo. Nella fine degli anni settanta sono attivi soprattutto i gruppi terroristici di sinistra, come le Brigate Rosse (che nel 1978 rapiscono e uccidono Aldo Moro), ma c’è fermento anche nell’estrema destra.
Uno dei principali intellettuali neofascisti è il professor Aldo Semerari, psichiatra forense, che si lega ad alcuni membri della banda e li aiuta in tribunale quando vengono arrestati. Semerari morirà pochi anni dopo, decapitato dal camorrista Umberto Ammaturo, compagno della famosa Pupetta Maresca, perché lo psichiatra si era alleato con il suo nemico Raffaele Cutolo.
Soprattutto, Giuseppucci, Abbatino e Abbruciati frequentano i giovani terroristi neri dei Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar). Uno dei loro capi, Valerio Fioravanti, da bambino era diventato famoso come attore nella serie televisiva La famiglia Benvenuti. La sua carriera nel mondo dello spettacolo era finita nel 1975, nella parte del timido adolescente in una commedia sexy con Edwige Fenech.
Negli anni successivi, Fioravanti inizia una lunga attività di bombarolo neofascista. Data la simpatia reciproca, Nar e Banda della Magliana collaborano finanziandosi a vicenda nei momenti del bisogno e costituendo un deposito d’armi in comune nei sotterranei del Ministero della Sanità.
Proprio qui la polizia trova le armi usate per uccidere il giornalista Mino Pecorelli, che stava cercando di ricattare Giulio Andreotti e altri politici. Non si è mai scoperto il mandante degli assassini, ma i giudici, che hanno assolto alcuni indagati, scrivono nella sentenza che i responsabili sono appartenenti della Banda della Magliana in contatto con politici di primo piano dell’area governativa.
Il declino della banda inizia nel 1980, quando la numerosa famiglia Proietti, a capo della Banda dei Pesciaroli (chiamata così perché controlla il mercato ittico), decide di non sottostare più allo strapotere della Magliana. Il 13 settembre, i Proietti ammazzano Franco Giuseppucci, il boss dei boss. Ce l’avevano con lui da quando aveva fatto uccidere il loro amico Franco Nicolini, quello che controllava le corse ippiche.
In seguito i Proietti vengono sterminati, ma la Banda della Magliana, senza più Giuseppucci a guidarla, perde la coesione che fino a quel momento l’aveva resa invincibile. Si formano due gruppi, uno di Abbruciati e De Pedis (originari del Testaccio) e l’altro guidato da Abbatino (nato nella Magliana). Il primo gruppo, che all’inizio è il più forte, inizia a dedicarsi alle operazioni di riciclaggio di denaro sporco nell’alta finanza.
Il secondo gruppo, invece, vorrebbe limitarsi allo spaccio di droga. Inevitabilmente, nel 1981 scoppia la guerra tra le due fazioni. Si ammazzano tra loro e i membri finiti in prigione cominciano a diventare “pentiti”, cioè vuotano il sacco alle autorità, per timore di essere fatti fuori. La polizia può finalmente vederci chiaro su come si è ristrutturata la criminalità della capitale e organizzare le prime ondate di arresti.
Stufo della situazione, Abbatino decide di regolare una volta per tutti i conti con gli ex soci del Testaccio guidati ormai dal solo De Pedis, perché Danilo Abbruciati è stato ucciso da un agente mentre tentava di sparare alle gambe di un banchiere per intimorirlo.
Quello che non va giù ad Abbatino è la decisione dei testaccini di voler per entrare nel complicato mondo finanziario, alleandosi con personaggi ambigui come Roberto Calvi, il presidente di un’importante banca che verrà trovato impiccato sotto un ponte di Londra.
Alcuni uomini di De Pedis, temendo di venire prima o poi eliminati da Abbatino, che ha conquistato la maggioranza della banda, si arrendono alla polizia e spifferano tutto quello che sanno su omicidi, ferimenti, rapine, armi vendute nel mercato internazionale e quintali di droga spacciati nelle strade di Roma.
I pentiti parlano anche dei legami della banda con politici, cardinali e alta finanza, oltre che con il terrorismo, ma non sempre vengono creduti. Nel dicembre del 1983 avviene una grande retata che arresta quasi tutti i componenti della Banda della Magliana. Tra i pochi che riescono a sfuggire ci sono i due capi nemici, De Pedis e Abbatino. Ormai siamo alle ultime battute.
Nel 1990, Enrico De Pedis viene attirato da uno dei suoi uomini di fiducia, Angelo Angelotti, in un negozio di antiquariato, per permettere a un killer del gruppo rivale di ucciderlo a colpi di pistola. Però Maurizio Abbatino non grida vittoria, anzi, getta la spugna perché sente il fiato della polizia sul collo. Cerca di ricostruirsi una vita in Venezuela, dove nel 1992 viene arrestato a Caracas dall’Interpol mentre esce da un night. L’anno dopo si “pente” anche lui, facendo arrestare gli ultimi rimasugli della Banda della Magliana.
La storia di questi delinquenti romani ha ispirato Romanzo criminale, il libro di Giancarlo De Cataldo diventato un film diretto da Michele Placido e una serial televisivo diretto da Stefano Sollima (nell’immagine di apertura dell’articolo). L’ultimo colpo dei veterani della banda della Magliana l’ha compiuto Angelo Angelotti, 61 anni, detto il Giuda per aver tradito Enrico De Pedis. Angelotti è stato ucciso da una guardia giurata a Roma il 28 aprile 2012, mentre tentava di svaligiare un blindato pieno di gioielli.
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