CORSICA, UN SASSO NEL CUORE

“Maman, cette pierre, on dirait la Corse!” Mamma, questa pietra sembra la Corsica!
E sì, quante volte l’avrò sentita questa frase in bocca a dei bambini, o anche a degli adulti, estasiati vedendo che il profilo di un sasso trovato sul bagnasciuga di una spiaggia dorata corrispondeva a quello della loro isola. E ogni volta c’era tutto: il golfo di Ajaccio, quelli di Sagone e di Valinco e, soprattutto, il dito, sì, il dito indice puntato verso Genova, come a rimpiangere un’antica appartenenza.
Pensandoci bene non ho mai sentito un sardo dire che un sasso gli ricordasse la Sardegna, o un siciliano dire altrettanto per la sua isola. Sarà forse perché la Sardegna e la Sicilia hanno dei contorni troppo scontati: un rettangolo e un triangolo; tutto sommato, si possono trovare ovunque, ma la Corsica solo una natura paziente e ostinata può scolpirla, limarla, levigarla e fartela trovare nella sabbia calda dell’estate, lungo un sentiero di montagna, o su un marciapiede freddo di una città lontana. O sarà forse per una particolarità dei corsi nostalgici di cercare intorno a loro, e spesso trovare, tutto quel che potrebbe rapportarsi alla loro bella Cyrnos.
I corsi, come tutti i popoli stanziati intorno al Mediterraneo, hanno conosciuto e soffrono ancora l’esilio. E tutti sono profondamente nostalgici. Spesso riescono a trovare dei paesani sulle aride sponde straniere, ed è allora l’occasione di una rimpatriata a base di figatelli, di cannoli siciliani, di pizza con la mozzarella di bufala portata da un parente appena arrivato dalla Campania, o di pane carasau e Malvasia di Bosa.
Ma al corso è stato concesso qualcosa in più: un giorno grigio e triste, quando il cielo è troppo pesante e tutto va storto e nessuno lo capisce, esce di casa, dà un calcio a un barattolo di latta, inciampa su un sasso, torna indietro, e guardandolo s’accorge che la sua forma è quella della sua cara Corsica. Allora lo raccoglie, lo pulisce con la manica del maglione e lo preme contro il cuore.