Categories: Comic book

CONOSCI LA LINGUA IMMAGINARIA DI TARZAN?

History is littered with hundreds of conflicts over the future of a community, group, location or business that were “resolved” when one of the parties stepped ahead and destroyed what was there. With the original point of contention destroyed, the debates would fall to the wayside. Archive Team believes that by duplicated condemned data, the conversation and debate can continue, as well as the richness and insight gained by keeping the materials. Our projects have ranged in size from a single volunteer downloading the data to a small-but-critical site, to over 100 volunteers stepping forward to acquire terabytes of user-created data to save for future generations. The main site for Archive Team is atarchiveteam.organd contains up to the date information on various projects, manifestos, plans and walkthroughs. This collection contains the output of many Archive Team projects, both ongoing and completed. Thanks to the generous providing of disk space by the Internet Archive, multi-terabyte datasets can be made available, as well as in use by theWayback Machine, providing a path back to lost websites and work. Our collection has grown to the point of having sub-collections for the type of data we acquire. If you are seeking to browse the contents of these collections, the Wayback Machine is the best first stop. Otherwise, you are free to dig into the stacks to see what you may find. The Archive Team Panic Downloadsare full pulldowns of currently extant websites, meant to serve as emergency backups for needed sites that are in danger of closing, or which will be missed dearly if suddenly lost due to hard drive crashes or server failures. Il fumetto è un linguaggio privo di una vera e propria dimensione sonora percepibile, ma al tempo stesso è basato su dialoghi che ognuno può immaginare di sentire diversamente nella propria testa. Quindi questa forma narrativa popolare, i cui eroi spesso vivono avventure a contatto con popoli diversi, dovrebbe affrontare anche il problema di come differenziare il linguaggio di tali popoli, più o meno estranei o misteriosi, realmente esistenti o immaginari, semplicemente esotici o del tutto alieni, che si dovrebbero esprimere in idiomi diversi dai personaggi che parlano la stessa lingua del lettore.“Dovrebbero”, appunto. Il condizionale è d’obbligo poiché molto spesso gli autori, soprattutto del passato, hanno preferito ignorare il problema un po’ per comodità e un po’ per non complicare troppo la vita al lettore stesso. A volte agli autori basta una vignetta per riassumere un periodo di tempo in cui l’eroe apprende la lingua di un certo popolo, lingua che il lettore potrà così continuare a leggere comodamente tradotta nella propria. Nelle storie di fantascienza la tecnologia può venire in aiuto per non far perdere troppo tempo ai protagonisti. Certi viaggiatori del tempo, comeValerianoLilith, grazie alla scienza del futuro apprendono in pochi istanti per induzione la lingua dei paesi in cui sono appena giunti. Alcuni autori più accurati si documentano per inserire nei fumetti frasi nelle lingue più esotiche. Per far capire al lettore ciò che si dice in una lingua straniera in tanti fumetti è uso abituale far seguire alle frasi una approssimativa traduzione tra parentesi, o in una didascalia in calce alla vignetta. Degli equivalenti fumettistici dei sottotitoli cinematografici. Negli Stati Uniti le traduzioni sono spesso inserite tra parentesi “ad angolo” e limitandosi eventualmente a specificare di quale lingua si tratti in una didascalia all’inizio della sequenza, nel caso in cui non sia possibile capirlo subito dal contesto. In tanti fumetti i linguaggi alieni o stranieri sono resi con segni incomprensibili al posto delle lettere, con alfabeti diversi dal nostro, o con parole o versi senza senso, così da rappresentare simbolicamente l’impossibilità di decifrarli. Ciò accade in certi episodi diTintin, il cronista giramondo creato dal belgaHergénel 1929, in cui in qualche occasione i dialoghi degli indigeni sono scritti con gli alfabeti locali, come quello arabo o indiano, e anche se i contenuti avessero un senso perfettamente corretto in quella lingua (com’è probabile, data la meticolosità documentaria di Hergé), risulta impossibile verificarlo per la maggior parte dei lettori, che così condividono con i personaggi la totale incapacità di capire le lingue in questione. Altri esempi tipici si trovano in una storia diTopolinodel 1947 disegnata per i quotidiani americani daFloyd Gottfredson, in cui appare per la prima volta l’uomo del futuro Eta Beta. Questi è inizialmente incapace di parlare in inglese, finché non tira fuori dal suo gonnellino senza fondo un traduttore simultaneo che gli permette di parlare qualunque lingua, comprese quelle degli animali, delle piante e perfino di certi oggetti, come il legno del pavimento.I linguaggi che ne risultano sono per noi del tutto incomprensibili e vengono resi con strani versi e simboli grafici. Altri fumettisti hanno invece cercato di rendere comprensibili i linguaggi stranieri, usando vari sistemi.A volte bastano parziali deformazioni fonetiche o grafiche a rappresentare convenzionalmente una lingua diversa, che sarà così compresa facilmente dal lettore, ma non dai personaggi che non la conoscono. Autori comeAl Cappnelle sue strisce quotidiane del montanaroLi’l Abner, oWill Eisnerin tante storie dell’eroe mascheratoSpirit, oBonvinella celeberrima satira militaresca delleSturmtruppen, hanno giocato con accenti dialettali o stranieri per evocare la zona linguistica d’origine dei loro personaggi. Hanno invece usato con ironia dei dialetti per rappresentare lingue del tutto diverse autori comeJacovitti, che ha fatto parlare in napoletano i pellirosse, oHugo Pratt, che ha fatto parlare il veneziano alle popolazioni dell’Oceano pacifico. Gli autori diAsterix,René GoscinnyeAlbert Uderzo, hanno poi utilizzato metodi diversi per rappresentare indirettamente ogni singola lingua antica parlata nella loro serie. I romani parlano in latino maccheronico e con accento italiano (che diventa romanesco nella versione italiana), i goti parlano in caratteri “gotici”, gli egizi per geroglifici, i britanni secondo le regole della sintassi inglese e così via… Altri autori ancora possono simulare delle lingue immaginarie alternando parole incomprensibili a parole nella lingua del lettore a cui si rivolgono.Un esempio famoso è il linguaggio che caratterizza gliSchtroumpfscreati nel 1958 dal belgaPeyo. Questi piccoli folletti blu sono chiamati Smurfs in Inglese, Schlümpfe in Tedesco, Pitufos in Spagnolo,Puffiin Italiano, Smurfarna in Svedese e Smurfen in Olandese.In ogni lingua prendono il nome dall’immaginaria parola che usano dandole ogni volta un significato diverso, che risulta comunque chiaro al lettore dal contesto del discorso. Benché per il resto parlino in modo del tutto comprensibile, questo basta a dare la sensazione che stiano parlando in una loro lingua esclusiva. Un altro esempio è la frase“Epluracas orega”, pronunciata da un personaggio di una storia diCino e Francodegli anni trenta intitolata “La misteriosa fiamma della regina Loana”, per ordinare la liberazione sua e dei protagonisti. La stessa frase sarà citata daHugo Prattnell’ultimo episodio diCorto Maltese, come formula da pronunciare se ci si trova in pericolo… In pratica le paroleepluracas oreganon significano nulla, ma suonano così bene in quel contesto da evocare indirettamente da sole l’intera lingua del popolo ignoto a cui apparterrebbero, come la frase“Klaatu barada nikto”nel film di fantascienzaUltimatum alla Terradi Robert Wise, o come la misteriosa formula magica“Anàl natràc, utvàs betòt, dokièl dienvé”nel filmExcaliburdi John Boorman. E che dire di certi linguaggi tipici che sembrano appartenere solo a un singolo personaggio? Accade per esempio col balbettio del figlioletto adottivo diBraccio di Ferroche, nelle storie originali degli anni trenta diElzie Crisler Segarfa lunghi discorsi ripetendo solo la parolaglop, con il padre adottivo che lo capisce perfettamente. Da parte sua l’uomo del futuroEta Beta, che dal 1947 continua ad apparire saltuariamente nelle storie di Topolino, aggiunge davanti alle parole la lettera “p” (che in inglese in tal caso è muta…). Mentre l’omino atomicoAtomino Bip Bipcreato daRomano Scarpadice continuamentebip(forse per le particelle che emette mentre parla…).Il buffo criminaleCattivikcreato daBonvinon pronuncia le finali e l’uomo di Neanderthal Java, amico diMartin Mystère, scritto daAlfredo Castelli, si esprime con inintelligibili grugniti di cui però il suo socio d’avventure è in grado di comprendere il significato. Sono tutti modi in cui si è tentato di evocare degli strani linguaggi senza dover inventare una lingua vera e propria e permettendo sempre al lettore di comprenderli, direttamente o per interposta persona. C’è anche chi preferisce fare le cose nel modo più difficile, per ottenere il risultato più efficace possibile. Se una lingua immaginaria sarà usata a lungo e costantemente, all’interno di una storia o una serie, in effetti può valere la pena di inventarla davvero, almeno parzialmente. Quando nel 1929 fu pubblicata sui giornali americani la versione a fumetti di“Tarzan delle Scimmie”, il romanzo diEdgar Rice Burroughs, in strisce giornaliere a puntate disegnate dal canadeseHarold Foster, fu deciso di non utilizzare le nuvolette dei dialoghi e di mantenere una forma didascalica, quella che in inglese si definisce dapicture book, da libro illustrato, con testi contenenti la storia originale condensata al di sotto delle vignette. Ciò fece sì che il linguaggio delle “grandi scimmie” che avevano allevato Tarzan, teorizzato da Burroughs nei suoi romanzi e di cui lo scrittore aveva inventato relativamente poche parole, non fosse molto parlato in quella prima storia disegnata. Per leggere una parola pronunciata da una “grande scimmia”, tratta direttamente dal romanzo, si dovettero aspettare quasi trenta puntate, ovvero un mese, quando un fratellastro scimmiesco di Tarzan è da lui costretto a dire“kagoda”. Kagoda (arrendersi) è l’unico verbo scimmiesco citato nel primo libro di Burroughs e, com’è ovvio per una lingua semplice, resta sempre uguale senza coniugazioni. Quindi, forse anche a seconda del tono, di volta in volta può significare “ti arrendi?”, “arrenditi!” oppure “mi arrendo”, come in questo caso. Il successo che arrise al personaggio anche sotto forma di fumetto presto comportò la prosecuzione della serie disegnata, in puntate nelle strisce giornaliere e nelle tavole domenicali, ma lo stile narrativo privo di nuvolette rimase lo stesso e sui giornali lo sarebbe rimasto per una trentina d’anni, quindi il problema di come far parlare le scimmie per il momento non fu affrontato.Sceneggiatori e disegnatori che si alternarono nella serie si occuparono solo di raccontare e disegnare, non di far parlare direttamente i personaggi. Quando nel 1947 la casa editriceDell Publishingdecise di pubblicare sui suoi albi a fumetti storie inedite di Tarzan, e non più solo rimontaggi di episodi apparsi sui quotidiani, il disegnatoreJess Marshe gli sceneggiatori che collaborarono con lui si trovarono in una posizione un po’ diversa dai predecessori. Con Marsh, artista dallo stile essenziale e moderno ispirato a quello di Milton Caniff, Tarzan diventava un fumetto basato sui dialoghi inscritti nelle tipiche nuvolette. A quel punto fu necessario che Tarzan parlasse: non solo in inglese, ma anche in altre lingue. Al contrario dell’uomo scimmia monosillabico del cinema, il Tarzan dei romanzi e dei fumetti parla molti idiomi europei e africani, veri o immaginari. Di tutte le lingue fattegli parlare dal creatore Edgar Rice Burroughs, la prima e più importante era appunto quella delle scimmie… Quelle che hanno allevato Tarzan nei romanzi sono chiamate da Burroughs scimmioni o grandi scimmie (in inglesegreat apes), le quali dialogano verbalmente a livello elementare. Ciò non sarebbe del tutto impossibile in astratto, visto che alcune scimmie antropomorfe avrebbero imparato a comunicare con il linguaggio dei gesti attraverso alcuni esperimenti dei ricercatori, ma le scimmie esistenti in natura non potrebbero articolare parole come quelle immaginate da Burroughs, a causa della conformazione della laringe che permette loro di emettere solo suoni intermittenti più o meno equivalenti a delle vocali. Il disegnatore Russ Manning dal 1967 avrebbe aggirato il problema di verosimiglianza chiarendo nei suoi fumetti che le “grandi scimmie” di Tarzan, o “scimmie grigie”, non sono scimpanzè o gorilla, ma una specie immaginaria intermedia tra le due, dotata di maggiore intelligenza (e, bisognerebbe forse aggiungere, anche con una laringe più adatta ad articolare parole). La cosa del resto era già stata in qualche modo anticipata dallo stesso Burroughs, che nel quarto romanzo del ciclo di Tarzan fa una precisa distinzione tra la specie delle grandi scimmie chiamata nella loro linguamangani, la specie dei gorilla chiamatabolgani, e quella degli uomini chiamatagomanganiotarmangani, a seconda che il colore della loro pelle sia nero (go) o bianco (tar). Curiosamente però, sia nei romanzi che nei fumetti, la stessa lingua è parlata anche da altre scimmie come bertucce, babbuini e gorilla (che nella realtà non potrebbero parlare), così come da alcuni popoli immaginari, regrediti a livello semibestiale o rimasti a uno stadio preistorico, che abitano terre perdute isolate dal resto del mondo come la città d’oro di Opar. Inoltre Tarzan usa la stessa lingua per comunicare con animali come elefanti e leoni, che pur non potendo rispondere a volte sembrano capirlo, visto che gli obbediscono. Insomma si direbbe quasi che queste scimmie parlino una specie di esperanto della giungla… Nei suoi romanzi e racconti Burroughs aveva già introdotto vari termini della lingua delle scimmie, per lo più una lunga serie di nomi di animali: bara l’antilope, buto il rinoceronte, dango la iena, gorgo il bufalo, duro l’ippopotamo, histah il serpente, horta il cinghiale, manu la bertuccia, numa il leone, pacco la zebra, pamba il topo, pisah il pesce, sabor la leonessa, sheeta la pantera, tantor l’elefante e qualche altra parola del genere.Inoltre aveva citato alcuni elementi naturali, come ara il lampo, goro la luna e kudu il sole. Pochi altri termini si potevano dedurre da alcuni nomi propri scimmieschi di cui lo scrittore aveva fornito la traduzione, tra i tanti che aveva citato nel periodo in cui Tarzan aveva vissuto tra le scimmie e non solo.

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