BLOODRAYNE, UWE BOLL E I VAMPIRI

BLOODRAYNE, UWE BOLL E I VAMPIRI

Magari non a frotte, ma un bel po’ di gente dovrebbe ricordarsi BloodRayne. Un third-person shooter con dinamiche hack and slash uscito per pc e console varie agli inizi del 2000. La trama girava su una cazzatella fanta-nazi-esoterica che all’epoca andava un casino.

La protagonista Rayne (diminutivo di Agente BloodRayne, giustamente) è una dhampir che a metà degli anni trenta lavora come agente speciale per ‘sta specie di servizio di intelligence. Lo scopo: fermare i nazi che vogliono governare il mondo recuperando tutta una serie di artefatti mistici.

Metà umana e metà vampira, Rayne è Blade con le tette, giusto perché il modello di protagonista a cui tutti si rifacevano era Lara Croft di Tomb Raider. Certo, non è che adesso BloodRayne sia chissà quale pietra miliare dei videogames. Era un giochillo onesto e tutto sommato divertente, tenendo in considerazione gli standard del periodo.
Finché è arrivato il film…

… l’agghiacciante BloodRayne versione Uwe Boll!

BLOODRAYNE, UWE BOLL E I VAMPIRI

Pensandoci un attimo, nel 1983 un giovane Rockwell dal baffino sbarazzino cantava “I always feel like somebody’s watching me” nel ritornello di un suo famoso singolo. No, dico, a guardare un film di Uwe Boll ti senti un po’ strano, no? Non so, come se qualcuno ti stesse osservando.

Perché i film di Boll sono della stessa sostanza di cui sono fatte le cazzate. L’ignoranza si materializza e ti siede a fianco per farti compagnia. Fissandoti in silenzio. BloodRayne, film uscito nel 2005, subito dopo l’agghiacciante Alone in the Dark, conferma l’indiscutibile affinità di Uwe Boll con il pelapatate piuttosto che la macchina da presa.

Il suo BloodRayne è una patetica e sconcertante fusione tra Dracula e Il Signore degli Anelli, in cui qualunque cosa ci sia da poter sbagliare Boll la sbaglia non alla grande, ma alla grandissima.

BLOODRAYNE, UWE BOLL E I VAMPIRI

Il film inizia con una carrellata di quadri rinascimentali integrati a paesaggi e immagini, come dire, “vampireschi”. Giusto un barlume di speranza inizi a nutrirlo: dopotutto questa è una storia di vampiri e le immagini sono azzeccate. Addirittura evocative.

Peccato che la cosa duri giusto il tempo dei titoli di testa. Due minuti e Boll ti riporta subito con i piedi a terra. Dove, come e perché: i principi fondamentali di ogni storia, per lui, sono concetti assolutamente astratti e relativi.

Perciò tre tizi a cavallo partiti da non si sa dove arrivano non si sa dove. Tempo? Medioevo generico e stereotipato. A ogni modo, il terzetto entra in questa locanda tipo Far West e ordina da bere. A un certo punto uno di loro, Sebastian (Matthew Davis), si accorge che il tipo vicino a lui non si riflette nello specchio.

BLOODRAYNE, UWE BOLL E I VAMPIRI

Quindi con agile mossa, senza porsi il minimo dubbio o scrupolo, gli buca il petto con un paletto. Così, in scioltezza. Senza manco prendere in considerazione l’idea di aver preso un abbaglio. Fortunatamente il tizio era un vampiro per davvero e s’incenerisce sul pavimento in due secondi.

Un fatto simile dovrebbe provocare panico, scompiglio o quantomeno una qualche reazione tra gli avventori della locanda, giusto? Invece niente. A nessuno frega una beata mazza. Probabilmente una birra rovesciata avrebbe suscitato più clamore. Va be’.

Alcuni noiosi e svogliatamente recitati dialoghi dopo, la scena cambia e ci troviamo in un circo (?), dove una ragazza, Rayne (Kristanna Loken), viene tenuta prigioniera e sfruttata come fenomeno da baraccone. Perché lei è una dhampir, cioè una creatura metà umana e metà vampiro, nata dall’unione interrazziale tra appartenenti delle due specie.

BLOODRAYNE, UWE BOLL E I VAMPIRI

Fosse anche per solo due pulciosissimi, micragnosi minuti, sarebbe stato bello soffermarsi a vedere un attimo i come e i perché Rayne sia diventata un fenomeno da baraccone. Brutalizzata per il gaudio dei villici e il divertimento dei bifolchi. Eh, certo, ma perché farlo quando hai il “fattore Boll”?

Neanche cinque minuti prima a… qualunque sia lo stereotipato luogo fantasy generico dove si svolge la storia, è chiaro che i vampiri siano una cosa normale. Tanto più che, come abbiamo visto, l’uccisione di uno di loro in luogo affollato non ha provocato la benché minima reazione.

Poi, però, la protagonista sta in uno stramaledetto circo dove la gente si accalca per vedere un mezzo vampiro. Ha senso? Comunque, in una sequenza assurda in cui non si capisce se sia un flashback, un sogno o che altro, dopo un tentativo di stupro finito a morsi, Rayne fugge dal circo. Fin qui il film è uguale uguale al videogioco, eh?

Il mattino seguente, al campo del circo dove tenevano Rayne, arrivano i tre cacciatori visti all’inizio del film.
Ecco un breve elenco di assurdità.

1°) La sera, mentre fugge, Rayne fa una strage. A quanto pare ai bifolchi frega meno di zero, siccome continuano le loro normali mansioni, nonostante ci sia una montagnola di cadaveri in bella mostra in mezzo al campo.

2°) Non solo ai villici non frega di avere un mucchio di morti tra i piedi, ma non si curano minimamente neanche di questi tre tizi che arrivano, decapitano e bruciano i cadaveri dei loro (probabili) ex amici e parenti.

3°) Con il cuore gonfio di neutralità, a nessuno importa che uno dei tre pugnali una ragazza ancora viva. Una lama nella pancia davanti a tutti. Voglio dire, ma quanto fagiano nell’animo devi essere, per scrivere una sequenza simile?

Si arriva poi a un momento abbastanza raccapricciante: il cameo di Billy Zane che in BloodRayne interpreta re Elrich. Personaggio di cui non si capisce effettivamente lo scopo ai fini della storia, ma che spicca tantissimo. Giusto perché qualcuno deve aver pensato che quell’animale morto sulla testa di Zane potesse essere spacciato per capelli.

Elrich dovrebbe essere il padre di Katarin (Michelle Rodriguez), una dei tre cacciatori sulle tracce di Rayne. Segue una ridicola scena senza capo né coda, con tanto di dialogo ai limiti dell’assurdo, tra Rayne e una zingara che le predice il futuro, interpretata da Geraldine Chaplin. Sì, la figlia del grande Charlie Chaplin.

Da lei veniamo a sapere che Rayne vuole vendicarsi del padre, Kagan (Ben Kingsley), il re dei vampiri. Magari Rayne aveva bisogno di un suggerimento, se no da sola non ci arrivava.
Segue la cosa più triste di tutte: Ben “Gandhi” Kingsley al fondo della carriera con un delizioso toupet fatto di carcasse di pantegane.

Senza farla più lunga del dovuto, definire BloodRayne una ignobile vaccata sarebbe un simpatico eufemismo. Storia tirata alla cazzomannaggia. Voragini logiche. Attori allo sbando, sono solo il picco di questo clamoroso spreco di tempo.

Partiamo dal il cast. In primis, la protagonista Kristanna Loken. Reduce da svariati serial tv tra cui Mortal Kombat: Conquest, al cinema non era proprio attivissima, ma era stata la cyborg T-X in Terminator 3 affiancando Arnoldone. Poi ha interpretato la regina Brunilde, protagonista ne La Saga dei Nibelunghi.

Il fatto è che Kristanna Loken è una donna statuaria, che supera il metro e ottanta d’altezza. Uwe Boll l’ha presa e ha fatto l’incredibile: renderla goffa. Non riuscendo manco mezza volta a sfruttarne la “fisicità”.

Sulla stessa scia Michael Madsen, misto di pietà e tenerezza che si trascina fiacco e stanco per tutta la durata del film. Probabilmente perché ubriaco fradicio in quasi ogni scena. Vederlo agitare svogliatamente la spada come un salsicciotto da piscina è qualcosa di inguardabile.

Quasi quanto Ben Kingsley che, sicuro, deve aver perso una scommessa per accettare il ruolo.
Chi resta? Ah, sì: Michelle Rodriguez, mai come stavolta sopra le righe e palesemente disorientata.

Come Billy Zane, che probabilmente aveva qualche debito da saldare e perciò ha accettato di prendere parte a questa farsa. Inoltre, come se tutto questo non bastasse, in BloodRayne appaiono altri due personaggi decisamente famosi: Udo Kier, caratterista e interprete di molti film cult, e il cantante/attore Marvin Lee Aday. Noto ai più con il nome d’arte Meat Loaf.

Giusto per capire bene il livello di BloodRayne: Meat Loaf interpreta un pappa-vampiro proprietario di un bordello. Fin qui nulla di strano. Se non fosse che Boll, per risparmiare sui costi, anziché utilizzare attrici per la parte delle mignotte ha usato prostitute vere.

A ogni modo, Uwe Boll per BloodRayne ha avuto a disposizione un cast stellare. E, giustamente, ha mandato all’aceto ogni cosa possibile. Riuscendo a gestire male tutto e ricoprendo tutti di ridicolo.

Come adattamento del videogioco è semplicemente orripilante, della storia originale resta poco o nulla. La trama è meno coerente dei vocalizzi di una scimmia lobotomizzata. Paradossi, controsensi e buchi logici non si contano.
Tono, approccio, ritmo, regia, fotografia… non si salva niente. I tempi agghiaccianti ricordano le peggio soap argentine fuori sync dei primi anni ottanta.

Alla fine della fiera, BloodRayne è l’ennesima dimostrazione (come se ce ne fosse bisogno) di quanto Uwe Boll sia più qualificato come aiuto pastore apprendista, che come regista. Con questo mestiere è proprio agli antipodi.

Ebbene, detto questo credo sia tutto.

Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro.

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