AUGUSTO DE MEGNI, RAPITO A 9 ANNI

La sera del 3 ottobre 1990 quattro banditi armati di fucile a canne mozze e con il volto coperto dal passamontagna entrano furtivamente in una splendida villa di Piscille, alla periferia di Perugia. Dentro ci sono il finanziere Dino De Megni, 42 anni, e il figlio Augusto, di 9 anni, che stanno guardando una partita di calcio in tivù. Non la madre del bambino, Paola Rossetti, che da quando si è separata dal marito vive in una casa del centro storico.
Dopo aver legato e imbavagliato Dino, i quattro rapitori portano via il piccolo. Augusto quasi non capisce quello che sta succedendo, gli sembra di vivere un sogno. Anzi, un incubo.
I De Megni sono una famiglia in vista, in particolare lo è il nonno, il 68enne Augusto, dal quale il nipotino rapito ha preso il nome. È un avvocato che aveva fatto il partigiano: quando i fascisti imprigionarono il padre malato, decise coraggiosamente di consegnarsi per ottenere la sua libertà. Così passò gli ultimi mesi di guerra in carcere, ma avrebbe potuto andargli molto peggio.
Negli anni successivi, grazie all’azienda per la commercializzazione del legname ereditata dal padre, si era talmente arricchito da fondare una banca tutta sua, il Banco di Perugia, che poi ha venduto a caro prezzo al Banco di Roma. Al figlio Dino ha dato l’incarico di amministrare la finanziaria di famiglia, la Giru spa.
Gran Maestro dei massoni di Rito Scozzese, Augusto senior conosce e frequenta alcuni dei personaggi più importanti del mondo.
Ma adesso di importante c’è solo il nipotino, che deve riuscire a liberare come molti anni prima aveva fatto con il padre. Per questo, da vecchio patriarca quale è, decide di condurre personalmente le trattative con i rapitori.
Però i banditi non si fanno sentire, tanto che si comincia a temere il peggio. Solo dopo un mese e mezzo i criminali telefonano a un sacerdote di Perugia, comunicandogli la richiesta del riscatto: 20 miliardi di lire.
I De Megni non immaginano che proprio in questi mesi, dopo i risultati positivi ottenuti dai magistrati che hanno tenuto la linea dura contro i rapitori, il Governo sta discutendo un decreto per il sequestro preventivo dei beni delle famiglie dei rapiti. Non è ancora entrato in vigore, ma i magistrati di Perugia lo applicano comunque, così nemmeno il nonno ex banchiere potrà mettere le mani sopra le grosse cifre necessarie per liberare il nipotino.
Spostiamo ora l’attenzione a Poggio la Rocca, vicino a Volterra, in provincia di Pisa. Alle pendici del monte Voltraio, il piccolo Augusto si trova prigioniero sotto una botola seminascosta nella boscaglia. Aprendola, si scendono due metri e mezzo da una scaletta d’acciaio, per arrivare in una grotta scavata nel tufo di cinque metri quadrati.
Il bambino che vi è rinchiuso cerca di farsi coraggio e di far passare il tempo pensando continuamente ai genitori, alle partite di tennis che amava fare e ai compagni di scuola. Nella penombra dell’antro ogni tanto chiude gli occhi e immagina di fare una corsa interminabile per i prati.
Nella caverna fa freddo, ma il maglione e le coperte che gli hanno dato sono sufficienti a scaldarlo. Finisce per legarsi a un bandito, Antonio Staffa, 38 anni, che spesso gli fa compagnia. Gli porta da leggere i fumetti di Tex e una radio a pile.
Un giorno, Augusto sente dalla radio la voce del padre che supplica i rapitori di liberare il figlio. «Ascoltare le sue parole è stata una sensazione bellissima che mi ha dato il coraggio di andare avanti: “Io sono qui, papà”, pensavo. Fai in modo che tu e il nonno veniate a prendermi», racconterà in seguito.
Antonio Staffa è accusato di aver partecipato a molti sequestri, viene dal paese sardo di Mamoiada ed è latitante da dieci anni. Però nei giorni delle feste natalizie, quando la banda decide di tagliare un orecchio al bambino per dare una sveglia ai genitori, Antonio Staffa si inginocchia implorando i complici di non farlo.
Riesce a convincerli, ma uno di loro si rivolge al bambino dicendogli a muso duro: «Se tuo padre non paga presto, prima o poi l’orecchio te lo tagliamo davvero». «Papà pagherà», risponde orgogliosamente il piccolo senza piangere, «perché tiene più a me che ai soldi». Ormai i rapitori si accontenterebbero di un decimo di quanto richiesto inizialmente, di 2 miliardi.
Intanto la polizia indaga senza sosta tra i pastori sardi immigrati in Toscana, che in quel periodo sono spesso coinvolti nei sequestri di persona. Dato che informazioni come queste costano care, gli investigatori attingono ai fondi riservati dello Stato. Alla fine qualche conoscente dei malviventi decide di fare la soffiata, rivelando il punto dove viene tenuto il bambino.
La mattina del 22 gennaio 1991, duecento agenti dei Nocs, i reparti speciali della polizia, penetrano nella boscaglia di Poggio La Rocca. Con un’azione fulminea, circondano e aprono la botola del nascondiglio. All’interno del quale c’è un bandito deciso a non arrendersi: punta la pistola alla testa del bambino, gridando agli agenti che se scenderanno premerà il grilletto.
Solo dopo una lunga trattativa, redendosi conto di non avere scampo, il rapitore si arrende. I banditi arrestati nell’operazione sono in tutto quattro. Dopo 111 giorni di prigionia Augusto può risalire la scaletta di ferro che lo porta all’esterno, dove finalmente rivede la luce del sole. Lo aspetta una sorridente poliziotta che gli dice: «Forza, Augusto, salta su che è finita».
Sulla strada del ritorno gli viene incontro papà Dino. Aveva pensato a lungo cosa dire al figlio, ma vedendolo tutto intirizzito ha solo la forza di balbettare un: «Come stai?». «Benone, papà, mi sei mancato molto, ma se avesti pagato sarei a casa da un pezzo!», risponde il figlio tra le lacrime abbracciandolo.
Come spiegargli che le cose non stanno come gliele hanno raccontate i rapitori? Che la famiglia aveva fatto di tutto per raccogliere i soldi, ma che i magistrati glielo hanno impedito? A casa, il nonno si fa da parte per permettere ad Augusto junior di correre da mamma Paola e dalla sorella Vittoria.
Nei mesi successivi la polizia arresta gli altri elementi della banda, tutti ex pastori spesso imparentati tra loro facenti parte della cosiddetta Anonima sequestri sarda. I loro nomi sono ben noti agli addetti ai lavori per una lunga serie di sequestri.
Al processo per il rapimento, che si svolge nel 1992, Marcello Staffa e Salvatore Staffa vengono condannati a 8 anni. Antonio Staffa a 20: anche se è stato benevolo nei confronti di Augusto, cosa di cui si è tenuto conto, contro di lui giocano i precedenti in altri gravi delitti.
Giovanni Goddi e Giovanni Farina sono condannati a 23 anni. Mentre Francesco Goddi, Giovanni Talanas e Sebastiano Murreddu, considerati i cervelli della banda, prendono 30 anni ciascuno. Altri complici, alcuni dei quali hanno dato una mano alla giustizia, erano già stati condannati a pene minori in un processo con il rito abbreviato.
Liberato dai banditi, Augusto De Megni si trova ora “ostaggio” dei genitori separati che se lo contendono. A 13 anni lascia la grande villa del padre per andare ad abitare da mamma Paola, e ne ha solo 15 quando decide di vivere da solo mantenendosi con il piccolo stipendio di portiere di calcio.
Prima con il Città di Castello, una squadra di serie D, e poi con il più blasonato Genoa, in serie B. In seguito torna al Città di Castello. Conclusa la carriera sportiva nel giro di pochi anni, continua gli studi iscrivendosi alla facoltà di Scienze della comunicazione.
Nello stesso periodo tenta di entrare nel cast del Grande Fratello, la celebre trasmissione televisiva. La prima volta viene scartato, ma, a 25 anni, riesce a far parte alla sesta edizione, quella del 2006. Malgrado le critiche di alcuni commentatori, stupiti che un ex sequestrato sia tanto desideroso di farsi imprigionare nella famosa casa, Augusto De Megni resiste per 99 giorni alle “nomination” e arriva in finale, dove vince il montepremi di 900.000 euro.
Successivamente, lavora per alcuni anni come opinionista e conduttore di programmi sportivi, unendo le due cose che l’hanno sempre interessato: lo sport e lo spettacolo.
Augusto De Megni senior, il nonno, muore nel 2010 a 88 anni.
Augusto junior preferisce stare in disparte, non vuole rendere pubblica la sua vita attuale.
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