UGO CIAPPINA, MILANO COME CHICAGO

History is littered with hundreds of conflicts over the future of a community, group, location or business that were “resolved” when one of the parties stepped ahead and destroyed what was there. With the original point of contention destroyed, the debates would fall to the wayside. Archive Team believes that by duplicated condemned data, the conversation and debate can continue, as well as the richness and insight gained by keeping the materials. Our projects have ranged in size from a single volunteer downloading the data to a small-but-critical site, to over 100 volunteers stepping forward to acquire terabytes of user-created data to save for future generations. The main site for Archive Team is atarchiveteam.organd contains up to the date information on various projects, manifestos, plans and walkthroughs. This collection contains the output of many Archive Team projects, both ongoing and completed. Thanks to the generous providing of disk space by the Internet Archive, multi-terabyte datasets can be made available, as well as in use by theWayback Machine, providing a path back to lost websites and work. Our collection has grown to the point of having sub-collections for the type of data we acquire. If you are seeking to browse the contents of these collections, the Wayback Machine is the best first stop. Otherwise, you are free to dig into the stacks to see what you may find. The Archive Team Panic Downloadsare full pulldowns of currently extant websites, meant to serve as emergency backups for needed sites that are in danger of closing, or which will be missed dearly if suddenly lost due to hard drive crashes or server failures. Nella fredda e nebbiosa mattinata del 27 febbraio 1958, il veicolo blindato della Banca Popolare di Milano lascia piazzale Brescia dirigendosi, come al solito, in via Rubens per scaricare i pacchi di denaro a una succursale.Il 27 del mese c’è sempre bisogno di molta liquidità per gli stipendi. Alle 9.30 il blindato si trova a metà strada, in via Osoppo. A bordo ci sono l’autista e un commesso della banca, più un poliziotto armato di mitra. Non immaginano che all’angolo con via Caccialepori, un nome evocativo data la situazione, alcuni rapinatori vestiti con la tuta blu degli operai li stanno attendendo fumando una sigaretta dopo l’altra. I cacciatori di lepri che hanno suggerito il nome della via non devono essere spariti da tanto tempo dalla zona, dato che negli anni cinquanta via Osoppo, pur non essendo distante dal centro cittadino, ha ancora l’aspetto del sentiero di campagna, con ampie zone verdi ancora da asfalatare. I rapinatori in attesa hanno fatto le cose in grande, dividendosi in quattro veicoli precedentemente rubati e dotati di targhe false. Ma rimanere fermi con quel gelo e quella tensione fa quasi impazzire. Per distendere i nervi, uno dei malviventi scende dall’auto per andare a comprare un panino e del taleggio. Eccolo, il blindato sta per attraversare l’incrocio. Con uno scatto, gli uomini in tuta blu si calano il passamontagna sul volto. Un attimo dopo, una Fiat 1400 guidata da uno dei rapinatori taglia la strada al blindato.“Quel lì l’è matt”, esclama in milanese l’autista della banca, guardando la macchina che, dopo essergli sfrecciata davanti, va a schiantarsi contro una palazzina. L’uomo all’interno, prima dell’impatto, riesce a gettarsi sulla sterpaglia dello spartitraffico. L’obiettivo dei banditi è indurre il blindato a fermarsi almeno per qualche secondo. L’autista, insospettito, si appresta a ripartire a tutto gas, quando sul blindato si abbatte a grande velocità un camion Om Leoncino. Con una destrezza degna di Batman, anche il rapinatore alla guida del camion salta a terra un secondo prima dell’impatto e ora, con un altro balzo, si affaccia al finestrino rotto del blindato per sfilare il mitra dalle braccia del poliziotto. Quest’ultimo non fa in tempo a reagire, tramortito com’è dal colpo e da una scheggia di vetro che l’ha ferito, sia pure in modo lieve. I due dipendenti della banca, usciti incolumi, vengono subito immobilizzati da tre uomini in tuta blu, mentre il resto della banda sopraggiunge a bordo di un furgone. Sembra proprio un film.Arriva anche il quarto e ultimo veicolo, una Giulietta Sprint, dalla quale scende il bandito che ha il compito di tenere a bada i passanti. Non esplode neppure una raffica di mitra come avvertimento: si limita a rifarne minacciosamente il verso con la bocca,“ta-ta-ta-ta”, perché i capi hanno ordinato di non sparare in nessun caso. Adesso gli unici a muoversi sono i rapinatori, che scaricano le dieci cassette di metallo dal blindato per metterle sul loro furgone. Dalle finestre vicine qualcuno lancia delle bottiglie, nel patetico tentativo di spaventarli.Pochi secondi ancora e i banditi sgommano a tutta velocità verso il quartiere di Lorenteggio. Il bottino ammonta a 590 milioni di lire dell’epoca, equivalenti a 6 milioni di euro di oggi. La Notte, il quotidiano del pomeriggio di Milano, titola a tutta pagina:“La nostra città si è messa alla pari con Chicago”. Il mondo dilettantesco della mala milanese sembra finito per sempre, il crimine ha raggunto il più alto livello di professionismo. “Stupefacente organizzazione in un Paese che, di suo, è normalmente disorganizzato”, si complimenta ironicamente il famoso giornalista Indro Montanelli. Un salto di qualità che, comunque, non ha fatto scomparire il vecchio codice d’onore della mala, dato che non è stato sparato nemmeno un colpo (ci penseranno, nel decennio successivo, criminali dal grilletto facile come Vallanzasca e Turatello). Venendo alle indagini, l’unico elemento in mano al commissarioPaolo Zamparelliè l’identikit del bandito che era andato a farsi un panino con il formaggio prima di calarsi il passamontagna. Un giovane alto, dai capelli rossi, lentigginoso. Una vaga pista che non porta da nessuna parte. La polizia pensa che una rapina così avrebbe potuto organizzarla solo un esperto comeUgo Ciappina, ex detenuto sempre sospettato di qualcosa anche se, da un po’ di tempo, non viene mai pizzicato sul fatto. Provano a interrogarlo, ma Ciappina ha un alibi di ferro: si trovava nella sala d’attesa di un dentista insieme alla moglie, dalla quale si era allontanato solo alcuni minuti per andare in bagno. I testimoni confermano.Rimane il dubbio che sia stato comunque lui, perché quel dentista si trova sin troppo vicino a via Osoppo. Ugo Ciappina Ugo Ciappinanasce in una povera famiglia milanese nel 1928. Ancora minorenne, partecipa alla Resistenza finché viene catturato e rinchiuso a San Vittore. Anche se malmenato dai nazisti, non tradisce i compagni. Si dice sia stato lui a ispirare “Ma mi”, la famosa canzone in dialetto milanese cantata da Ornella Vanoni:“Quaranta dì e quaranta nott a San Vittur a ciapaa i bott, mi sont de quei che parlen no”(quaranta giorni e quaranta notti a San Vittore a prendere botte, ma io sono di quelli che non parlano). Tutto sommato, l’esperienza della guerra ha soddisfatto il suo bisogno d’avventura, il gusto per il rischio. Invece, in tempo di pace, ritroviamo l’ormai maggiorenne Ugo alle prese con una vita grigia, nella quale i meriti della Resistenza non contano e bisogna portare a casa qualche soldo, se di sera si vuole mangiare la minestra. Riesce a farsi assumere come addetto all’ascensore in un albergo di lusso, ma il posto di liftman non è quello che sognava. Per questo Ugo entra in contatto con laligera, la criminalità milanese costituita da ladri e truffatori di piccolo calibro.I balordi senza arte né parte della ligera sono avvolti da un alone romantico che ispirerà, appunto, le prime canzoni della Vanoni e di Enzo Jannacci. Ugo Ciappina, però, è troppo riflessivo e perfezionista per mischiarsi con personaggi di basso livello. Preferisce entrare nel gruppo di professionisti guidati da Joe Zanotti, del quale fa parte anche un suo vecchio nemico, l’ex fascista Alfredo Torta. Si tratta della Banda Dovunque, così chiamata per il suo vasto campo d’azione, che comprende quasi tutto il Nord Italia. Il bottino non è mai particolarmente cospicuo. Una volta, per esempio, rubano la Lancia dell’attore Eduardo De Filippo. La loro attività criminosa inizia nel 1948 e finisce già nel 1949, quando tutti i componenti vengono arrestati. A tradirli, in cambio dell’impunità, è stato proprio l’ex fascista Torta.Dopo la condanna, Ciappini resta in carcere fino al 1955. Una volta libero, conoscendo il tipo, la polizia lo tiene d’occhio con discrezione. Qualche tempo dopo il colpaccio in via Osoppo alcuni rapinatori iniziano a sperperare la loro parte nelle sale da gioco. Naturalmente alloggiano nelle suite degli hotel più prestigiosi e ordinano una bottigla di champagne dopo l’altra. Forse mosso da invidia, un certo Pucci, piccolo delinquente che vive di furtarelli, decide di spifferare alla polizia i suoi sospetti su quella improvvisa ricchezza ostentata. Tra le persone indicate da Pucci c’è un giovane elegante di nomeLuciano De Maria. Si scopre così che proprio De Maria aveva acquistato le tute blu da operaio che indossavano gli uomini della banda, casualmente recuperate nel fiume Olona dove erano state buttate in un sacco legato a un peso. Dopo qualche interrogatorio particolarmente incalzante, il quadro della situazione diventa chiaro. Il primo aprile, il commissaro Zamparelli e il suo vice Mario Nardone arrestano il trentenne Ugo Ciappina, accusandolo di essere la mente del colpo in via Osoppo. L’interrogatorio dei rapinatori nella copertina della Domenica del Corriere disegnata da Walter Molino Il numero due della banda dovrebbe essere Luciano De Maria, il quale confessa anche di avere svaligiato, qualche tempo prima, una gioielleria. Ciappina però continua a ripetere che durante la rapina era dal dentista e che non ha mai fatto parte di quelli che festeggiavano spargendo soldi. Da parte loro, anche i complici insistono: spiegano che lui era l’unico a essersi precostituito un alibi, partecipando solo ai pochi minuti culminanti della rapina perché era conosciuto dalla polizia.Non potendo più sostenere la propria estraneità, Ciappina nega comunque di essere il capo: lui si è limitato a impugnare il mitra e a trasbordare i soldi. A organizzare tutto sarebbe stato De Maria. I giornalisti si sorprendono quando scoprono che, a differenza dei membri della storica malavita milanese che tirano a campare in case decrepite, questi banditi abitano nei begli appartamenti della media borghesia lombarda. Evidentemente, almeno fino ad allora, per loro il crimine“ha pagato”. In ottobre si tiene il processo ai sette componenti della banda e a due fiancheggiatori. Il giudice riconosce Luciano De Maria come l’ideatore della rapina condannandolo a 20 anni, mentre Ugo Ciappina, che comunque ha avuto un ruolo centrale, di anni ne prende 17.La pena più mite comminata agli altri componenti della banda è di 9 anni. “Ufficialmente tutti proclamano che sono contenti, anzi entusiasti del fatto che i criminali siano stati smascherati, in modo da togliere a chiunque la voglia di imitarli”, commenta Montanelli,“ma, sotto sotto, senza osare dirlo o dicendolo a bassa voce, la maggioranza tifava per i rapinatori. Quel colpo, calcolato alla frazione di secondo, aveva mandato in visibilio gli italiani”. Scarcerato nel 1974, Ugo Ciappina trova un posto da magazziniere a Buccinasco, alle porte di Milano. Viene arrestato per altre due rapine miliardarie nel 1981 e nel 1984, ma ne esce assolto per insufficienza di prove. Stavolta, i suoi alibi hanno retto. Nel 2002, a 74 anni, viene arrestato per l’ultima volta in piazza Oberdan a Milano mentre, poco distante, alcuni banditi stavano aprendo la cassaforte di un negozio di abbigliamento. Ciappina spiega ai magistrati che stava solo andando in farmacia a comprare le pastiglie per la pressione. Anche stavolta gli credono, o non riescono a trovare prove a suo carico. A parte quanto abbiamo raccontato, di Ugo Ciappina non si sa nulla. L’ex carcerato fa vita ritirata e ha sempre rifiutato interviste, salvo una nel 2019, rilasciata ad Andrea Galli, giornalista del Corriere della Sera. Ancora fisicamente in forma, malgrado i suoi 90 anni, Ciappina dichiara:“Se per caso ho commesso un errore nella mia vita, è stato quello di non aver mai lavorato da solo. L’avessi fatto, sarei ancora un incensurato. Ma in una rapina, non puoi lavorare da solo: te ne servono almeno altri due, e sono già troppi…”. (Per gli altri articoli sui delitti famosi pubblicati daGiornale POPcliccaQUI).