PERCHÉ BONELLI E PANINI AUMENTANO I PREZZI

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Negli ultimi anni si è assistito a un costante aumento del prezzo di copertina delle pubblicazioni di Bonelli, Panini e tutti gli altri editori di fumetti. Ritocchi ai prezzi non giustificati dall’aumento delle materie prime, dei costi di stampa o dalla svalutazione della moneta. Da cosa, allora? Evidentemente dal calo delle vendite.Prima di addentrarci nell’esame del problema, vale la pena cercare di ricostruire come siamo arrivati a questo punto. La politica editoriale nel dopoguerra ha visto un fiorire di editori più o meno improvvisati di pubblicazioni a fumetti. A conflitto appena finito la carta era rara e, di conseguenza, costosa. Quegli imprenditori sapevano però che il successo sarebbe venuto solo se si fosse raggiunto un gran numero di lettori: ciò significava tenere bassi i prezzi di copertina, giacché di soldi ne giravano davvero pochi. Per far quadrare il cerchio, questi primi editori si inventarono pubblicazioni di poche pagine ma fitte di vignette e testo, con grande uso delle didascalie che consentivano di “far avanzare” la narrazione e di dare così ai giovani lettori (i fumetti, all’epoca, si rivolgevano a un pubblico di ragazzini, anche se già allora non mancavano gli appassionati più maturi) un sufficiente numero di avvenimenti, colpi di scena ed emozioni pur nei ristretti spazi di quegli smilzi fascicoli.A questo scopo veniva “sparato” spesso in copertina l’imponente numero di “quadri” (cioè vignette) contenuto nell’albo. La filosofia dei prezzi bassi ripagati da un gran numero di copie vendute non riguardava solo i fumetti. Basta pensare ad Arnoldo Mondadori, che portò in edicola a prezzo popolare due collane di romanzi come il Giallo Mondadori e Urania (e non dimentichiamo l’edizione popolare di quel Fantomas che avrebbe ispirato le sorelle Giussani nella creazione di Diabolik), e più tardi la collana degli Oscar che, imitatissima, riuscì ad avvicinare alla letteratura un’ampia fascia della popolazione. Ovviamente con i romanzi polizieschi e di fantascienza non era possibile “strizzare” le vignette per stare nel numero di pagine che consentissero di tenere basso il prezzo di copertina, perciò si chiese spesso ai traduttori di “condensare” l’opera, talvolta coinvolgendo lo stesso autore come mi risulta sia successo per i racconti del terribile criminale di Allain e Souvestre. Tornando ai fumetti, la necessità di risparmiare carta portò all’utilizzo prima del formato orizzontale (chiamato tutt’oggi anche all’estero “all’italiana”) e poi a quello della striscia che, per un buon decennio, imperò nelle edicole, complice anche la possibilità di portarselo pure a scuola infilato in tasca. Gli editori più importanti riuscivano a far quadrare i conti anche con pubblicazioni più ricche di grande formato (e con l’uso del colore, inavvicinabile per gli editori di albi a striscia) come ilCorriere dei Piccoliche, rivolgendosi soprattutto alla classe media, poteva permettersi di far pagare qualche lira in più. O di formato tascabile, ma con tante pagine e un gran numero di personaggi, comeIl MonelloeIntrepidodella casa editrice Universo. Oppure in formato albo gigante comePecos BilldiGuido Martinapubblicato da Mondadori, che si avvaleva di alcuni tra i migliori disegnatori del periodo. A decretare il successo di una testata, a parità di pagine e prezzo, era ovviamente la capacità del personaggio di coinvolgere e affascinare i giovani lettori, che per un certo tempo sembrarono prediligere eroi più o meno della loro età facendo la fortuna di pubblicazioni comeil Piccolo SceriffoeCapitan Miki. Spingendo anche la rampante casa editrice diTea Bonellia inseguire la tendenza prima affidando adAndrea LavezzoloeFrancesco Gambala creazione delPiccolo Rangere poi facendo scendere personalmente in campo il figlioSergio BonelliconUn Ragazzo nel Far West(presto lasciato nelle mani del padre per conferirgli più grinta). L’accresciuto potere di spesa dei ragazzi e delle loro famiglie negli anni sessanta cominciò a cambiare le cose. L’interesse dei lettori si spostò significativamente dagli albetti di 32 pagine alle più corpose raccolte di quelle stesse storie che già da tempo venivano ripubblicate in vari formati: oltre ai resi che venivano riuniti in volumetti brossurati a striscia, le avventure venivano riproposte in albi di più grande formato che ospitavano tre strisce per pagina. Erano nati cosìAkim Gigantedell’editore Tomasina, laCollana Prateriadella Dardo e, in diversi formati e foliazioni,TexdiGian Luigi BonellieAurelio Galleppiniche, anno dopo anno, accresceva il numero di lettori arrivando a scavalcare anche i “piccoli sceriffi” sempre meno appetiti dal pubblico. Il formato che si impose su tutti, fu quello della raccolta brossurata da 200 lire, col ranger bonelliano sempre più in prima linea nelle vendite. Per venire incontro alle richieste di“più roba da leggere”, un po’ tutti gli editori aumentarono la foliazione. Dardo e Tomasina mantenendo la spillatura, e Bonelli passando a fascicoli in brossura di 80 pagine a 50 lire (Il Piccolo Ranger, Un Ragazzo nel Far West eZagornacquero direttamente così) che i giovani e meno giovani collezionisti potevano così mettere in libreria “di costola” come si fa con i libri. Ma le raccolte ormai vincevano su tutto. Specialmente d’estate, i volumetti di Tex andavano via come il pane: prima 160, poi 128 e infine 112 pagine con tre strisce per pagina offrivano tempi di lettura decisamente più alti di quelli di ogni altra formula editoriale, e quando i numeri divennero inequivocabili Sergio Bonelli fece “il salto” che lo portò a far mangiare la polvere a tutta la concorrenza. Nel 1970, quando la raccolta raggiunse la pubblicazione settimanale su striscia, l’editore informò i lettori che le avventure inedite di Aquila della Notte sarebbero proseguite direttamente sul mensile. La concorrenza si era intanto già sfilacciata: la Dardo, forse per brama padronale, aveva perso la collaborazione dellaesseGesse(che dopo lo sfortunato tentativo autoprodotto diAlan Misteroapprodò anch’essa alla Bonelli con ilComandante Mark, che avrebbe continuato a realizzare fino al pensionamento dei tre autori).Con essa buona parte dei lettori che, anche se poco sapevano di sceneggiatori e disegnatori, non erano stupidi e avevano subito sentito cheBlekeMikinon avevano più l’anima di una volta.Il Piccolo Sceriffo aveva adottato il formato quadernetto spillato, ma anche inserendo personaggi più adeguati ai tempi come il supereroeRadar, aveva visto crollare le vendite. Un altro formato, anch’esso brossurato ma tascabile, si era intanto imposto: quello dei “neri” capitanato daDiabolike spalleggiato dalle due creazioni diLuciano Secchi/Max BunkereMagnus:KriminaleSatanik.L’uno e gli altri conobbero un periodo di grandissimo successo che li portò a moltiplicare le uscite, da mensili a quattordicinali e persino settimanali, anche se l’aumentata produzione fu accompagnata da un netto peggioramento della qualità, presto pagato con un sostanzioso calo delle vendite. Se al capofila delle sorelle Giussani bastò tornare alla mensilità, alla quale aggiungere prima una e poi due collane di ristampe, mantenendo sempre alta la qualità dei testi e dei disegni, le due creature della Corno sbandarono e non riuscirono più a riprendersi. Costretti oltretutto dalla persecuzione della magistratura a rinunciare alle storie più violente e coinvolgenti, per la conseguente annacquatura dei testi e lo scadere dei disegni finirono con l’uscire di scena. Un effetto del successo dei neri era stato quello di spostare un po’ in avanti l’asticella del prezzo dei fumetti, riuscendo a vendere a 150 lire un albo di 128 pagine con due sole vignette per pagina. Ma anche se la formula editoriale si prolungò ancora per un certo numero di anni grazie alle collane di fumetti sexy, spazzate poi via insieme dall’arrivo delle videocassette nei primi anni ottanta, fu presto chiaro che ilformatvincente era quello del volume mensile bonelliano. L’editoria da edicola conobbe negli anni settanta e ottanta altri fenomeni editoriali, a cominciare dalle cosiddette riviste d’autore. Ma mentre queste decadevano rapidamente, forte di un seguito ormai imponente di lettori e collezionisti Tex si imponeva quale formula vincente e, soprattutto, come paradigma di prezzo di copertina popolare che, dall’alto del suo mezzo milione di copie vendute, schiacciava inesorabilmente ogni tentativo di concorrenza degli altri editori. Negli anni ottanta-novanta il prezzo di copertina della testata leader costringeva le altre pubblicazioni bonelliane (pur con un numero minore di pagine: 96 contro le 112 di Tex) a vendere circa 40mila copie per poter andare in pareggio.Finché funzionava il ricambio generazionale, con nuovi lettori giovani che prendevano il posto di quelli più grandi che si erano stancati dell’una o dell’altra serie, le cose comunque funzionavano, e gli aumenti periodici del prezzo di copertina erano dovuti alle svalutazioni della moneta o a periodici rincari della carta. Tex, grazie alle sue vendite stratosferiche, continuava a tenere bassa l’asticella del prezzo e strangolava uno dopo l’altro tutti i concorrenti. Ulteriormente rilanciato dal clamoroso successo diDylan Dognella seconda metà degli anni ottanta, Bonelli negli ultimi trent’anni ha potuto agire praticamente in regime di monopolio. Ma a un certo punto la pacchia è finita anche per lui: l’arrivo di anime, manga, videogiochi, canali televisivi digitali, reti satellitari e, soprattutto, l’avvento di internet hanno spostato l’intrattenimento a buon mercato dalle edicole alla Rete e alleconsole.