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Pensare un reboot è, sostanzialmente, un processo di distillazione: estrarre da un personaggio o da una serie i suoi elementi primi, che non è sempre detto siano quelli più immediatamente riconoscibili. Esempio di scuola: loSherlocktelevisivo di Gatiss e Moffat fa fuori cappelli deerstalker e pipe Calabash, traslando Holmes e Watson nella Londra contemporanea. Ma l’atmosfera non ne soffre. Gatiss e Moffat hanno rimosso il contorno ma conservato l’essenziale, che anni di adattamenti filologicamente impeccabili avevano fatto sbiadire: l’anticonformismo, la droga, la freddezza che sfiora la patologia sociopatica. Non sappiamo se il prossimo rilancio diMartin Mystère(annunciato anzitutto come un cambio di formato) sarà accompagnato o no da un reboot, ma può essere un esercizio interessante immaginare come potrebbe essere. Alla fine cos’è, nella sua essenza,Martin Mystère? Dylan Dog, per dire, è malinconia da liceali in salsa surrealista con contorno di zombi. Non è un caso che Roberto Recchioni (che s’è tenuto Bloch e Groucho e Lily e Xabaras, ma che non ha la malinconia nelle sue corde, ha reso lacontinuitypiù ferrea e cercato di rendere gli zombi qualcosa di più che una citazione da Romero) sia stato accusato d’aver tradito lo spirito della serie. Mentre l’Alessandro Bilotta delPianeta dei morti– che ha fatto fuori Groucho e Bloch e Xabaras, ma la formula l’ha capita d’istinto e replicata con scaltrezza – sia acclamato come l’erede legittimo della tradizione. Martin Mystère, però, è una cosa diversa. Non solo perché, per larga parte della sua storia, è emanazione diretta dell’eclettismo onnivoro del suo creatore Alfredo Castelli.Il personaggio nasce in un momento storico preciso e irripetibile: in questo senso, Martin è pienamente opposto e speculare a Sherlock Holmes, che può sopravvivere benissimo al di fuori del proprio contesto di provenienza (e addirittura guadagnarci, come nel caso diSherlock). È di tale contesto storico-culturale, e delle ragioni della sua scomparsa, che bisogna tener conto nell’immaginare un futuro per la serie: che può anche prendere la forma, come vedremo, di unfuturo passato. Il primo numero di Martin Mystère Martin Mystère nasce nel 1982, in pratica l’anno in cui finiscono definitivamente gli anni settanta. La nazionale di Bearzot asfalta la Germania Ovest al Bernabéu, sdoganando un patriottismo, per quanto soft, impensabile nel decennio precedente. In radio, Giuni Russo riporta in auge le hit balneari dei primi anni sessanta, anche seUn’estate al mare(di Franco Battiato e Giusto Pio) è solo in apparenza un inno spensierato, e parla in realtà di prostituzione e degrado suburbano (l’anno dopo, pubblicando lePostille al “Nome della rosa”, Umberto Eco dirà che caratteristica dell’arte postmoderna è di avere più livelli: al primo ti godi la canzoncina, al secondo capisci l’ironia senza che questo t’impedisca comunque di godertela). Al cinema esceTenebredi Dario Argento, il canto del cigno del giallo all’italiana, mentre a livello globale Spielberg e Lucas rimasticano e rilanciano decenni di cultura pop. Nel 1981 è uscitoI predatori dell’arca perduta, che è facile considerare (sbagliando) l’ispiratore diretto diMartin Mystère. Sbagliando perché Castelli già nel 1978 aveva creato Allan Quatermain, il precursore diretto di Martin, e altri autori avevano già tentato, in Italia, la carta del fumetto a tematica ‘misteriosa’, da Mino Milani (Il Maestro, 1974) a Tiziano Sclavi (Archivio Zero, 1977). È andata meglio com’è andata Dunque, se cronologicamente dobbiamo considerareMartin Mystèreun fumetto degli anni ottanta, contemporaneo di Indiana Jones e dei romanzi di Umberto Eco (più ancora delNome della Rosa,Il pendolo di Foucault, del 1988), il concept è in realtà figlio degli anni settanta e delle ossessioni di quel decennio. Castelli, del resto, non farà mai mistero di considerareMartin Mystèreil punto di arrivo di un percorso iniziato nel 1969 con la rivistaHorror, da lui curata per l’editore Sansoni insieme a Pier Carpi, e proseguito anni dopo con ilCorriere dei Ragazzi. Nei primi anni sessanta la rivista di Pauwels e Bergier vendeva più di 100mila copie in Francia. Nel 1964 sarebbe approdata anche in Italia La stessa nozione di ‘mistero’ che adoperiamo quando pensiamo aMartin Mystèreè anni settanta, un decennio in cui i ‘misteri’ invadono ogni settore dell’industria culturale.La strada l’aveva aperta già nel 1960 un libro comeIl mattino dei maghidi Louis Pauwels eJacques Bergier. Tradotto in Italia nel 1963,Il mattino dei maghimescolava fantascienza e futurologia, speculazione fantastorica e alchimia, presentando fra l’altro al pubblico europeo quello strano personaggio che era stato Charles Fort.Quando la Bonelli lancerà l’Almanacco delMistero, nel 1988, sarà proprio il nome di Fort a essere invocato come nume tutelare. Pauwels e Bergier sono anche fra i primi a parlare al grande pubblico di Uomini in Nero. Il libro di Pauwels e Bergier segna la nascita di una vera e propria moda culturale dell’‘insolito’, un termine sotto cui va a finire di tutto: la parapsicologia e gli UFO, Atlantide e la stregoneria, le case infestate e gli avvistamenti dello yeti.Moda che conosce il suo picco intorno al 1968, tanto cheHorror, dal numero 15, adotterà il sottotitolo “la rivista dell’insolito”. Nel 1971 appare nelle edicoleIl Giornale dei Misteri, e il primo numero è tutto un programma.Si inizia con un pezzo sulla psicologia come forma di magia contemporanea (‘tutti gli uomini di buon senso possono essere o diventare maghi’); si prosegue con un lungo articolo sul diavolo (più che mai d’attualità dopoRosemary’s Babye i massacri della cerchia diCharles Manson) e un aneddoto paranormale occorso a Milano nel 1930. Il Giornale dei Misteri è l’unico periodico dell’età dell’oro dell”insolito’ a sopravvivere ancora oggi Seguono un pezzo sulla radiestesia effettuata con il pendolino, un articolo sui sogni in cui Iginio Ugo Tarchetti si affianca a Sigmund Freud, un’incursione nel macabro con le tecniche di mineralizzazione delle mummie messa a punto dall’egittologo ottocentesco Girolamo Segato, un articolo su Atlantide e uno sulle campane di Carpegna (uno dei più celebri fenomeni paranormali del tempo, del 1970). C’è spazio, infine, anche per un pezzo sui fantasmi inglesi, prima di dare la parola ai lettori e ai loro reportage. Niente è vero, sembra suggerire la rivista, ma tutto è possibile, o quantomeno pensabile: la possessione demoniaca e la precognizione, i fantasmi e le campane che suonano da sole, l’ipnosi e il continente perduto.Sono tutti modi di mettere in crisi il principio di realtà e di pensare alternative all’esistente, intercettando qualcosa che, negli anni intorno al 1968, doveva possedere una consistenza ben più che metaforica. Gli editori si accodano. La Sugar aveva lanciato la collanaUniverso Sconosciutogià nel 1964, e nel 1969 arriverà a vincere il Premio Bancarella conNon è terrestredi Peter Kolosimo. Anche l’idea di Java era nell’aria La Newton & Compton varaI misteri dell’universonel 1969; nel 1970 tocca a Campironi, conMistero, e a Dellavalle conGli enigmi; Meb inauguraMondi sconosciutinel 1971, mentre nel 1972 è il turno di Armenia (L’uomo e l’ignoto) ed Edizioni Mediterranee (Biblioteca dei Misteri); Armenia lancerà altre due collane,Ai confini della realtànel 1973 ePianetanel 1974, mentre Corrado Tedeschi (già editore delGiornale dei Misteri)inauguraI libri dell’ignotonel 1973. Sulla scia delGiornale dei Misterinascono altre riviste:Scienza e ignoto(1972) ePi Kappa, cronache del tempo e dello spazio, ideata e curata dal solito Kolosimo (1972). L’‘insolito’, in ogni caso, è ovunque. Anche al di fuori delle pubblicazioni specializzate: chi è stato bambino negli anni settanta ricorda quanto i periodici più popolari fossero letteralmente saturi di alieni e sensitivi, continenti sommersi e misteriosi poteri della mente. La rivista Pi Kappa, dalle iniziali di Peter Kolosimo, durò solo un anno Ne fa fede anche il cinema di quegli anni: film comeProfondo Rossodi Dario Argento (1975), per dire, oSette note in nerodi Lucio Fulci (1977) danno per scontati i poteri Esp, in una maniera che oggi sarebbe inconcepibile a meno di ricorrere a spiegoniad hoc. Non si tratta di un fenomeno marginale o confinato all’editoria o al cinema ‘di genere’. Senza questo clima culturale è impossibile comprendere come una seduta con la tavolettaouijapossa aver indirizzato un’indagine di sequestro: come accade nel 1978, quando alcuni professori dell’università di Bologna, tra i quali Romano Prodi, dichiarano di aver ricevuto un’indicazione sul nascondiglio di Aldo Moro tramite una “seduta spiritica”, e questo senza che nessuno si metta a ridere. È sempre stupefacente quello che è in grado di raccontarti la gente se solo glielo chiedi Che vi siano, in cielo e in terra, un’infinità di cose affascinanti e ignote è idea condivisa da migliaia di italiani, alcuni dei quali scrivono ai giornali per raccontare le loro ‘insolite’ esperienze. Libri comeLettere a un parapsicologodi Piero Cassoli (1974) oParapsicologia della vita quotidianadi Leo Talamonti (1975) sono lo spaccato di un’Italia segreta, e forse definitivamente scomparsa, in cui non è strano ricevere comunicazioni telepatiche, conversare coi morti o avere squarci allucinatori del futuro. La fantarcheologia rappresenta una componente di questo clima culturale. Riviste e collane dedicano ampio spazio ad antichi astronauti e continenti perduti. Uno degli autori chiave del genere è proprio italiano: il già citato Peter Kolosimo, pseudonimo di Pier Domenico Colosimo, la cui parabola di saggista si snoda per tutti gli anni sessanta e settanta, e si conclude proprio nel 1982 (morirà due anni dopo). Divinità sumere, colorazioni improbabili, grafica essenziale Kolosimo è un personaggio in larga parte ancora da indagare, non riconducibile a letture unitarie. Non ha le certezze di un Von Däniken né l’ossessione per le prove di un Charles Berlitz: Kolosimo è anzitutto un geniale scrittore di narrativa popolare, le cui invenzioni fantastiche prendono la forma di saggi avvincenti e improbabili. La dissoluzione dei confini tra finzione e saggio sarebbe diventata un cliché postmoderno, ma era nell’aria almeno fin dal Borges degli anni quaranta. I libri di Kolosimo sono altrettanti capitoli di un’epopea della curiosità e dell’incanto, introdotti da epigrafi di Pablo Neruda (Kolosimo era, o almeno si dichiarava, comunista) e confezionati, almeno le prime edizioni della Sugar, con un’estetica da socialismo reale sotto acido lisergico, con copertine che sembrano impossibili album di rock progressivo prodotti nella Germania dell’Est.Da un libro di Kolosimo, peraltro (Polvere d’inferno, del 1975), è probabile che venga il nome di Sergej Orloff. L’industria culturale dell’‘insolito’ decade, forse non a caso, fra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, gli anni del cosiddetto ‘riflusso’.Nel 1978 un reportage televisivo di Piero Angela,Viaggio nel mondo del paranormale, smonta sulla Rete Uno l’intera filiera delbusinessparapsicologico (sensitivi e studiosi di parapsicologia gliela giureranno). Nel giro di pochi anni, i libri di spiritismo e fantarcheologia, di criptozoologia e ufologia che avevano affollato gli scaffali per più di un decennio finiscono rapidamente nell’oblio.Li soppianta un misticismo orientaleggiante che dà rifugio a tanti reduci della contestazione e che in seguito prenderà il nome di New Age: ma è un discorso dalle premesse radicalmente diverse. Le frontiere da abbattere e l’impossibileda pretendere non sono più, nel discorso New Age, questioni epistemologiche e collettive: sono processi interiori, da realizzare nel proprio privato. Martin Mystéreappare in questo contesto, figlio di un discorso e di un’estetica morenti. L’abilità maggiore di Castelli è stata trasformare quella che stava diventando paccottiglia daremainderin potenziale narrativo (un’operazione simile, nel 1993, la compirà Chris Carter ideandoX-Files, nel momento in cui gli avvistamenti di Ufo sono ormai un fenomeno irrilevante e minoritario). Oggi, però, la situazione è ancora più complessa che nel 1982. Il discorso sull’insolitoè ormai una sottocultura a sé, priva della pervasività sociale degli anni settanta e spesso intrisa di complottismo pseudoscientifico (Rettiliani, scie chimiche eccetera). Non è un caso che, mentre gli altri almanacchi Bonelli continuavano la propria vita diventandoMagazine, a sparire per primo sia stato proprio l’Almanacco del Mistero.Più d’ogni altra testata Bonelli,Martin Mystèredoveva in larga parte la propria fortuna a redazionali, albetti e almanacchi abilmente giostrati sul crinale tra il vero e il falso, il possibile e l’impossibile. Sarebbe un equilibrismo oggi impensabile, in un’epoca in cui ciascuno è obbligato a scegliere la propria parte (propagatore difake newsodebunker) senza più alcuno spazio di manovra nel mezzo. Vaporwave before vaporwave Nella letteratura popolare hanno goduto di un effimero revival i temi mistico-esoterici, a partire dai thriller di Dan Brown (in parte presi a modello dalla miniserie a colori di Martin Mystère), ma si tratta di un filone ormai esaurito. Soprattutto, oggi si è smontato il giocattolo. L’universo è ancora pieno di angoli inesplorati, ma non sono quelli immaginati cinquanta o quarant’anni fa. Atlantide non funziona neanche più come invenzione fantastica: è modernariato culturale, come l’arredamento funzionalista o il moog, e adoperarla in un contesto contemporaneo può stridere quanto un sintetizzatore d’epoca usato a scopi non citativi (è stato uno degli elementi più problematici delleAvventure a colori). Ma non si può nemmeno mandare Martin Mystère a sequenziare il genoma dei virus o a ispezionare i campioni di terra venuti da Marte: a lui servono Atlantide con le astronavi e le colonne, le lamasserie tibetane che nascondono arcani artefatti e le tribù dell’Amazzonia che adorano gli alieni. Serve, in altre parole, la rigatteria. Ora, per ridare una funzione alla rigatteria un modo c’è: il revival.Martin Mystère, con la sua propensione a saltellare tra generi e universi alternativi, si presterebbe perfettamente a un’operazione retrofuturistica, che (in modo speculare a quanto fatto da Gatiss e Moffat per Sherlock Holmes) abbandoni il presente per portare il personaggio nel tempo e nell’estetica da cui è venuto, rivisitandola con sensibilità contemporanea. Non è passatismo: è retroprogramming