GLI AGNOLOTTI LI PREPARANO I VIGNAIOLI

Preparare gli agnolotti o, come diciamo noi piemontesi, le raviole, non è un’operazione nostalgica. Tuttavia, quando prepariamo il ripieno degli agnolotti ripensiamo inevitabilmente a quelle mattine freddissime in cui sentivamo le nostre madri che trafficavano in cucina.Sapevamo, senza che ce lo avessero detto, che stavano preparando il ripieno. I piemontesi sono puristi: nessun esperimento, nessuna invenzione strana. Osserviamo un rituale che immaginiamo scritto in qualche codice miniato in fondo a una polverosa sacrestia di Casale Monferrato. È una questione di identità: niente cavolo perché il suo sapore sovrasta tutto, proibitissimi gli spinaci che macchierebbero di verde la pasta.Le nostre madri compravano la bianca, carnosa, croccante scarola per ammorbidire il ripieno che non doveva assolutamente risultare duro come “pallini da schioppo”: ma sontuoso, cremoso e saporito. La padrona di casa conservava il suo tesoro di spezie in un barattolo. Quello di mia madre era verde. Ora non lo trovo più, ma ricordo perfettamente il contenuto: pepe, noce moscata, chiodi di garofano, cannella. Servivano per insaporire il contenuto degli agnolotti.Le raviole dovevano essere tutte uguali e la pasta doveva lasciar intravedere il ripieno verde chiarissimo. Mia madre teneva per sé l’operazione di impastare, non usava solo le uova per bagnare la farina perché non voleva che l’impasto risultasse troppo carico. Stemperava l’impasto con l’acqua tiepida. Lavorazione a mano della pasta Adesso ci si è messo mio figlio, perché ha avuto pietà delle mie mani artritiche. Adora lavorare la pasta e il miracolo che si compie. Sotto le sue forti mani la pasta diventa morbida, elastica, dorata. Io e mia nuora, la giovane donna di casa, tiriamo le strisce di pasta a coprire lo stampino. Era stato introdotto da mia madre, che si era arresa a questa innovazione, considerata sacrilega dai tradizionalisti, perché voleva che gli agnolotti fossero tutti rigorosamente uguali.Non poteva consentire la minima differenza di dimensione a noi, suoi incapaci aiutanti. Le morbide strisce si allargavano quasi trasparenti, senza lacerarsi. E ancora una volta eccole qua le raviole della mia infanzia, quelle che il nonno mi lasciava arrostire sul piano della stufa, quelle che avevo preparato io perché la nonna mi lasciava pasticciare. Donna piemontese che fa gli agnolotti Ci sono stati anni che volevo fuggire. Tutto quel lungo, preciso, paziente lavoro da fare, mi esasperava. Mi innervosivo con mia madre che, poveretta, cercava di placarmi: “Dai, sta tranquilla, ne facciamo poche, solo per noi, solo per noi, sta tranquilla”. Intanto faceva il buchetto in mezzo alla montagnola della farina e cominciava a versare l’acqua tiepida e a rompere le uova. E io:“Ma quanta farina stai bagnando?”. “Un chilo, non di più”. Sapevo che mentiva, ne ero sicura. Andavo con lei a comprare la carne, di quattro tipi: maiale, vitello, coniglio e un bel petto di pollo (o, se riuscivamo a trovarlo, di cappone). Carni magre che arrostivano con tutti gli odori nel forno. Controllavo e il quantitativo mi sembrava sempre maggiore di quello che avevamo comprato insieme. Mia madre si avvicinava un po’ esitante al buffet e tirava fuori i cabaret delle bignole che aveva religiosamente conservato dall’ultimo compleanno. Io sbuffavo ma non riuscivo a fare la faccia feroce.Allora, burbera, dicevo:“Dammi qui a me, tu va avanti con il lavoro altrimenti non finiremo più…”. Allineavo le raviole sul cabaret spolverato di farina, poi prendevo la carta velina bianca e avvolgevo il pacchetto. Mio figlio mi guardava attento, smettendo di tagliare le file degli agnolotti. “Questo pacco a chi lo portiamo?”. Mia madre rideva contenta perché aveva capito che avevo ceduto ancora una volta. “Portalo a Renato, ma con bel garbo. Povero ragazzo, la madre è morta e la moglie di sicuro non gli fa le raviole. Gli sembrerà che sua madre sia tornata”. Mio figlio partiva, orgoglioso, tenendo il pacco in alto e io gridavo giù dalle scale:“Fa’ attenzione a non cadere”. Agnolotti alla piemontese in bianco, appena scolati Tiro su gli agnolotti con la schiumarola, li scuoto: sono pallidi, eburnei, lucenti, poi li calo nel piatto fondo, una piccola quantità perché mangiamo tutti troppo. Con il mestolino prendo un po’ del nostro ragù di carne. Niente di dietetico: soffritto d’ordinanza (cipolla, carota, sedano) ben rosolato, carne di vitello, salciccia di maiale, bicchiere di vino rosso vecchio, polpa finissima di pomodoro, triplo concentrato.Volete sapere il segreto? Un pezzetto di fegato di coniglio, ben rosolato. Ragù nel fujot (tegame di terracotta) Al mattino alle otto, il ragù sobbollisce già nel suo fujot e a mezzogiorno esala nuvolette di vapore profumato. Un piccolo mestolino condisce gli agnolotti. Una nuvola di parmigiano cala sul piatto. Il mio è l’ultimo, senza parmigiano, senza ragù, in purezza, il piatto più piccolo. Inghiotto il primo boccone. Intorno a me c’è silenzio, tutti mangiamo assaporando ogni forchettata. Ci sono piatti che mi piacciono di più, gusti nuovi che ho adottato, piatti sfiziosi dei grandi chef che cerco di riprodurre, ricette meridionali che ho imparato a fare e che cucino e mangio con piacere. Ma mentre inghiotto la prima forchettata di agnolotti e il raviolo scivola sulla lingua liscio sotto il velo un po’ ruvido di ragù, mi riconosco in questi sapori dell’infanzia e mi aspetto l’affumicato del raviolo arrostito sul coperchio della stufa che mi concedeva mia nonna. Agnolotti al vino rosso Mio nonno metteva sulle pallide nude raviole una corposa barbera perché era un vignaiolo. I piemontesi sono razza di vignaioli. Gli ingredienti per circa 40 agnolotti Tirare la pasta 1) Farina 00 300 g. 2) Uova 2 medie 3) Acqua tiepida quanto basta per una pasta ben lavorabile