WILLIE SUTTON, IL GANDHI DEL CRIMINE

WILLIE SUTTON, IL GANDHI DEL CRIMINE

Arnold Schuster è un ventiquattrenne che lavora in un negozio di abbigliamento. Ha sempre sognato di diventare un detective, come i personaggi dei romanzi gialli che divora. Per questo motivo osserva sempre con attenzione le foto segnaleti che dei criminali ricercati dall’Fbi, semmai dovesse incrociarne uno. In effetti, è proprio quello che gli capita nella metropolitana di New York, un giorno di febbraio del 1952. Dopo averlo scrutato senza farsi vedere, arriva alla conclusione che è proprio lui: Willie Sutton, il più famoso rapinatore d’America. Lo segue per un po’, e quando adocchia una coppia di agenti lì vicino lo fa arrestare.

Arnold si gode fino in fondo questo momento di gloria come investigatore dilettante, facendosi intervistare dalla televisione. Purtroppo per lui, tra gli spettatori c’è anche Albert Anastasia, un boss della potente famiglia Gambino. Come tanti mafiosi cresciuti a Brooklyn, Anastasia è un vecchio conoscente di Willie Sutton, anche se i due non hanno mai lavorato insieme. Per vendicare l’arresto dell’amico e dare un esempio, il boss ordina a uno dei suoi scagnozzi di uccidere il giovane “spione” davanti casa. Una vile azione che Sutton, famoso per la sua non-violenza, non avrebbe mai approvato.

Willie Sutton


Willie Sutton nasce a New York in una povera famiglia di origine irlandese, il 30 giugno 1901. Quarto di cinque figli, può frequentare la scuola solo per otto anni, ma gli rimarrà per sempre il pallino dello studio. Vive in un quartiere di Brooklyn dove la criminalità è molto diffusa. Così diffusa che Willie entra nel mondo della malavita quando è ancora un ragazzino, facendo amicizia con alcuni mafiosi siciliani, anche se preferisce agire come “indipendente”.

Piccolo, occhi vivaci e lingua sciolta, Willie Sutton è un furbetto che se la sa cavare in ogni situazione. Inizia a rapinare banche negli anni Venti, nel periodo del Proibizionismo, l’epoca d’oro dei gangster. A differenza dei colleghi, tutti noti per avere il grilletto facile, Willie detesta ogni violenza. Se durante la rapina una donna si mette a urlare o un bambino a piangere, lui lascia perdere tutto e ordina ai suoi di abbandonare la banca senza il bottino.

Si porta dietro una pistola e il mitra Thompson, ma usa queste armi solo per minacciare, non per sparare: «Perché qualcuno potrebbe farsi male». Questo, almeno, è quanto racconterà lui stesso alla fine della carriera, quando il suo nome sarà entrato nella leggenda con il soprannome paradossale di “Gandhi del crimine”.   

Nei suoi primi anni di attività la polizia ignora che sia un delinquente, così Willie Sutton può condurre una vita quasi normale, sposando, nel 1929, l’amata Louise Leudemann. Con la moglie, l’anno successivo, ha una figlia, Jeanie.

Benché studi sempre con molta cura i colpi senza lasciare nulla il caso, nel 1931 Willie Sutton viene arrestato per la prima volta durante una rapina e condannato a 30 anni di carcere. Dopo un solo anno di prigionia, però, riesce a far introdurre nella prigione una pistola con la quale prende in ostaggio una guardia.

Una volta uscito dall’edificio carcerario, sapendo che difficilmente le guardie gli aprirebbero il portone della cinta muraria anche se minacciasse di uccidere il collega, immobilizza l’ostaggio per poi scavalcare i 9 metri del muro con una corda che si è portato dietro.

Appena libero, torna a svolgere l’unica attività che conosce: quella del rapinatore. Non sempre i colpi vanno a segno, come quella volta in cui cerca di infilarsi in una banca di Philadelphia camuffato da postino, ma qualcuno lo riconosce e dà l’allarme in tempo. Il colpo è solo rimandato, perché qualche mese dopo riesce a penetrare nella stessa banca calandosi da un lucernaio insieme a due complici.

Sempre quell’anno, il 1933, Willie Sutton si sposa per la seconda volta, con Olga Kowalska, dato che Louise aveva ottenuto il divorzio mentre era in prigione. La normale vita domestica non è però l’ambizione di Sutton. Del resto, dopo l’evasione non potrebbe trovare lavoro neanche se volesse, essendo ricercato dalla polizia. Continua così a sferrare i suoi colpi, nei quali usa sempre più spesso i travestimenti.

Ancora come “postino” assalta una gioielleria, poi altre banche e negozi nei panni dell’uomo della manutenzione o, addirittura, di agente di polizia. Nel 1934 viene catturato per la seconda volta, ricevendo una condanna dai 25 ai 50 anni di detenzione, a seconda della condotta che terrà in carcere.

Passa più di dieci anni filati nel penitenziario di Philadelphia, prima che, nel 1945, insieme a una dozzina di detenuti riesca a evadere attraverso un tunnel. Purtroppo per lui, viene catturato il giorno stesso e ricondotto in carcere. Evade ancora un paio di anni dopo, travestito da guardia carceraria. Quando viene inquadrato da un faro, poco prima che scavalchi il muro di cinta, grida “tutto bene!” e il fascio di luce, manovrato da una guardia che lo scambia per una guardia vera, si sposta altrove.

Anche stavolta Willie Sutton riprende subito le sue rapine come se niente fosse. Non lo fa soltanto per i soldi, dato che ne ha già messi da parte abbastanza per andare a vivere all’estero tra tutti i lussi, ma soprattutto perché gli piace.

Come quelle persone che si ricaricano psicologicamente continuando a fare scommesse o puntando al tavolo da gioco, Sutton si sente vivo solo quando si trova dentro una banca per commettere una rapina. L’adrenalina, in quei momenti di grande tensione, gli va a mille. Il rischio è come una droga per lui.

L’Fbi riconosce presto lo stile sofisticato di Willie Sutton nei vari colpi che si susseguono negli Stati del Nord-Est, per questo decide di metterlo all’undicesimo posto tra i maggiori ricercati degli Stati Uniti. Non lo posiziona più in alto solo perché non ha mai ucciso nessuno, dato che il gangster è rimasto fedele al proposito di non sparare. La sua faccia viene comunque memorizzata dallo sventurato giovane che lo fa arrestare in metropolitana.

Nel nuovo processo, a Willie Sutton viene imputata la sola rapina di cui il pubblico ministero ha sufficienti prove per incastrarlo: un colpo ai danni di un’azienda di New York che ha fruttato 63 mila dollari. Il bottino messo insieme nella sua lunga carriera si aggira sui 2 milioni di dollari dell’epoca. L’imputato viene condannato a una pena variabile dai 30 ai 120 anni di prigione, da scontare nel penitenziario di Attica.

Le autorità carcerarie, ora che lo hanno inquadrato bene, non gli danno più la possibilità di evadere. In carcere, Sutton viene considerato un’autorità dai detenuti novellini, e lui dispensa ben volentieri i consigli legali che gli chiedono. Tutti pendono dalle sue labbra, quando racconta le sue imprese durante gli anni ruggenti del Proibizionismo.

Ormai è famoso quasi come Al Capone e Lucky Luciano, malgrado le notevoli differenze di stile. Spiega, con ironia, di essere stato una specie di Robin Hood che rubava ai ricchi per dare i poveri, cioè a se stesso. Sutton non deve temere le aggressioni da parte dei detenuti violenti, perché nella stessa prigione sono rinchiusi alcuni boss mafiosi che ha conosciuto da ragazzo, i quali lo rispettano e lo proteggono. Trascorre gran parte del tempo a leggere buoni libri, riempiendo la cella con le opere di Cicerone, Dante, Shakespeare, Freud e Proust.

La condanna gli viene sospesa alla vigilia di Natale del 1969, a causa del suo stato di salute divenuto precario per un enfisema. Quando il giudice gli dice che è libero di tornare a casa, Sutton lo ringrazia per quel regalo inaspettato e si scioglie in lacrime.

Tornato in libertà, diventa consulente di alcune banche, con le quali collabora per migliorare i loro sistemi antirapina. Fa anche da testimonial negli spot pubblicitari di una carta di credito. Willie Sutton muore il 2 novembre 1980, all’età di 79 anni.
Ha trascorso più di metà della sua vita da adulto in carcere, ma nessuno lo ha mai veramente odiato per i tanti delitti che ha commesso.


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