THE ROCKY HORROR PICTURE SHOW (SCIENCE FICTION/DOUBLE FEATURE)

La storia del cinema è ricca di film che sono stati definiti con termini come trash, kitsch e B-movie. Tutti epiteti poco lusinghieri che negli anni sono mutati in uno solo: Cult. Science Fiction/Double Feature vuole essere uno spazio che parla di questi film (ma non solo), spaziando tra i più svariati generi.

Il titolo della rubrica è ispirato a una vecchia pratica della distribuzione cinematografica ormai andata in disuso, la double-feature (o double bill); negli anni della Grande Depressione, infatti, per incentivare la gente a recarsi nelle sale di proiezione i gestori dei cinema proponevano due film al prezzo di uno.
Il “pacchetto” offerto dal biglietto conteneva un cinegiornale, una comica slapstick (Stanlio & Ollio, ad esempio), un corto animato e appunto due film: il primo era di solito la produzione a grosso budget, il titolo di punta, mentre il secondo era un film a basso costo solitamente horror o fantascientifico.
Questa particolare soluzione permise a studi minori di vedere distribuite  le proprie produzioni, e ai cinema di rientrare nelle spese della doppia proiezione e perfino di guadagnarci, azionando il motore di quella che divenne la colossale Hollywood che conosciamo oggi. Ma non solo: la proiezione di mezzanotte divenne un rituale pop che nel tempo, grazie anche a figure come John Waters, creò un culto quasi religioso attorno a queste pellicole.

Quella che forse ha scosso più di tutte dalle fondamenta il panorama culturale fu senza dubbio The Rocky Horror Picture Show, del 1975, diretto da Jim Sharman e adattato per il cinema dal musical teatrale The Rocky Horror Show scritto da Richard O’Brien.

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Illustrazione realizzata per l’articolo da BERTRANDO

 

Attenzione! Spoiler: di seguito anticipazioni importanti sul film.

La trama del film segue le vicende (narrate da un criminologo interpretato da Charles Gray, il primo Blofeld della saga di James Bond) dei giovani Brad (Barry Bostwick) e Janet (Susan Sarandon) che, dopo essere stati al matrimonio di amici, decidono anche loro di sposarsi. Eccitati dalla situazione vanno a visitare il dottor Scott, professore universitario artefice, in un certo senso, del loro incontro poiché entrambi frequentavano la sua classe.
Ma l’imprevisto è dietro l’angolo ed ecco che sulla strada, nel bel mezzo della notte e di un violento temporale, restano appiedati; l’unica speranza di riparo ed eventuale soccorso è rappresentata da un castello poco distante.

Vengono accolti dal personale di servizio del maniero, accudito dal sinistro factotum Riff Raff (O’Brien stesso) e dalla sorella Magenta (Patricia Quinn), e subito capiscono la stranezza del luogo in cui sono capitati: è in corso infatti la riunione dei transilvaniani, in cui tutti sono impegnati nello sfrenato e ormai iconico ballo del Time Warp.
Non appena si riprendono dallo shock, i due giovani sono pronti a incontrare il padrone di casa: l’eccentrico e ambiguo dottor Frank-N-Furter (uno straordinario Tim Curry), scienziato pazzo a un passo dal completamento della sua più grande invenzione: Rocky Horror, l’amante perfetto.
Ma come il dottor Frankenstein della letteratura, anche lui ha dovuto sporcarsi le mani di rosso sangue per ottenere il suo risultato, e nella sua spirale di colorata dissolutezza e libertina oscurità porterà con sé anche i protagonisti, che vengono (entrambi!) iniziati ai piaceri della carne fino a capire di non essere pronti al matrimonio.

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L’epilogo della vicenda ha del tragico nel più classico senso del termine: il brano “I’m Coming Home”, preludio al finale, è un momento catartico di altissimo livello, in cui il dottor Frank-N-Furter riconosce la sua condizione miserabile e fragile dietro al trucco e alle calze a rete, e sfocia in un pianto che coinvolge anche il pubblico.

Il film venne realizzato con l’irrisorio (anche per quell’epoca) budget di un milione di dollari e girato nei vecchi teatri di posa della Hammer, nota casa di produzione passata alla storia per i suoi horror, tra tutti il ciclo sul Conte Dracula con protagonista il grande Christopher Lee.
Per non sforare ulteriormente nel budget, la produzione decise di puntare sull’originale e misconosciuto cast teatrale dell’opera, senza aggiunta di grossi nomi.
Inizialmente l’accoglienza fu freddissima, ma il passaparola dei devoti fan dell’originale piece teatrale fece crescere esponenzialmente la fama del film fino a renderlo il midnight movie più proiettato della storia.
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L’importanza culturale di un film volutamente ammiccante e grottescamente eccessivo, che resta tuttora uno stendardo di libertà ed emancipazione, va contemplata relativamente al contesto storico dell’uscita nelle sale; gli anni ’60 erano finiti da poco, e ancora erano freschi nella mente di tutti i tumulti studenteschi e l’ascesa della controcultura hippie, che rivendicava il diritto di vivere la vita liberi e senza moderazioni. Anni dove la libertà era un concetto male interpretato, cosa che sfociò in atti come l’assassinio di Martin Luther King e gli orrori della Famiglia Manson.
Giocando di fantasia, il messaggio di fondo della meravigliosa scena “Don’t Dream It, Be It” potrebbe quasi considerarsi l’altro lato della medaglia libertina del periodo: Frank-N-Furter (un alieno, il diverso per antonomasia) ha un sogno, la totale liberazione mentale dagli schemi della società, rappresentato dall’antenna della RKO (perché cinema è uguale a sogno da sempre), e nel sottolinearlo canta e balla sfrenato galleggiando sul relitto del decennio precedente, naufragato come il Titanic (di cui si intravede il salvagente).

Perché è questo che rende un film eterno: un sogno in cui tutti gli spettatori di tutte le epoche possano rivedersi ed emozionarsi.

E in questo caso ballare il Time Warp.

 

vivo tra immaginario pop, fantascienza, nuvolette e altre cazzatelle. Cerco risposte nei libri di Palahniuk e non nella Bibbia.

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