ROY THOMAS, I CAPOLAVORI DEL BRACCIO DESTRO DI STAN LEE

ROY THOMAS, I CAPOLAVORI DEL BRACCIO DESTRO DI STAN LEE

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Nel 1965, durante il fine settimana seguente all’incontro, Thomas scrive, non accreditato, i dialoghi per un fumetto a metà strada tra la commedia e il romanticismo con protagonista una bionda chiamataMillie the Model, una serie iniziata negli anni quaranta e che continuerà fino ai settanta. Ma non è un caso fortuito, Lee conosceva bene Thomas, il giovane che veniva dallo stato del Missouri, come autore di molte lettere inviate alle testate Marvel e come autore diAlter Ego, una delle prime fanzone dedicate al fumetto. Dopo aver co-firmato insieme a Stan Lee alcuni brevi episodi autoconclusivi per Tales of Suspance e Strange Tales, la prima storia che Roy Thomas firma da solo è “Armageddon”, apparsa sul n. 29 diSgt. Fury and his Howling Commandosnell’aprile del 1966. Thomas subentra nella serie a Stan Lee, che aveva scritto i 28 episodi precedenti, i primi 7 in coppia con Jack Kirby e i restanti assieme aDick Ayers. Stan Lee lascia a metà una storia che vede come avversario di Nick Fury il barone Von Strucker. Niente paura, il pupillo del Sorridente (questo il soprannome di Lee) dimostrerà di sapersela cavare egregiamente. Roy Thomas resterà alla Marvel fino al 1981, quando ai ferri corti con Jim Shooter, che vorrà rendere incompatibile il ruolo di sceneggiatore con quello di editor, deciderà di lasciare la marvelliana Casa delle idee per la Dc Comics.È ancora attivo al giorno d’oggi come sceneggiatore (quila sua intervista a Giornale POP), anche se le sue collaborazioni si sono molto diradate. Il meglio di sé Thomas l’ha dato nei 16 anni passati alla Marvel, contribuendo a renderla grande scrivendo storie che, spesso, sono rimaste nei cuori dei lettori. La poetica di Thomas, nelle sue storie migliori dal 1968 al 1973, si sviluppa seguendo due direzioni.Da un lato tende a costruire le storie attorno a un nucleo centrale costituito prevalentemente da forti contenuti emozionali. Sono le intense emozioni come la rabbia e la disperazione a determinare lo sviluppo dell’intreccio. Dall’altro lato l’autore inserisce delle tematiche di base sempre più complesse, come il razzismo, il rapporto figli-genitori, la diversità in generale, che contribuirono al passaggio del fumetto americano dalla Silver age alla Bronze age. Analizziamo brevemente quelle che riteniamo essere le sue storie più belle. Roy Thomas arriva sulle pagine deiVendicatorinel dicembre 1966, sul numero 35. Lo fa quando i Vendicatori sono il quinto titolo Marvel più venduto, dopo l’Uomo Ragno, i Fantastici Quattro, Thor e Devil. Di “Mancò la luce” Thomas scrisse principalmente i dialoghi di una trama ideata da Stan Lee e Don Heck (per lo più da Heck). Inizierà a scrivere autonomamente le storie dal numero successivo e continuerà a farlo fino al 1972. Contribuisce a dare anima a un gruppo che ancora non l’aveva, del quale scriverà alcune delle storie più belle a cominciare dal dittico composto da “Osservate la Visione” e “Anche un androide può piangere”, disegnato daJohn Buscema. Si tratta di una pietra miliare nella storia della Marvel, se non altro perché introduce un personaggio che diventerà uno dei Vendicatori più amati: l’androideVisione. In questo è aiutato da Stan Lee, che gli suggerisce di rifarsi a un personaggio della Golden age creato da Joe Simon e Jack Kirby. L’inizio è maestoso, con la Visione che sorvola la città sotto la pioggia. La tensione si alza quando la Visione attacca la vendicatrice Wasp. Poi subentra il mistero quando l’androide crolla a terra senza motivo. Si materializza infine la minaccia diUltron, il malefico robot costruito da Henry Pym, a sua volta creatore di Visione. Si tratta di un duplicato della classica storia della creatura che si ribella al suo creatore: Ultron si ribella a Henry Pym e Visione si ribella a Ultron. Nel finale leggiamo nelle didascalie la famosa poesia “Ozymandias” di Percy Bysshe Shelley, mentre un ragazzino gioca svogliatamente con la testa di Ultron.Un finale che lasciò a bocca aperta molti giovani lettori di fumetti dell’epoca. Thomas inizia a sceneggiare le storie degli X-Men dal n. 20 del maggio 1966. Per lungo tempo scrive svogliatamente al servizio dello sgraziato Werner Roth, mentre il titolo perde sempre più lettori.Tutto cambia con l’arrivo diNeal Adams, almeno dal punto di vista qualitativo.Sul n. 54, disegnato da Don Heck, Roy Thomas aveva introdotto il Faraone Vivente e Alexander Summers, il fratello di Ciclope.Con il n. 56 le matite passano a Neal Adams, che realizza un lavoro superbo. La storia intanto diventa sempre più interessante: Alex Summers scopre di essere anche lui un mutante dai poteri stupefacenti, prendendo il nome diHavok.Thomas gioca molto sullo sconcerto di un ragazzo ventenne alle prese con poteri che vanno al di là della sua immaginazione. Ne fa un personaggio tragico, quasi shakespeariano, portando l’intero gruppo degli Uomini X in una dimensione diversa dalla solita. In “Agisci o muori”, Bestia, Ciclope e Marvel Girl riescono a introdursi nella base delle robotiche Sentinelle per liberare i loro compagni tenuti prigionieri. Anche Havok partecipa allo scontro, ma i robot giganti vengono sconfitti definitivamente soltanto da uno stratagemma logico inventato da Ciclope. L’astuzia prevale sulla forza, dai tempi di Ulisse in poi. Stan Lee aveva creatoCapitan Marvelsulle pagine di Marvel Super Heroes n. 12, ma non era riuscito a dargli un senso, anche perché invece di Jack Kirby e Steve Ditko il suo coautore eraGene Colan, un disegnatore non molto versato come co-sceneggiatore. Quando a Captain Marvel viene dato un titolo tutto suo, Lee lasciò volentieri a Roy Thomas l’onere dei testi. Thomas scrisse i primi quattro numeri, sempre per le matite di Gene Colan, poi subentrarono lo sceneggiatore Arnold Drake e Don Heck.Il titolo continuava a perdere lettori, così Stan Lee decise di riaffidarlo a Thomas. Roy Thomas racconta che aveva già preparato la trama di Capitan Marvel n.17 e l’aveva praticamente consegnata nelle mani di Don Heck, quandoGil Kaneentrò nel suo ufficio. Si era già accordato con Stan Lee per lavorare su Capitan Marvel. Quando Roy Thomas vide lasplash pageiniziale di Kane fu elettrizzato. In seguito Kane gliela regalò e Thomas ancora oggi la possiede: Capitan Marvel fluttua nell’iperspazio, ripreso dall’alto, immobile ma con tutti i muscoli del corpo in tensione. Un inizio con il botto. Qui Thomas introduce una forte novità nel personaggio. Uno dei punti deboli di Capitan Marvel era la mancanza di un’identità segreta. Niente identità segreta, niente super problemi. Veniva a meno uno dei punti fermi del “metodo Marvel”. Thomas riesce a trovare il modo di dare a Capitan Marvel un alter ego, imprigionandolo in una doppia identità conRick Jones, l’ex giovane partner di Hulk e poi di Capitan America. La complessa relazione tra questi due uomini coraggiosi che si scambiano continuamente di posto tra Terra e “zona negativa” mediante lo sfregamento di due bracciali Kree innalza l’asticella delle identità problematiche. Quando il disegnatoreGene Colantornò suDeviln. 53, dopo essere stato assente per tre numeri, al posto di Stan Lee trovòRoy Thomas. Colan si era abituato a costruire una storia a partire dalle minimali indicazioni del Sorridente date a voce, telefonicamente o davanti a un sandwich e a un caffè. Con Thomas le cose cambiarono. Lui la storia la scriveva. Anche se, benché scritti, i soggetti continuarono a essere poco più che sintetici spunti dai quali partire per sviluppare una storia compiuta di una ventina di pagine. Se il Decano, così veniva chiamato Colan, non seguiva ogni riga scritta da Thomas il numero due della Marvel non se la prendeva più di tanto. Spesso, infatti, succedeva che Gene Colan piegasse lo storytelling alle proprie esigenze di rappresentazione grafica. In pratica, le storie venivano costruite sulla base di ciò che il Decano preferiva disegnare. Alla fine i dialoghi di Thomas riuscivano sempre a salvare la situazione. “Un uomo chiamato Brimstone” è un episodio enigmatico e tenebroso, che ricorda i film noir degli anni quaranta, una storia che ci permette di osservare da vicino il particolare metodo di lavoro di Roy Thomas.Allo sceneggiatore del Missouri piaceva prendere spunto da romanzi o da film e mescolarli insieme per ottenere qualcosa di nuovo. Gli spunti alla base di questa storia sono due. Il primo è la serie gotica televisivaDark Shadows, di cui Thomas era un accanito spettatore a causa del vampiro Barnabas Collins, interpretato da Jonathan Frid, che aveva un aspetto davvero tenebroso. Il secondo spunto è il film di Robert Aldrich del 1968,L’assassinodi Sister George, che narra come la vita di un’attrice disoap operaaveva iniziato a sgretolarsi quando il sospetto che la produzione volesse cancellare il suo personaggio dalla serie si era insinuato nella sua mente.