RIVEDENDO I FILM DI MASSIMO TROISI REGISTA

Massimo Troisi(San Giorgio a Cremano, 1953 – Roma, 1994) comincia come attore di cabaret, interprete napoletano in senso stretto, raggiunge la fama grazie a radio e televisione (Non Stop,Luna Park) dove interpreta sketch indimenticabili con il gruppoLa Smorfia(con Lello Arena ed Enzo Decaro). Il suo primo film,Ricomincio da tre(1981), lo trasforma in un fenomeno cinematografico alla pari di Benigni, interprete di una commedia dialettale che si sforza di raccontare la vita quotidiana con leggerezza ma scavando in profondità. Seguono altri lavori interessanti da regista-attore:Scusate il ritardo(1983),Non ci resta che piangere(1984),Le vie del Signore sono finite(1987) ePensavo fosse amore… invece era un calesse(1991). Non possiamo tacere le interpretazioni intense nei due film di Ettore ScolaSplendor(1988) eChe ora è(1989). Per finire in bellezza conIl postino(1994), di Michael Radford, uscito dopo la sua morte, film omaggio al poeta Pablo Neruda, pluripremiato agli Oscar. Ricomincio da treè il primo film da regista di Massimo Troisi. Scritto insieme ad Anna Pavignano, è uscito sull’onda del successo televisivo del gruppo comico La Smorfia. Un grande successo di pubblico che porta a repliche interminabili nelle sale più importanti della penisola. Vince due David di Donatello (miglior film e miglior attore). Piace a tutti, sia al pubblico che alla critica, cosa per niente facile, soprattutto nei primi anni ottanta.Il motivo del successo lo si comprende rivedendo il film quarant’anni dopo, scoprendosi a ridere di battute che si conoscono a memoria, di situazioni note, di monologhi costruiti benissimo sulle doti mimiche di un attore naturale. Ricomincio da treè basato su un soggetto risicato, una storia ai minimi termini che racconta le vicissitudini di Gaetano, ragazzo napoletano che decide di andare a vivere a Firenze in casa della zia. Nel capoluogo toscano Gaetano si innamora di Marta, una bella infermiera che scrive romanzi e ha una concezione piuttosto libera dell’amore.Il suo amico Lello, importuno e inopportuno, lo raggiunge e vorrebbe essere ospitato da lui che non ha una casa, per tornarsene a Napoli dopo aver dato vita a alcuni divertenti siparietti comici. Finale sospeso con la famosa battuta del nome da dare al figlio che nascerà (non si sa chi è il padre) e che non dovrà chiamarsi Massimiliano, ma Ugo, tutt’al più Ciro, per motivi di rapidità di rimprovero. Film che vive di battute storiche come il dialogo tra Troisi e Arena sulla decisione diricominciare da zero, con il primo che risponde:Ricomincio da tre, perché tre cose buone in vita mia le ho fatte, perché dovrei ricominciare da zero?. San Giorgio a Cremano è il punto di partenza per spiccare il volo, per uscire dalla monotonia del quotidiano, senza essere un emigrante (“un napoletano che viaggia dev’essere per forza un emigrante?”), ma solo per scoprire il mondo e vedere cosa c’è oltre il solito orizzonte.Personaggi azzeccati come Lello (Arena), l’amico ossessivo (spalla perfetta), ma anche Marco Messeri nei panni di un pazzo (“Sì, certamente!”), Michele Mirabella depresso cronico, la bella Fiorenza Marchegiani fidanzata atipica (la sua carriera si orienterà su televisione e teatro, con poco cinema), Renato Scarpa succube di una madre protettiva, Lino Troisi (nessuna parentela con Massimo, pure se interpreta il padre) che attende il miracolo di una mano da ricrescere, Marina Pagano zia innamorata… Un film dove funziona tutto, persino le pause e i momenti fiacchi, perché sembrano messi ad arte, come un piccolo miracolo di sceneggiatura. Fotografia luminosa di Napoli e di Firenze curata da Sergio D’Offizi, montaggio di un esperto Antonio Siciliano, colonna sonora del grande Pino Daniele (sound napoletano), utili consigli di sceneggiatura (non accreditati) di Matteo Cerami e Ottavio Jemma.Ricomincio da treè un film teatrale, fatto di monologhi e battute, che fa a meno della consequenzialità logica e della trama, grazie all’interpretazione di Troisi.Piccolo capolavoro irripetibile. Scusate il ritardoè la seconda regia di Troisi, che intitola il film prendendo spunto dal tempo passato dal primo film (Ricomincio da tre), due anni, nonostante il successo del debutto. Vincenzo (Troisi) è un ragazzo napoletano imbranato con le donne, che consola un amico petulante come Tonino (Arena) reduce da una sofferenza d’amore. Vive in una famiglia dove il fratello Alfredo è il solo ad avere successo, mentre madre e sorella non lo considerano degno di attenzione. Un giorno conosce Anna e se ne innamora, la sua relazione pare cambiargli la vita, ma lui non riesce a entrare in sintonia con il modo di pensare della donna. Il modo di vivere indolente di Vincenzo torna sempre a galla. Quel non dare importanza alle cose, non comprendere i drammi degli altri, non essere in grado di fare un complimento, di avere un’attenzione, di provare un minimo di empatia con il prossimo. La storia d’amore finisce lentamente, quasi sfiorisce per mancanza di cura da parte di Vincenzo, mentre Lello incontra un’altra ragazza e a quel punto tocca a lui consolare l’amico. Vincenzo si accorge di essere in ritardo su tutto (altro motivo del titolo) ma adesso che ha capito i suoi errori vorrebbe che la ragazza non partisse e che non lo lasciasse. Il film è meno riuscito del precedente, nonostante tutto incassa tre miliardi di lire e vince diversi premi (un Davide di Donatello), vive sulle battute di Troisi (antieroe per eccellenza) e su riusciti dialoghi che vedono spalla perfetta il valido Arena, con la sua disperazione maniacale e i buffi tentativi di suicidio. Molte le battute storiche, tra tutte quella dei“cinquant’anni da orsacchiotto”, in risposta all’esclamazione di Arena:“Meglio vivere un giorno da leone che cent’anni da pecora!”. Ottima la parte con la breve cronaca di Cesena-Napoli 2 a 1 (“è solo la fine del primo tempo, magari pareggiano”), che irrompe dalla radio mentre Vincenzo e Anna stanno facendo l’amore. Scusate il ritardoè ambientato a Napoli, per la maggior parte delle scene nel quartiere Chiaia (dialogo Troisi e Arena sulla scalinata, passeggiate sulla spiaggia a Riviera di Chiaia …). Sceneggiatura scritta da Troisi insieme ad Anna Pavignano, collaboratrice storica e donna della sua vita, che vediamo in una breve parte nei panni di Rita, fidanzata di Tonino. La storia è cucita sul personaggio di Massimo Troisi, che ha fatto breccia nel cuore degli spettatori e sarebbe impensabile interpretata da un attore diverso. Le pause studiate, la recitazione spontanea, le battute prolungate e i monologhi assurdi sono la forza del film. Fotografia marina e cittadina intensa di Romano Albani, per i brevi esterni, anche se il film è molto teatrale e si svolge quasi completamente negli interni ricostruiti alla De Paolis. Musiche di Antonio Sinagra. Un film che ha segnato un’epoca, sempre fresco e divertente dopo trentacinque anni dalla sua uscita in sala, dove lo vidi la prima volta, a ventiquattro anni. Ebbene, dopo quella prima visione ho vistoNon ci resta che piangereun numero incalcolabile di volte, sempre ridendo delle stesse irresistibili battute, ormai imparate a memoria. Versione lunga o versione corta non fa differenza, ché la storia è un insieme dinonsensefantastici, aggregati dal magico collante di una coppia comica inedita e straordinaria. Roberto Benigni e Massimo Troisi sulla scena per tutto il film (unica volta in carriera), ma anche registi, soggettisti e sceneggiatori (con Giuseppe Bertolucci), in ogni caso strepitosi attori comici. La trama è persino inutile raccontarla, tanto è risaputa. Mario e Saverio vengono catapultati nel 1400 (quasi 1500) a Frittole, ai tempi del terribile Savonarola, per la precisione nel 1492, anno della scoperta dell’America.Lo spettatore si rende conto soltanto alla fine che lo scopo di Saverio è impedire il viaggio di Colombo, così la sorella non verrà abbandonata da un soldato statunitense di stanza a Camp Derby, visto che nessuno scoprirà l’America. Questi i parametri temporali, ma in mezzo ne accadono di tutti i colori: l’incontro con il ribelle Vitellozzo (un grande Carlo Monni), la lettera a Savonarola (citazione diTotò Peppino e la malafemmina), la sequenza della dogana e del daziere che chiede ripetutamente un fiorino, la bellissima Iris Peynado che tenta di uccidere i nostri amici, l’incontro con Leonardo da Vinci… Amanda Sandrelli debutta al cinema in un ruolo singolare da pulzella ingenua e innamorata, indimenticabile con i suoi“provare, provare, provare”… mentre Benigni ironizza su Troisi finto compositore di canzoni famose e sulla ragazza giocatrice di pallone. Tutto è straordinario in questo film, persino il successo epocale, l’incasso fuori dal comune, lo status di pellicola di culto che ha portato restauri e nuova circolazione cinematografica. Un film che non invecchia, perché costruito su comicità naturale, mimica, clownesca, persinoslapstick, basato sulle doti comiche inimitabili di due grandi del nostro cinema. Leonardo da Vinci che inventa il treno seguendo le istruzioni dei dueingegnerie che afferma di aver capito la ripartizione delle percentuali sui diritti d’autore è la degna conclusione di un film fantastico e surreale. Le vie del Signoresono finiteè un film più maturo rispetto ai precedenti, basato su una sceneggiatura ben strutturata, non affidata alle sole doti teatrali di Troisi, ambientato nell’Italia fascista, nel paese immaginario di Acquasalubre (girato in gran parte a Lucera, alcune scene a Salsomaggiore, Roma e le campagne pugliesi) e a Parigi (parte finale). Camillo (Troisi) è un barbiere sofferente di una malattia psicosomatica che lo rende infermo, contratta perché la fidanzata Vittoria (Champa) l’ha lasciato, ed è in cura da uno psicanalista allievo di Freud.Il fratello Leone (Messeri), un bambino troppo cresciuto che colleziona soldatini di carta e legge ilCorriere dei Piccoli, si cura di lui ed è molto geloso. Camillo diventa amico di Orlando (Bonetti), finito in carrozzella per un incidente reale, ma a un certo punto guarisce miracolosamente perché la sua ragazza lascia il fidanzato e torna da lui. Camillo finisce in galera per aver detto una barzelletta su Mussolini (“Per far arrivare i treni in orario bastava che lo facessero capo stazione!”), mentre Orlando si innamora di Vittoria, ma lei lo considera solo un amico e lo lascia per rientrare a Parigi.Finale tutto francese con la coppia Troisi-Champa che si ricompone in un abbraccio d’amore. Le vie del Signore sono finitevive sulle gag di Troisi, importante Marco Messeri fratello schizzato e maniacale, interessante la piccola parte da padre recitata da Cannavale, meno incisivi Bonetti e Champa (bella ma non molto espressiva). Meritato il Nastro d’Argento per la miglior sceneggiatura, insolitamente complessa in un film diretto da Troisi, di solito basato su trovate estemporanee, dialoghi verbosi e surreali. Colonna sonora eccellente di Pino Daniele, che canta la canzone finale, motivo portante di musiche intense e suggestive, dal sapore partenopeo. Fotografia luminosa con ampi spazi della campagna pugliese, tra olivi e terra riarsa. Ottima ambientazione in periodo fascista con le locomotive a vapore, i locali d’epoca e gli arredamenti ricostruiti in maniera certosina. Una commedia sentimentale dai precisi riferimenti storici alle violenze fasciste e con puntuali rimandi a situazioni ricorrenti del ventennio più scellerato della recente storia italiana. Pensavo fosse amore… invece era un calesseè un film d’impostazione teatrale che ricorda le origini dell’attore napoletano. Costruito con cura intorno alla forte personalità di Troisi, davvero improponibile senza la sua presenza magnetica. Il film è quasi una scusa per sfoggiare il campionario mimico e le gag malinconiche di un attore straordinario. La sceneggiatura (curata da Anna Pavignano, compagna del regista e autrice di un libro eccellente sulla sua vita) è soffusa di filosofia partenopea, arricchita con gag ironiche e struggenti, a tratti beffarde, prelevate dalla vita quotidiana. Soltanto Troisi, Benigni, Nuti e prima di loro Totò, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, hanno saputo fare operazioni simili, estraendo la comicità da loro stessi, da volti deformati in smorfie surreali finalizzate alla costruzione di una storia. Massimo Troisi è Tommaso, un uomo debole in balia di un amore contrastato. Francesca Neri è Cecilia, una donna gelosa, indecisa tra il suo uomo, la libertà e un nuovo amore (Messeri). Angelo Orlando è uno scrittore imbranato e bigotto che s’innamora perdutamente della donna di un amico. La storia è molto semplice, quasi inesistente, costruita su dialoghi e monologhi, con Messeri e Orlando ottime spalle di un Troisi in gran forma. Il regista e la sceneggiatrice vogliono dire che uomo e donna sono due mondi incomunicabili, difficilmente compatibili, inadatti a vivere insieme. Prima è Cecilia a dubitare della buona idea di sposarsi, ma alla fine è Tommaso che la lascia sola in chiesa con il vestito bianco e il bouquet, mandando a monte il matrimonio. Esemplare la frase finale di Troisi, quando i due si ritrovano al bar da buoni amici:“Io, guarda, non è che son contrario al matrimonio, che non son venuto… Solo, non lo so…Io credo che, in particolare, un uomo e una donna siano le persone meno adatte a sposarsi tra di loro. Troppo diversi, capisci?”. La filosofia è che ci si sposa quando ci si dovrebbe lasciare, si fanno i figli quando siamo in crisi, infine ci si sopporta perché tanto siamo vecchi. Considerazioni amare, certo, ma spesso vere. Massimo Troisi interpreta il suo ruolo tipico da uomo immaturo e debole, insicuro, in preda a tormenti amorosi, imbranato con le donne. La mimica del protagonista è fantastica, i testi sono divertenti, colte le citazioni dal vecchio cinema americano in bianco e nero, struggente la musica napoletana tradizionale.Francesca Neri interpreta con bravura il ruolo di donna nevrotica, insicura, gelosa, persino traditrice. Perfetta nelle sequenze erotiche, molto caste, che lasciano solo intuire. Stupendi primi piani dell’attrice fotografata in tutta la sua bellezza mentre indossa abiti sexy e minigonne.Marco Messeri è bravo, variabile esterna che mette in crisi il matrimonio, in fondo soltanto un buffone, che alla fine viene emarginato. Ottima la musica partenopea di Pino Daniele (Dimmi quando…fu un successo), che accompagna le poche vere sequenze cinematografiche della pellicola, tutta la parte finale che vede Francesca Neri vagare per le strade di Napoli con il suo vestito bianco da sposa mancata. Tra teatro e cinema, ma resta un grande film. Da rivedere. Il postinoè l’ultimo film interpretato da Massimo Troisi e al tempo stesso il lancio internazionale di Maria Grazia Cucinotta, che aveva debuttato conViaggio d’amore(1990) di Ottavio Alessi. Un film tratto dal romanzo del cileno Antonio Skármeta, intitolatoArdiente paciencia, uscito in Italia comeIl postino di Neruda, ispirato al periodo di esilio che il poeta trascorse in Italia. Il film è girato nella splendida cornice dell’isola di Procida, perfetta per conservare una scenografia anni cinquanta, tra pescatori, osterie sul mare, scogliere e spiagge deserte. Nella realtà Neruda fu ospite a Capri e Ischia, ma regista e sceneggiatori hanno preferito ambientare la narrazione nell’isola più selvaggia dell’Arcipelago Campano. Alcune sequenze insulari di ambienti marini e brulle colline bruciate dal sole, tra fichi d’india e agave spinosa, vengono girate anche a Pantelleria e a Salina. Stupenda la musica, che vince l’Oscar come miglior colonna sonora, ma il film si aggiudica diversenominatione ottiene grandi incassi, sia in Italia sia negli Stati Uniti. Massimo Troisi interpreta il ruolo del postino innamorato, amico di Neruda, che usa i versi del poeta per conquistare la sua bella e alla fine si convince della bontà delle idee comuniste.La storia ha un andamento lento e poetico, la sceneggiatrice Anna Pavignano (con la collaborazione di Furio e Giacomo Scarpelli) dosa versi di Neruda tra i dialoghi e le parole del film senza strafare ma con notevole bravura.Fotografia magistrale di Franco Di Giacomo che immortala calette rocciose, spiagge deserte, salite in bicicletta del postino fino alla casa di Neruda e scogliere a strapiombo sul mare.