QUEL COPIONE DI COLLODI (PINOCCHIO NON FU IL PRIMO NASO)

QUEL COPIONE DI COLLODI (PINOCCHIO NON FU IL PRIMO NASO)

Mi dichiaro subito sconfinato estimatore di Pinocchio e di Carlo Lorenzini, raccoglitore incessante di vecchie edizioni e qualsiasi oggetto che riguardi il Burattino, innamorato di ogni nodo di quello strepitosotronco d’alberochedefinireromanzo è inadeguato e fiaba offensivo, fiero di essere fiorentino come colui che volle chiamarsi Collodi e come quel pezzo di legnomortoche volle vivere.Sì, sconfinato, raccoglitore, innamorato, fiero. Ma non cieco.Ed è proprio l’amore che mi dà il permesso di indagare, quasi amante geloso, sui tradimenti, se vi furono, del suscitatore di tanto sentimento. In poche parole: Collodi inventò Pinocchio di sana pianta o rubò qualche mela da alberi altrui? Basta allungare la mano per coglierne alcune, di quelle mele. E io sono qui per farlo. Il primo tradimento, diciamo il melone,sta proprio in quel nome, Collodi, che per un fiorentino è come dire Pisaaun livornese o Livornoaun pisano. L’antico borgo di Collodi con in primo piano la facciata della Villa Garzoni Perché Carlo Lorenzini nacque a Firenze, in Via Taddea, nel popolare quartiere di San Lorenzo, dentro le mura non ancora abbattute dalla follia di una malposta smania di Capitale(Firenze fu capitale d’Italia dal 1865 al 1871 – NdR). La sua casa natale è ancora lì,provvistadi targacommemorativaappostavinel 1941, quando a Pinocchio si faceva fare ilsaluto romano. Pinocchio Balilla, segnalibro del ventennio fascista Quella che per lui era una “bambinata”utile solo a intascare qualche lira,Carlo Lorenzini la scrisse a Firenze, e in parte anche a Castello,nel territorio comunale. E,non contento di esserci nato,a Firenze cimorìpure, in Via Rondinelli,pieno centro,dove il fratello Paolo distrusse ogni suoscrittolasciandoci dubbi e misteri su cui fantasticare. La modesta casa natale di Carlo Lorenzini in Via Taddea a Firenze negli anni quaranta, quando saremmo stati ancora in tempo a dare a Pinocchio e Lorenzini la giusta collocazione geografica, spostatasi “magicamente” a Collodi nel dopoguerra Perché quello pseudonimo? Perché Collodi? Lo sanno tutti: è il nome del paese di sua madre, dove bambino passò solo pochi mesi. Avrebbe potuto voler chiamarsi Cortona, comeil luogo d’originedel padre (o presunto tale,vistele chiacchiere su una suavociferatanobile paternità, lavorando la madre,descritta come unagran bella donna,a servizio daibuongustaiMarchesiGinori nella scenografica collodiana Villa Garzoni), o meglio ancoraavrebbe potutoaffibbiarsi l’appellativo di Firenze, come la città sua vera. Invece no:Collodi. Perché la mamma è sempre la mamma. E lui, che non si sposò mai, ebbe come unico riferimento femminile la figura materna. C’è chi mormora che fosse omosessuale, ma a me questo interessa poco, anzi nulla. A me brucia che quella scelta abbia spostato il baricentro della sua opera dalla sede naturale a un luogo che non c’entra affatto. E così questa località baciata dalla casuale fortuna di uno pseudonimo è diventata la patria di Pinocchio, la sede di una potente Fondazione, il suolo di un Parco, il business di ogni suo abitante. Nel Parco di Collodi il monumento a Pinocchio, opera di Emilio Greco E i fiorentini? Bischeri, come sempre. Abituati a esiliare i loro migliori rappresentanti, non hanno esitato a far fuori anche Pinocchio. Ma che vuoi che sia? Abbiamo la Cupola del Brunelleschi, gli Uffizi, il David, Palazzo Vecchio, il Ponte anche lui Vecchio, Pitti, Boboli, Botticelli, Leonardo, Giotto, Michelangelo, Dante, Lorenzo il Magnifico… Che ce ne facciamo di un burattino? E così l’abbiamo regalato a Collodi, frazione di Pescia. Ma vai a chiedere nel mondo chi è Pinocchio: lo conoscono tutti, lo amano tutti, è il nostro più grande ambasciatore. Sì, l’ambasciatore di Collodi, frazione di Pescia, provincia di Pistoia.Perché molti credono che sia nato là il Burattino, e pure il suo autore, o in via subordinata che in fondo Pinocchio non sia che un figlio di Walt Disney e vesta come un tirolese.Ma in fin dei conti Walt Disney, pur stravolgendo terribilmente il senso collodiano della lignea creatura, ha dato un vero colpo di popolarità mondiale al personaggio, mentre Collodi, frazione di Pescia,provincia di Pistoia, Toscana,non fa che rinchiuderlo in una dimensione strapaesana da barroccinopienodi souvenirfattiormai di pura plastica. E tutto per la scelta di un nomignolo. Il fortunatissimo Pinocchio disneyano con il Grillo Parlante, ribattezzato Jiminy Cricket Carlo certo non poteva immaginarlo, e morì prima di sapere che il successo della sua creatura avrebbe travolto ogni ostacolo, sarebbe tracimato oltre ogni argine, avrebbe invaso pacificamente e allegramente il mondo. Seppe solo di aver creatoun personaggioche piaceva molto ai bambini,al punto di dover continuare a tenerlo in vita anche dopo averlo impiccato,e si perse tutte le interpretazioni più o meno cervellotiche che a quella “bambinata” sarebbero state date, e quanti illustratori, riduttori, rimatori, traduttori in lingue e dialetti, quanti saggiatori si sarebbero prodigati nel descrivere ognuno a proprio modo la sua aurea invenzione. E cinema, e TV… Persino la politica. Tutti usano Pinocchio. Tranne i fiorentini. Già, perché Pinocchio l’hanno regalato a Collodi, frazione di Pescia, provincia di Pistoia, Toscana, Italia, mondo. Collodi al centro del mondo.Pessima scelta, Carlo, mi tocca dirtelo. Ma ormai è andata, e tu resti Collodi molto più che Lorenzini. Bisogna accettarlo, e magari darci una mossa per riscattare quel Burattino rapito. Carlo Lorenzini detto Collodi (1828-1890) E questo era il melone, che mi è rimasto devo dire piuttosto indigesto.Meglio darsi alle mele. La domanda delle mele sgraffignateinfatti è lì cheaspetta ancora una risposta. E io sono qui per darla. Quindi non mi addentrerò in disquisizioni filosofiche, dotte o sofisticate sulla figura del Pinocchio e dei suoi comprimari, sulle intenzioni più o meno consapevoli del suo autore, sui significati reconditi e trascendentali, persino massonici, cheCollodiavrebbe dato, volutamente o no, alla storia. Lo hanno già fatto in molti, probabilmente troppi: lo dissi anche al buon Carlo, di fronte alla Cappella Lorenzini alle Porte Sante dove riposa dal 1890, e lui, accigliato, non rispose. Chi tace acconsente. L’autore dell’articolo nel 1996 durante un servizio televisivo sulla Cappella Lorenzini nel Cimitero Monumentale delle Porte Sante a Firenze. In un gioco di specchi l’immagine del conduttore è riflessa sul vetro della porta, mentre il busto marmoreo di Lorenzini in realtà gli è davanti, oltre il vetro. Da anni una tenda costantemente chiusa rende invisibile l’interno della Cappella Quello che voglio fare èfrugare nella mia disperata collezione alla ricerca di qualche marachella d’autore (disperata perché una collezione di Pinocchio non potrà mai esserefelice,non potendoavvicinarsinemmenolontanamente alla completezza), e trovare le ragioni per giustificare il titolo di questomio irriverente pastrocchio, che fa rima con Pinocchio. Tanto perscaldarmi un po’inizierò citandoquel tal libro francese da poco riscoperto, “La poupée parlante”, che ha destato molto scalpore nel 2015 con quella illustrazione in cui sembra di vedere una specie digiovaneGeppetto intagliatore del legno perplesso di fronte alla sua creatura seduta sul banco da lavoro, che lo guarda come fosse viva. François Janet, “La poupée parlante”, 1862 Non somiglia a Pinocchio, è decisamente di sesso femminile, ma l’attinenza è forte. Libro rarissimo in originale (si dice che ne esistano solo quattro copie superstiti), scritto da un certo François Janet di cui si sa poco o nulla, e di scarso successo alla sua uscita, è stato ristampato in Italia col titolo “La bambola parlante” e lanciato come precursore di Pinocchio. E può essere, ma certo che può essere: fu edito nel 1862, quasi 20 anni prima che uscisse sul “Giornale per i bambini” la prima puntata della “Storia di un burattino”(ce l’ho!). 7 luglio 1881: esordisce sul “Giornale per i bambini” “La storia di un burattino”, prima edizione assoluta (il libro uscirà nel 1883) E non dimentichiamo che Lorenzini con la Francia ebbesicuramentea che fare: fu anche traduttore delle favole diPerrault. Quindi nulla ci impedisce di pensare che, rimasto impressionato da quella idea, quando si trovò nel bisogno di inventarsi alla sveltala già detta“bambinata” abbia sostituito la sconosciuta bambola di Janet con una marionetta che definì burattino. Tanto non se ne sarebbe accorto nessuno. Sottovalutava le potenzialità planetarie del suo lavoro, che gli avrebbero scatenato addosso torme di investigatori carogne come me. Ma carogne per amore. Geppetto al banco di lavoro di fronte alla sua creatura, che dimostra subito molta vivacità: gli ruba la parrucca. Carlo Chiostri, 1901 E siamo alla prima mela.Mangiata. Ne cogliamo un’altra? Certo, però bisogna andare molto indietro nel tempo, addirittura avanti Cristo. Esopo infatti visse dal 620 al564 avanti Cristo, la cui storiapure,manco a dirlo, è stata paragonata all’epopea pinocchiesca, con Giuseppe-GeppettoeMaria-Fata Turchina, starringPinocchio as Jesus Christ (superstar). Ma ho promesso di non lasciarmi andare a esegesi già ampiamente trattate, quindi torno a Esopo. Una rara edizione inglese delle “Favole di Esopo” con le illustrazioni di Harry Rountree, 1920 ca. Da Esopo le favole, fulminanti esempi di saggezza e morale, si proiettarono su altri celebri favolisti, da Fedro ai Fratelli Grimm, da Perrault a La Fontaine. Infatti in molti degli autori post esopici si ritrovano gli stessi temi. Se li rimpallavano senza paura di apparire dei ladruncoli di idee. E in effetti ci fu gloria per tutti. Uno di questi temi, guarda un po’, è quello de “Il gatto e la volpe”, che si rilegge, per esempio, in La Fontaine e nei Fratelli Grimm. Poi Collodi, venuto dopo di tutti, ne fece personaggi essenziali per il suo capolavoro, riscattandoli dal ruolo sbrigativamente favolisticonel qualeerano stati impiegati fino allora. Esopo. L’inizio della favola “Il Gatto e la Volpe” in edizione inglese, illustrazione di Harry Rountree, 1920 ca. Esopo. La Volpe spocchiosa si dispiace per il Gatto, ma lui intanto sale sull’albero. Harry Rountree, 1920 ca. Esopo. La Volpe, che si vantava di saper fare mille cose, soccombe ai cani, mentre il Gatto, che ne sa fare solo una, si arrampica sull’albero e si salva. Harry Rountree, 1920 ca. Il Gatto e la Volpe di Collodi somiglianomoltoai loro precursori: la Volpe si sente superiore e il Gatto ne è succube, ma nella favola il gatto, con la sola abilità di saper salire su un albero, si salva dai cani dei cacciatori, mentre la Volpe, con tutte le suemillantatedoti, ne resta vittima. Sia come sia, il Gatto e la Volpe erano già nell’aria da secoli quando incontrarono Pinocchio.Se ne occupò anche Gustave Doré, illustrando La Fontaine. Gustave Doré. Illustrazione ottocentesca della favola “Il Gatto e la Volpe” di La Fontaine Gustave Doré. Illustrazione ottocentesca della favola “Il Gatto e la Volpe” di La Fontaine Seconda mela fatta fuori. Ora sono pronto a passare alla mela principale, quella in cima all’albero, la più difficile da raggiungere.Non voglio farla troppo lunga, anche se la lunghezza è il tema principale di questamiapiccolacarognata. Ma non sperate in lunghezze nascoste e pruriginose. Anche se l’allungarsi del naso di Pinocchio è stato spesso usato come metafora sessuale, è al solo organo olfattivo che mi riferisco. Perché al netto di Geppetti, Maestri Ciliegia, Grilli Parlanti, Gatti, Volpi, Fate Turchine, Mangiafochi, Lucignoli, Omini di Burro, Pesci-Cani e mille altri personaggi di contorno, c’è una cosa e una cosa sola che ha reso Pinocchio unico e celebre: il naso. Senza di esso e il suo allungarsi scommetto tutta la mia collezione burattinesca che Pinocchio sarebbe rimasto un semplice racconto tra i tanti. Ma la trovata del naso che si allunga a causa delle bugie, benché a pensarci bene piuttosto limitata nell’ambito dell’intera storia, è proprio quella vincente. L’asso pigliatutto. La grande invenzione di Collodi.Ma… siamo sicuri che sia sua, l’invenzione del naso?Certo, dirannosubitoi miei piccoli lettori…Macchépiccoli!Pinocchio mica è per bambini. I bambini credono che sia per loro, ma non glielo dite che Pinocchio è per adulti. Lasciateglielo credere, poi in seguito capiranno. Un Pinocchio non proprio per bambini Certo che no.Rispondo alla domanda di poc’anzi. Il naso lungo è nato prima di Pinocchio, e nonpensate che siaquello del “Cyrano de Bergerac”, lavoro che Rostand pubblicò nel 1897, sedici anni dopo la famosa prima puntata collodiana già menzionata. Ma prima, prima…Prima ci fuEdward Lear. Edward Lear, pittore e illustratore inglese (1812-1888) Questo signore inglese, nato nel 1812, fu contemporaneo di Carlo Lorenzini. Morì con due anni di anticipo su di lui, ma più vecchio, nel 1888 a Sanremo, dove si era stabilito dopo ampi viaggi nell’amata Italia, lodevolmente ritratta dalle sue matite e i suoi pennelli. Chissà che i due non si siano persino conosciutidi persona: Lear soggiornò infatti anche a Firenze. Edward Lear, “Panorama di Firenze”, 1862 Fatto sta cheEdwardLear, scrittore e illustratore di cose serie ma anche facete, dette alle stampe il suo lavoro più conosciuto nel 1846, trentacinque anni prima di Pinocchio: “TheBook of Nonsense”,caposaldo delle sciocchezze intelligenti che in seguito il non troppo originale e parecchio sopravvalutato Gianni Rodari avrebbe fattopropriecontando anche sulla scarsissima conoscenza in Italia degli originali inglesi. Insomma, il geniale Edward Lear elargì idee a piene mani. E a pieni nasi. Torniamo quindi al naso.E torniamo anche al mio, che certo non si limita ad annusare materiale pinocchiesco, ci mancherebbe: anche se ho poco spazio in casa io spazio molto, e non mi faccio mancare le antiche edizioni dei sublimi limeriks di Lear. Gran bei libri, di formato orizzontale, con la copertinaspessissima lavorata a rilievo e i titoli impressi in oro.Ne vidi uno in una mostra degli anni settanta a Palazzo Strozzi di Firenze, e mi dissi che dovevo averlo. Non quello, chepurtroppoera impossibile da rubare, ma qualche altra copia da raccattare magari in Inghilterra. E così feci, e ora vanto unaraccoltadi vari volumi d’epoca di Edward Lear, tutti assolutamente godibili, chéè un piacere aprirli. Edward Lear, “The Book of Nonsense” Edward Lear, “More Nonsense” Ma il naso? Ah già: il naso. Credo che meglio delle mie parole possano parlare le immagini. Ecco quindi una serie di nasi leariani tratti da “The book of Nonsense” (1846) e “More Nonsense” (1862).Pinocchio, ricordiamolo, è del 1881.Buon naso a tutti. Edward Lear, naso modellabile Edward Lear, signora regginaso Edward Lear, naso a spolverino Edward Lear, naso a tromba Edward Lear, naso a spada Quanti nasi, eh? E quanto lunghi… Ma il naso più collodiano e pinocchiesco, signore e signori,eccolo qua. Vi ricorda niente?