POE VISTO DA CREPAX, BATTAGLIA, BRECCIA, MIGNOLA E…

È difficile trovare un autore che abbia influenzato la moderna cultura popolare più di Edgar Allan Poe (1809-1849). Le opere dello scrittore di Boston, tra poesie, racconti brevi e romanzi sono tra i libri più venduti al mondo. La sua narrativa abbraccia più generi, tra cui horror, avventura, fantascienza e poliziesco, un genere che è stato inventato da lui.
I suoi lavori hanno una peculiarità: pur essendo generalmente considerate far parte del movimento del romanticismo oscuro, spesso includono elementi tratti dalla filosofia positivista, come l’esaltazione della scienza e del ragionamento razionale.
Opere che hanno ispirato oltre ottanta film in tredici paesi, innumerevoli adattamenti radiofonici, televisivi e teatrali. E ci sono state migliaia di edizioni illustrate dei suoi scritti pubblicati in più di trenta paesi.
Nel campo dei fumetti, i racconti di Poe sono stati adattati centinaia di volte, più di quelli di qualsiasi altro scrittore americano.
La famosa serie di albi americani Classics Illustrated, da sola, ha pubblicato oltre 60 adattamenti, le riviste di fumetti per adulti della Warren (la casa editrice di Zio Tibia e Vampirella) circa 25 e il resto è stato pubblicato in numerose altre riviste horror o di genere vario negli Stati Uniti, in Italia, Brasile, Francia, Argentina eccetera.
Tra questi numerosi adattamenti come selezionare i più riusciti? Quelli che possono sostenere il soverchiante paragone con il racconto originale? In soldoni: come si valuta un adattamento dalla letteratura al fumetto?
La qualità dell’adattamento non dipende certo dalla maggiore o minore fedeltà al testo originale. Il fumetto è un mezzo di espressione artistica autonomo dotato di propri mezzi e di un proprio vocabolario. La cosa più importante è che il fumetto riesca a suscitare nel pubblico, utilizzando le risorse che gli sono proprie, le emozioni suscitate dall’originale. Su questa base abbiamo scelto i migliori dieci adattamenti per fumetto dei racconti di Poe.
La botte di Amontillado di Archie Goodwin e Reed Crandall
La Warren Publishing era il piccolo impero personale dell’editore James Warren. Creepy è stata la sua prima rivista interamente di fumetti horror. Liberato dalle costrizioni del Comics Code, la censura degli albi a fumetti operante dal 1955, con le riviste in bianco e nero l’editor Archie Goodwin riuscì a reclutare alcuni degli storici artisti della Ec Comics, tra i quali Reed Crandall.
Su Creepy sono apparsi diversi adattamenti a fumetti di racconti di Edgar Allan Poe, il primo dei quali è “La botte di amontillado” disegnato da Reed Crandall, una storia in otto pagine che apparve sul n. 6 nel dicembre 1964.
Come spesso succede nei racconti di Poe il vero protagonista è l’ambientazione, che simboleggia e riassume le emozioni interiori dei personaggi. Qui ci troviamo in un fosco sotterraneo che negli anni è stato utilizzato sia come cappella mortuaria di famiglia sia come cantina per conservare vini di pregio. La discesa nel buio labirintico del sottosuolo è una discesa negli inferi dell’anima dove emerge l’orrore del delirio e della morte. Qui ha luogo, infatti, un’insana vendetta dalle motivazioni assai nebulose se non del tutto assenti.
Reed Crandall prende a modello le fattezze dell’attore Peter Lorre per il personaggio di Fortunato (la vittima), quelle dell’attrice Joyce Jameson per sua moglie e quelle di Basil Rathbone, attore famoso negli anni quaranta per una serie di interpretazioni del personaggio di Sherlock Holmes, per Montresor (il carnefice).
Questo racconto rappresenta uno dei vertici stilistici più alti raggiunti dal grande autore americano. Consapevole che il sotterraneo è il vero protagonista della storia Crandall lo disegna dando libero sfogo alla sua tecnica di illustratore attentissimo al dettaglio.
Disegna ogni singolo mattone, le ossa degli scheletri, le ragnatele, le assi di legno delle botti di vino e ogni singolo pelo che ricopre i tre ratti striscianti che scorrazzano in cerca di cibo. In questo modo riesce a catturare subito lo spirito del racconto, creando una pietra di paragone per gli amanti del genere.
I delitti della via Morgue di Guido Crepax
“I delitti della via Morgue” è considerato il primo racconto giallo della storia della letteratura dove compare un personaggio nuovo di zecca: l’investigatore. Si tratta dell’ispettore Auguste Dupin, uomo dotato di un intuito straordinario. La sua prodigiosa capacità di ragionamento segna l’inizio del giallo deduttivo, che, passando per Sherlock Holmes, per circa un secolo sarà il genere poliziesco di maggior successo.
Il giallo deduttivo nasce all’interno della cultura positivista fiduciosa che il crimine potesse essere debellato dal progresso e dal ragionamento logico.
Due donne vengono barbaramente e inspiegabilmente uccise nella loro casa al quarto piano della Rue Morgue. La polizia brancola nel buio, il terrore inizia a diffondersi per Parigi. Non ci sono spiegazioni logiche su come l’assassino o gli assassini siano potuti fuggire dopo il delitto, non esiste un movente chiaro.
La versione di Guido Crepax consiste in un racconto di sette pagine pubblicato nel 1967 su Linus. La struttura sembra seguire l’impostazione positivista dello scrittore di Boston. Le pagine sono suddivise in numerose vignette, addirittura 20 nell’ultima. Il tratto è pulito, chiaro, senza indugi. Le inquadrature sono ricche di particolari ripresi da distanza ravvicinata.
Tutto sembra seguire un percorso definito, razionale e logico. Fino a che non viene inserito l’elemento irrazionale, l’assurdo animale, la scimmia. La sua presenza all’interno delle vignette finisce per catalizzare l’attenzione controbilanciando l’eccesso di razionalismo delle prime pagine.
La scimmia diventa protagonista, sfugge al suo padrone e si arrampica fino al quarto piano. Nell’ultima pagina l’irrazionalità raggiunge il suo culmine, degenerando in una sarabanda splatter che pone fine alla vita delle due donne.
La caduta della casa degli Usher di Dino Battaglia
Dino Battaglia ha adattato numerosi racconti di Poe. Tra i due c’era una certa affinità elettiva, una certa comunanza di spirito. Lo stile dell’autore veneziano poi, con i suoi grigi ambigui e irrisolti, sembrava fatto apposta per evocare le atmosfere paranoiche e angosciose di Poe.
Qualcuno afferma che siano suoi gli adattamenti più riusciti dei racconti dello scrittore di Boston. “Il crollo della casa degli Usher”, un racconto di 9 pagine pubblicato su Linus nel 1969, presenta evidenti tratti gotici: un castello in rovina, un proprietario eccentrico e macabro, una fine spiacevole per i personaggi.
Nella prima pagina troviamo un’inquietante vignetta in verticale che raffigura un muro con una crepa al centro. Un segno di benvenuto che ci fa subito capire che c’è qualcosa che non va. Tutte le vignette più importanti della storia presentano un andamento verticale: quella dove i due personaggi scendono nei sotterranei con la bara di Lady Usher, quella che ci mostra il cadavere di Lady Usher tornare dall’aldilà e infine quella che nell’ultima pagina ci mostra la crepa della casa allargarsi a dismisura rivelando sullo sfondo un’indifferente luna piena.
Il senso verticale, che per Kandinsky porta con sé un significato spirituale, è utilizzato da Battaglia per alludere a una dimensione ultraterrena dove accadono eventi apparentemente incomprensibili. Fin dall’inizio appare evidente che questa è una storia priva di storia.
Il fumetto stabilisce una stretta e inquietante connessione tra l’ambiente naturale, la vecchia dimora e i suoi lugubri abitanti. Questa dimensione alterata e disturbante è la vera protagonista del racconto che è racchiuso tra la morte e la resurrezione di Lady Usher.
Dino Battaglia affrontava la pagina bianca con un nutrito armamentario: tre pennini taglienti, un paio di ceselli dalla punta forgiata in varie forme, spugnetta, inchiostro di china, tazzina per l’inchiostro diluito con acqua, pezzetti di lino e batuffoli di cotone per le sfumature, una o due lamette da barba, uno spruzzino e le silhouette. Questo bagaglio era indispensabile per creare bianchi accecanti, grigi bituminosi e neri graffiati e nebbiosi che, lungi dallo sconfinare nella illustrazione, gli permettevano di realizzare, splendidi, unici ed originalissimi fumetti.
Il gatto nero di Bernie Wrightson
“Il gatto nero” di Edgar Allan Poe è un classico della letteratura americana. Questo racconto è spesso la prima introduzione alla scrittura di Poe e al gotico in generale per molti studenti delle scuole superiori. Nonostante sia una storia breve, richiede molta concentrazione e profondità di pensiero per arrivare a capirne il significato.
Bernie Wrightson, una leggenda dell’orrore a fumetti, raggiunge proprio in questo racconto, uscito nel maggio 1974 sul n. 62 di Creepy, uno dei suoi vertici.
Rispetto al suo lavoro su Swamp Thing, dove dominava l’utilizzo del pennello, qui l’artista utilizza perlopiù il pennino, che gli permette una maggiore cura nei dettagli e un insolita pulizia del tratto. Queste pagine contengono almeno due vignette iconiche, realizzate in un bianco e nero dalla potenza sfolgorante, diventate negli anni oggetto di culto per tutti gli appassionati del genere.
La prima è la quarta vignetta di pagina tre che ci mostra il protagonista mentre cava un occhio al gatto. Nonostante venga mostrata una scena disturbante l’effetto generale sul lettore è quello di una bellezza estrema, dove il gioco delle ombre e delle luci diventa una danza ipnotica capace di trasportarti in un mondo onirico.
La seconda è la prima vignetta di pagina nove, dove ci viene mostrata una scena ancora più efferata: il protagonista taglia in due la testa della moglie con un’ascia. Eppure l’effetto finale, determinato dalla perfezione con la quale le mille linee che costituiscono il disegno si intrecciano tra loro, ci dà un senso di profonda esaltazione. Con grande precisione e usando immagini intensissime l’artista riesce a realizzare una storia agghiacciante che sprigiona la stessa atmosfera malsana del racconto di Poe.
Il Corvo di Richard Corben
Richard Corben ha sempre subito il fascino dello scrittore di Boston ed è probabilmente l’autore che ha realizzato il maggior numero di adattamenti a fumetti di suoi racconti. Questo è il primo e probabilmente il migliore.
“Il corvo” venne pubblicato nel dicembre 1974 sul n. 67 di Creepy. Era una cosa molto rara in America che un racconto horror a quei tempi venisse realizzato a colori. Corben utilizzò gli stessi colori acidi e folli dei film di Roger Corman con Vincent Price realizzati nella prima metà degli anni sessanta per la Alta Vista Productions.
Il disegno di Corben è qui particolarmente plastico e tridimensionale. Erano i primi tempi in cui aveva iniziato a utilizzare modelli dal vivo per aiutarsi con le matite. In questo caso furono Herb Arnold, artista, assistente e buon amico di Corben e sua moglie a interpretare i lugubri personaggi di Poe.
Il corvo è una poesia scritta da Poe nel 1845, famosa per la sua musicalità e l’atmosfera sovrannaturale che la caratterizza. Narra la cupa vicenda di un uomo in pena per la sua amata morta, che, mentre medita su un grande libro di magia, a mezzanotte “con grande strepitio d’ali” riceve la visita di un corvo che a ogni domanda del protagonista non farà altro che ripetere monotonamente la parola nevermore (mai più).
Il componimento è pieno di elementi tipici della tradizione letteraria gotica: dalla scura notte temporalesca alla presenza di un animale con caratteristiche demoniache, all’antico libro sapienzale consultato dal protagonista forse nel tentativo di riportare in vita l’amata defunta.
Corben dà vita a un adattamento praticamente perfetto, rispettoso della poesia e allo stesso tempo profondamente originale. Chi altri avrebbe osato l’effetto geniale della luce che si proietta dalla finestra illuminata direttamente sulla neve a pagina 4? Rendere così umano il corvo utilizzando soltanto i movimenti della sua testa da una parte e dall’altra? Realizzare una immagine cosi potente come quella di Lenore ripresa dal basso, che se ne sta immobile e silenziosa contro un cielo assurdamente rosso?
La maschera della morte rossa di Budd Lewis ed Esteban Maroto
Tutti i racconti di Poe raccontano qualcosa di eterno e senza tempo e possono essere considerati ancora oggi di estrema attualità. Ce n’è uno che si adatta in modo particolare ai tempi del Covid-19: è “La maschera della morte rossa”.
In questo racconto il principe Prospero assieme a un migliaio, tra amici e cortigiani, si rinchiude nel suo palazzo nel vano tentativo di sfuggire a una misteriosa epidemia. Tra i tanti adattamenti che questa storia ha generato uno dei più interessanti è il fumetto di 17 pagine “Last light of the universe” di Budd Lewis ed Esteban Maroto, pubblicato nell’agosto 1975 sul n. 73 di Creepy.
Il fumetto non si è limitato a ricalcare la storia originale, ma l’ha trasportata in un lontano futuro mescolando i differenti registri dell’horror e della fantascienza, permettendo all’arte dello spagnolo Esteban Maroto di brillare di luce propria.
Nell’oscurità dello spazio una sfera luminosa fluttua come un faro nella notte, al suo interno si trova una magnifica città. Nell’intero universo si è diffusa una misteriosa piaga che ha raggiunto ogni luogo e che sembra poter porre fine ad ogni cosa. Nonostante le disperate richieste di aiuto dall’esterno, le porte di questa città rimangono ermeticamente chiuse per ordine del suo sovrano, disposto a tutto pur di preservare l’ultima roccaforte del genere umano.
Il fumetto per la maggior parte segue alla lettera il canovaccio di Poe, Lewis se ne discosta soltanto quando introduce un personaggio non presente nell’originale, un medico che si rifiuta di rinchiudersi e lasciare che i suoi compagni muoiano finché c’è una possibilità di salvarli.
Ma questo adattamento spicca soprattutto per il lavoro di Esteban Maroto, capace di districarsi con estrema disinvoltura tra entrambi i generi utilizzati, quello della fantascienza e quello dell’horror, dando vita a un prodotto molto originale. Maroto ci regala momenti di autentico incubo con una prima e un’ultima vignetta che rimangono impresse nella memoria per la loro bellezza e l’orrore che trasmettono.
Il cuore rivelatore di Alberto Breccia
Nella storia del fumetto non sono molti gli autori che hanno tentato di allargarne i confini espressivi e narrativi, e ancora meno sono quelli che ci sono riusciti: l’argentino di origine uruguayana Alberto Breccia è sicuramente tra questi. Negli anni si è sempre rinnovato grazie alla sua capacità di muoversi con apparente disinvoltura tra mille stili grafici e narrativi, stili che l’autore sapeva padroneggiare come pochi al mondo, rimanendo comunque ogni volta unico e riconoscibile.
Non fa eccezione questo suo approccio a Poe che Breccia affronta con molto rispetto e attenzione. Gli costò molto tempo per la progettazione. Un tempo in cui non smise mai di chiedersi quale fosse la soluzione migliore per realizzare questa storia di ossessione e delitto.
Finché un giorno a teatro ebbe una visione che lo convinse a eliminare tutta l’ambientazione della storia. Lo scenario sarebbe stato un forte contrasto tra il bianco e il nero. Si sarebbe concentrato unicamente sui personaggi: l’assassino, la vittima e gli uomini della legge.
Scelta quanto mai felice, dato che Breccia alla fine realizza un fumetto di sole 11 pagine che è una vera e propria lectio magistralis di arte fumettistica. Con questa opera Breccia regala ai posteri nuove regole di sintassi, certifica nuove possibilità, inaugura filoni poetici che forniranno linfa vitale a decine di autori.
Apparso in Italia su Alterlinus n.9 del settembre 1975, il fumetto appare a prima vista realizzato in modo ingannevolmente semplice. Le pagine sono interamente basate su di una griglia di 3×3 per un totale di 9 vignette a pagina. I toni presenti sono solo due, il bianco e il nero assoluti. Lo storytelling è basato sulla ripetizione ossessiva di pochi, scarni moduli espressivi.
Le variazioni all’interno delle singole vignette sono minimi, spesso attuate mediante un uso evocativo dello zoom. Non si esce da questa struttura oppressiva, da questa gabbia formale che sembra imprigionare e invece libera esaltando l’ossessività e la schizofrenia del racconto originale. In questo universo minimale i volti della vittima, del carnefice e dei poliziotti sono trasformati in suggestive maschere da teatro greco.
Breccia riesce a distillare tutta l’essenza paranoica del testo di Poe e a restituircela sotto forma di un ritmo che pulsa sull’onda dell’immaginaria pulsazione del cuore dell’anziano ucciso. Si tratta senza alcun dubbio di una tra le trasposizioni di Poe più riuscite, che si presenta come un opera dal carattere profondamente fumettistico capace di rendere in maniera magistrale l’essenza del grande capolavoro dell’autore di Boston.
Il verme conquistatore di Mike Mignola
Più che un adattamento, “Il verme conquistatore” è un fumetto in quattro parti del 2001 che, senza ricalcarne le vicende, si ispira nel mood alla omonima poesia di Edgar Allan Poe del 1843 incentrata sulla caducità umana.
Alcuni versi della poesia vengono citati nelle pagine iniziali del fumetto mentre una luce bluastra illumina un antico maniero incastonato tra le alpi austriache. La visione di Poe in questa poesia è apocalittica. L’universo è mostrato come immenso teatro in cui si tiene una raccapricciante rappresentazione la cui protagonista assoluta è la morte.
Altrettanto nichilista è la visione di Mike Mignola che in queste pagine spinge all’estremo l’oscuro destino del suo famoso personaggio Hellboy come bestia dell’apocalisse, causa e motivo della fine del mondo. Ma ciò che il verme conquistatore mostra è che ci sono molti modi in cui il mondo può finire, non solo con Hellboy come causa.
L’inevitabilità del finale è evidente dall’uso che Mignola fa della poesia di Edgar Allan Poe all’inizio della storia, imponendo al racconto il suo leit motiv. Quasi l’intera storia si svolge all’interno di un castello infestato e bruciato, con ombre nere come la pece che riempiono gli sfondi e le rughe dei volti. Mignola conserva qui ancora un livello di dettaglio abbastanza elevato, in grado di bilanciare in modo equo quello che ci mostra e quello che ci nasconde.
Il resto sono ombre striscianti, le quali lasciano che piccoli pezzi di orrore si rivelino al lettore attraverso i colori di Dave Stewart abbinando gli inchiostri neri con i gialli brillanti per l’azione, il blu più pallido per il clima invernale, il bianco brillante e i verdi lontani per l’ambiente e i marroni grigi cupi per gli interni. Colori che esaltano l’impatto emotivo della storia e che si coniugano alla perfezione con la stranezza di queste pagine.
Il pozzo e il pendolo di Steve Pugh
“Il pozzo e il pendolo”, è uno dei racconti più celebri di Edgar Allan Poe. Mette in luce sin dall’inizio la capacità dell’autore di creare un’atmosfera assurda e delirante ma nello stesso tempo assolutamente verosimile.
Il lettore si trova a vivere l’avventura in prima persona, condividendo le sensazioni provate dal personaggio che ci vengono descritte con abbondanza di dettagli e di sfumature. Non mancano gli accostamenti assurdi: la realtà non è afferrabile con esattezza e appare del tutto deformata.
Aleggia su tutto un clima di oppressione e di incubo dove viene messo in mostra un intero repertorio percettivo deformato che ci lascia turbati e affranti.
Steve Pugh è un artista britannico, nato e cresciuto nelle Midlands, collaboratore di lunga data della casa editrice Dc Vertigo (per la quale ha lavorato su Hellblazer e Animal Man). La sua versione dell’opera di Poe appare nel 2007 sull’albo antologico Nevermore, edito dalla Selfmadehero, una piccola casa editrice indipendente specializzata negli adattamenti a fumetti di classici della letteratura.
Lo stile evocativo di Pugh, fortemente pittorico, ben si presta alla costruzione di atmosfere malsane e inquisitorie, soprattutto all’inizio, dove apprendiamo che ci stanno raccontando le vicende di un condannato. Sappiamo in qualche modo che questo individuo ci sta parlando da un tempo successivo a quello che ha vissuto, ma non riusciamo a capire come procederà la vicenda.
Lo stile di Pugh è cupo, i corpi appaiono percorsi da una forte tensione interna, anche se appaiono anatomicamente naturali. Non ci sono particolari giochi di luci e ombre, tutto è avvolto da una tenue luce uniforme che esalta la tridimensionalità della figura umana, dove comunque i neri giocano un ruolo fondamentale.
Annabel Lee di Julian Peters
Una poesia struggente. Un classico intramontabile. L’ultimo poema completo composto da Edgar Allan Poe. Come in molte delle sue opere, Poe esplora il tema della morte di una bella donna.
Il narratore, innamorato di Annabel Lee quando entrambi erano giovani, continua ad amarla anche dopo la sua morte. Julian Peters è un illustratore e disegnatore di Montreal, in Canada, che si è a lungo dedicato all’adattamento a fumetti di poesie classiche.
Uno dei suoi lavori più riusciti si intitola “Poems to see by”, è uscito nel 2020. Contiene la trasposizione in immagini di 24 poesie di autori come Emily Dickinson, Robert Frost, Dylan Thomas, William Wordsworth, Edgar Allan Poe, W. H. Auden, Percy Bysshe Shelley, W. B. Yeats ed Ezra Pound.
Tra le trasposizioni più affascinanti spicca proprio Annabel Lee. La poesia di Poe è interpretata attraverso il linguaggio grafico del fumetto. L’autore utilizza uno stile a metà tra il cartoonesco e il realistico.
L’utilizzo di un segno caratterizzato da fitti segni incrociati ci riporta a certi moduli di derivazione ottocentesca, che per questo motivo ben riescono a rappresentare il periodo storico in cui è ambientata la storia.
Ne escono sei pagine che esprimono momenti di profonda commozione per questo amore “invidiato anche dagli angeli”, resi mediante un linguaggio semplice e immediato che arriva istantaneamente al cuore.
Splendido articolo, molti di questi fumetti non li conoscevo. Complimenti a Gianluca Trogi !
( Notazione puramente personale : il Montresor di Reed Crandall – specialmente quello anziano nella seconda tavola – non mi ricorda molto Rathbone ; mi sembra più un incrocio fra Stewart Granger e Christopher Lee )
Ma che bello questo articolo davvero interessante e prezioso per scoprire e in alcuni casi riscoprire grandi artisti e curiosità
apprezzo la visione delle tavole così grandi sullo schermo, specie per chi, come me, non vede più benissimo, grazie