PIERO FINÀ, IL GOLIARDA CHE VINSE A SANREMO
Piero Finà, figlio di un finanziere sardo, nasce ad Ancona il 23 ottobre 1942, ma crescerà a Piombino, in Toscana nella Maremma. Dopo il liceo classico frequenta la facoltà di lettere e filosofia nell’Università di Pisa. Entra nella locale goliardia, tra una festa e l’altra impara l’uso della chitarra e scopre il suo talento musicale.Assume lo pseudonimo diAstarotte, il nome del demone aveva un significato di anarchia e anticlericalismo. In una sua canzone che parafrasava la Batracomiomachia, la satirica guerra tra i topi e le rane di Giacomo Leopardi, Finà cantava:“Dove c’è preti non c’è libertà”, facendo il parallelo delle rane con gli Stati Uniti e dei topi con l’Unione Sovietica. Quando sono entrato ingoliardiaa Torino, nel 1974-75, Finà è già una vedette nell’ambito goliardico nazionale. È la punta di diamante dell’ordine deiClerici Vagantes, che al contrario delle altre formazioni goliardiche non fa capo a un’università e a una città, ma è costituito da individui di diverse origini, accomunati dalla passione per la musica e lo spettacolo.Siamo negli anni successivi al ’68, quindi cavalcano l’onda delle rivendicazioni culturali e politiche. Quest’ordine esiste tuttora e accoglie la crema dell’espressione goliardica italiana. Piero tenta la scalata alla musica leggera. Come cantautore partecipa al primo premio Tenco, attraverso un accordo con la casa discografica Ri Fi Records pubblica il suo primo LP intitolato“Anghingò“. La sua canzone Amare, cantata daMino Vergnaghi,futuro collaboratore di Zucchero, vince il primo premio come miglior brano al festival di Sanremo del 1979, condotto da Mike Bongiorno e Anna Maria Rizzoli. Purtroppo poco dopo la Ri Fi Records fallisce, e le vendite saranno poche. Piero Finà passa alla Rca, ma riesce soltanto nel 1982 a pubblicare il LP“Indeformabile”. Infine, deluso dalla musica commerciale si ritira e ritorna ai concerti dei Clerici Vagantes, tuttavia il suo spirito critico e caustico lo fa scontrare anche con i goliardi più giovani. Piero Finà è stato unFabrizio De Andrépiù povero e più idealista. Le prime canzoni di De André erano goliardiche, come Carlo Martello ritorna dalla guerra, né si deve tacere la sua partecipazione alle riviste goliardiche dellaBaistrocchi. Queste che seguono sono le canzoni che ho scelto per dare un esempio delle diverse epoche e dell’evoluzione di questo cantautore goliardico. Pero Finà possedeva il mordace spirito dei toscani, a volte eccesssivo e deviante. Nella sua vita artistica possiamo distinguere quattro periodi. 1 – Impegnato e contestatore. 2 – Disperatamente tossico. 3 – Malinconicamente nostalgico. 4 – New Goliardic Age. “NON BASTA DIRE” Il primo periodo segue l’onda delle contestazioni sessantottesche. Questa canzone del primo periodo di Finà è un inno ad una libertà, che in quei tempi sembrava appartenere solo a una certa parte politica e contestataria. Riletta oggi, crollati tutti i miti ideologici, la “libertà” può apparici non più una conquista da rivoluzionari universali, ma l’umile lavoro di ogni giorno di esistenza, alle prese con l’infinita stupidità del mondo, evitando di diventare parte della generale idiozia, e anzi riuscendo goliardicamente a trovare il buono e il divertente nel tutto. Non basta dire “Io son libero” Ma dare agli altri libertà Non basta dire “Io so vivere” Devi spiegarlo a chi non sa. Ho visto la tua mente cercar la verità Nelle torri d’avorio sola sempre di più Si dibatteva stanca senza respiro ormai Sono fredde prigioni le tue capacità. Non basta dire… Ho visto gli occhi tuoi piangere verso il cielo Ed invocare aiuto credendo che verrà Rivolgi gli occhi in terra ci siamo noi quaggiù Sono le nostre mani la fede e la pietà. Non basta dire… A te giovane parlo, che soffri come noi Le costrizioni assurde di questa umanità Spezza le tradizioni idolo d’una vita Gettarsi in questa lotta vuol dire libertà. Non basta dire… “I DOTTORI” La ribellione politica svanisce e le ideologie si spengono. Negli edonistici anni ottanta agli ex riformatori del mondo non resta che il paradiso artificiale. Questa sconfortante canzone è scritta a otto mani: Marletta, Graziani, Todeschini, Finà. Uhmmm… Male, molto male per coloro che si definiscono goliardi! I dottori m’hanno detto che mi salverò Se non rollo più le canne e vino non berrò Se non litigo a mia moglie cocaina e champagne C’è probabilità che mi salvi. Oh,oh, oh, c’è probabilità noi ci stravolgiamo. Sono mesi che le donne non le tocco più Il sapore dell’amore nell’odore e tu Lascio aperto il rubinetto della nostra TV Due a uno che non ci si salva. Oh, oh, oh, c’è probabilità noi ci stravolgiamo. Tutta notte sto pensando se mi salverò Forse sono un vittimista ma malato no Rollo, sniffo, mi stravizio e son contento di me Meglio fatto che testa di cazzo.