L’ETERNO RITORNO DELL’EROE

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Nei fumetti avventurosiil ritorno dell’eroeè una costante inevitabile, che sia il ritorno finale alla base da cui il protagonista parte ogni volta per vivere le sue molteplici imprese, o il saltuario ritorno ai luoghi e alle persone care della sua infanzia, ovvero del tempo in cui non era ancora diventato l’eroe che è. Oppure il suo ritorno in azione dopo un periodo di assenza più o meno lungo, in cui sembrava scomparso o era stato dato per morto.Si tratta di luoghi comuni ed escamotage narrativi che, prima o poi, ricorrono più o meno in tutte le serie. Il primo eroe della vera e propria avventura a fumetti realistica fuTarzan, l’eroe della foresta tratto dai romanzi di Edgar Rice Burroughs, a cui i fumetti rimasero molto più fedeli rispetto ai film.Almeno quattro diverse versioni disegnate furono tratte dal secondo romanzo, intitolato“Il ritorno di Tarzan”. Sono versioni realizzate a strisce da Rex Maxon nel 1929, in albi da Russ Manning negli anni sessanta, da Joe Kubert negli anni settanta e da Thomas Yeates nei novanta. Il ritorno a cui si riferisce il titolo è quello dell’eroe che, dopo aver vissuto varie vicissitudini in giro per il mondo, si ritrova nella giungla africana della sua infanzia, dove, per quelle tipiche coincidenze forzate senza le quali certi romanzi non potrebbero esistere, incontra nuovamente e salva da pericoli estremi Jane, la donna che ama. La sposerà proprio davanti alla capanna in cui era nato, e infine lascia la giungla per andare a vivere con lei nella terra dei propri avi, l’Inghilterra. Ma l’enorme successo del personaggio costrinse l’autore a dare un seguito a quel finale e ben presto un Tarzan più maturo, ma sempre atletico, ritornò definitivamente a vivere nella sua “giungla” fantasiosa e irreale una lunga serie di avventure, insieme alla moglie e a un figlio altrettanto aitante e coraggioso, Korak. Va detto che, essendo gli eredi d’una nobile famiglia inglese e non mancando loro i mezzi, ritornarono sì nella giungla, ma con i confort di una grande casa in mezzo a una ricca tenuta, non certo in una capanna su un albero come si vede in certi vecchi film. In seguito l’espressione “Il ritorno di…” sarebbe diventata sempre più abituale nei titoli di molte storie, non solo della letteratura d’evasione ma anche negli altri media, naturalmente quando un personaggio aveva avuto successo e ritornava in nuove avventure, ma non solo. Nel cinema italiano si andò dal film “Il ritorno di Don Camillo”, tratto dai racconti di Giovannino Guareschi a “Il ritorno di Ringo”, libera rivisitazione dell’Odissea in chiave western. Questo genere di titoli, per lo più tipici delle produzioni commerciali e di serie B, è stato riscattato nel 1986 dalla innovativa miniserie a fumetti diFrank Miller,The Dark Knight Returns(Il ritorno del Cavaliere Oscuro). In questa storia, a metà tra la produzione seriale e il romanzo a fumetti, assistiamo alle estreme difficoltà, dovute a situazioni disagiate e criminalità sempre più dilagante, in cui si dibatte una Gotham City del futuro, finché un anziano Bruce Wayne, che dieci anni prima aveva appeso al chiodo il costume di Batman per superati limiti di età, decide di rivestire nuovamente i panni del famoso vigilante mascherato, usando ora ancor più che in passato le maniere forti contro i criminali. In un certo senso il capolavoro di Miller può essere visto come un ideale seguito di un episodio di Batman apparso proprio una decina d’anni prima sull’albo n. 300 della serie, in cui lo scrittore Len Wein e il disegnatore Walt Simonson ne raccontavano una ipotetica ultima avventura, con l’eroe ormai anziano che alla fine sembrava deciso ad andarsene in pensione. Là si narrava il ritiro di Batman e qui il suo ritorno, un ritorno in cui comprensibilmente l’eroe, dopo tanto tempo, risulta essere abbastanza cambiato. Ha la determinazione di sempre nel combattere il crimine, ma anche un fisico più massiccio e un bel po’ di scrupoli in meno, tanto da arrivare a uccidere l’arcinemico Joker con le proprie mani in una memorabile scena. È insomma un Batman molto meno garantista e più duro che mai, che si oppone con forza anche a un certo sistema politico corrotto, difeso invece a oltranza da Superman. Così il cosiddetto Cavaliere Oscuro finisce per caratterizzarsi anche come una sorta di idealista anarchico, che cerca di dare nuova vita e speranza a un gruppo di giovani teppisti sbandati divenuti suoi seguaci. Si assiste a un simile ritorno di Batman anche nelfilm di Christopher Nolandal titolo analogo, che però è ispirato per lo più ad altre storie del personaggio, anche se il trucco di farsi credere morto è usato come finale in entrambi i racconti. Del resto un titolo come “Batman Returns” fu usato precedentemente anche dal regista Tim Burton, per un film che non aveva nulla a che fare con la storia di Miller, ma che evidentemente cercava anch’esso di sfruttarne in qualche modo il successo. Tra il 2001 e il 2002 la versione anziana di Batman ritornò nuovamente nella miniserieThe Dark Knight Strikes Again(Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora), sempre scritta e disegnata da Frank Miller e colorata da Lynn Varley, ambientata tre anni dopo la precedente. Qui l’ennesimo ritorno dell’eroe ha lo scopo di compiere una vera e propria rivoluzione contro il governo degli Stati Uniti, dominati segretamente da un decrepitoLex Luthorattraverso un inesistente presidente virtuale, mentre schierati sui due fronti ritornano in azione anche molti altri famosi supereroi, quasi tutti altrettanto invecchiati. Dopo un inizio coinvolgente, in cui ritorna in scena il vecchio eroe miniaturizzato Atom, che era stato imprigionato in un mondo di mostruosi batteri raccolti su un vetrino, e nonostante qualche idea originale e ironica, come il vecchio velocista Flash ricattato e sfruttato dal governo come fonte d’energia gratuita, quello che finisce per apparire un po’ invecchiato e stanco è anche lo stile grafico-narrativo e l’inventiva dell’autore. Miller mette in scena un mondo etereo abitato quasi esclusivamente da superesseri freneticamente in lotta tra loro, come accadeva, in fondo, anche nelle storie più ingenue del passato. C’è una denuncia delle dittature basate sulla manipolazione propagandistica dell’informazione e anche una generica e discutibile condanna della tecnologia informatica (cosa curiosa visto che Batman ne ha sempre fatto largo uso), ma la nuova vita che era stata promessa ai seguaci del Cavaliere Oscuro alla fine della storia precedente, a tre anni di distanza sembra essersi limitata all’arruolamento e addestramento in un esercito personale dotato di costumi kitsch più o meno simili al suo. L’idea stessa dell’eroe rivoluzionario non era poi nuovissima nei fumetti. Anche in varie storie precedenti dello sceneggiatore ingleseAlan Mooreil ritorno di un eroe destabilizzante ha costituito spesso un elemento essenziale. Nel suoV for Vendetta, iniziato nel 1982, assistiamo al ritorno di un misterioso ex-prigioniero di un campo di concentramento. Questi diventa un ibrido tra il Conte di Montecristo e il Fantasma dell’Opera, cela le proprie fattezze deturpate dietro una maschera e si vendica uno a uno dei suoi vecchi aguzzini, ma soprattutto abbatte un sistema politico dittatoriale che ha molti punti in comune con la società in cui viviamo. Anche in un altro lungo ciclo scritto da Moore contemporaneamente a V e dedicato a una versione innovativa del vecchio supereroe ingleseMarvelman(poi ribattezzato Miracleman per contese editoriali), assistiamo all’ennesimo ritorno in scena di un eroe. Qui il giornalista di mezz’età Mike Moran non ricorda di essere mai stato un essere dotato di poteri sovrumani, fino al momento in cui, durante una situazione d’emergenza, pronuncia per caso la parola chiave che innesta l’incredibile trasformazione del suo intero organismo. Il resto della serie è un sempre più approfondito viaggio del personaggio dentro e fuori di sé, alla scoperta delle sue vere origini e dei luoghi fisici, ma più spesso immaginari, in cui aveva vissuto negli anni rimossi della sua gioventù. La stessa saga di Miracleman, scritta da Moore prima e da Neil Gaiman poi, è ritornata a essere pubblicata solo nel 2014, dopo una lunga e combattuta disputa editoriale sui diritti d’autore. Anche il lungo ciclo scritto sempre da Alan Moore dal 1984 sul mostro della paludeSwamp Thinginizia con un ritorno del protagonista, stavolta da uno stato di morte apparente. Ciò comporta di nuovo una stravolgente presa di coscienza del personaggio riguardo la sua vera natura, che gli fa rimettere in discussione tutto ciò che ha sempre creduto di sapere di sé stesso. Tra l’altro il mostro vegetale scopre come, ogni volta che viene distrutto, può ritornare facendosi ricrescere un corpo nuovo. Nel più famoso lavoro di Moore,Watchmen,pubblicato come miniserie tra il 1986 e il 1987, assistiamo al ritorno sulla scena di un gruppo di eroi, che in buona parte erano stati forzati dalle autorità a ritirarsi a vita privata. Anche qui il ritorno dipende dalla necessità di capire una verità difficilmente accettabile, mentre le contrapposizioni troppo semplicistiche tra bene e male a cui una certa propaganda moralista ci aveva abituati si fanno sempre meno plausibili. Un’altra tipica eroina di Alan Moore, l’immaginificaPromethea, da lui creata nel 1999, non fa che ritornare continuamente sotto diverse forme e in simbiosi con donne diverse nel corso dei secoli. Anche in questo caso ogni incarnazione ha lo scopo di rivelare verità nascoste, che qui riguardano proprio il potere dell’immaginazione, cioè della sfera puramente mentale dell’esistenza, che permette automaticamente di mettersi in contatto con tale fantastica entità e causarne il ritorno. Si può dire quindi che, mentre in Frank Miller il ritorno dell’eroe ha un’accezione soprattutto fisica, in Moore ha piuttosto un significato psicologico. Infatti, nelle storie di Miller la presenza di un eroe si rende necessaria per rimettere le cose a posto, per riequilibrare le forze in campo. Al massimo lo si potrebbe intendere come un invito a farsi avanti per l’eroe contenuto metaforicamente in ognuno di noi. Invece nelle storie scritte da Alan Moore il protagonista che ritorna, o che ospita il ritorno di un suo alter ego sovrumano, deve anche cambiare completamente sé stesso a livello mentale, mutare la sua percezione delle cose, scoprire delle verità insospettabili sulla propria natura e sul mondo che lo circonda. Tale cambiamento a livello intellettuale gli è indispensabile per andare avanti e in un certo senso è ciò che gli permette di ritornare, di riprendere a essere presente e agire nel mondo degli uomini dopo la pausa che si era presa dalla propria vera vita. Anche in greco c’è una relazione, certo non casuale, tra le parolenóosenóstos, pensiero e ritorno. Si può dire che a un certo punto l’eroe ritorni da quel mondo soltanto mentale in cui si era rinchiuso per poter cambiare sé stesso, come Ulisse che dopo anni si decide a ritornare dal regno degli dèi e della fantasia, quando è pronto per compiere il proprio destino e riprendere il suo posto nel mondo degli uomini. Da sempre esiste in effetti un tipo storie a fumetti, fantastiche o fantascientifiche, in cui i personaggi compiono viaggi più o meno lunghi e avventurosi nel tentativo di tornare a casa, sulla falsariga appunto dell’Odissea, I viaggi di Gulliver e Il mago di Oz. Tra queste si può citare la prima lunga sequenza della serie dell’eroe spaziale Flash Gordon, nato nel 1934 dalla fantasia di Don Moore e Alex Raymond, che naufragato sul pianeta Mongo insieme ai compagni d’avventure Dale Arden e Hans Zarkov, inizialmente ha come scopo principale quello di tornare sulla Terra. Anche nella saga deL’Eternauta, creata nel 1957 dagli argentiniHéctor German OesterheldeFrancisco Solano Lopez, il protagonista Juan Salvo, alla fine della prima lunga avventura, comincia a viaggiare in modo incontrollato in diversi universi paralleli, tentando di ritrovare il proprio per ritornare a casa dalla sua famiglia. Una metafora che rappresentava evidentemente il desiderio del popolo argentino di ritornare ad una vita più normale e serena senza riuscirci. In un’altra serie argentina molto più breve,Robin delle Stelle, realizzata negli anni ottanta daCarlos TrilloeEnrique Breccia, un veliero del Settecento cade in un passaggio interdimensionale e si ritrova a viaggiare nello spazio, passando da un pianeta all’altro. Il ritorno in patria però non arriva mai, se non in modo illusorio, per una subdola trappola di un mostruoso popolo alieno. Nell’ancor più breve serie fantascientificaTornando a Casa, degli spagnoli EnriqueSanchez AbulieJordi Bernet, degli ergastolani esiliati su un pianeta prigione riescono a evadere, impossessandosi di un’astronave aliena, e a ritornare sulla Terra, incontrando però molte difficoltà di vario genere e finendo quasi tutti per fare una brutta fine. Nello stesso tipo di storie potrebbe rientrare in un certo senso anche l’inizio della saga a fumetti diSandman, il Signore dei Sogni, creata nel 1989 dallo sceneggiatoreNeil Gaiman.Questi, seguendo almeno in parte le orme di Alan Moore, inizia la sua serie raccontando di come l’incarnazione del Sogno nota con il nome di Morfeo, una delle sette entità eterne che governano l’esistenza umana, ritorni a prendere possesso del proprio regno dopo lunghi anni di assenza e di prigionia. Ciò che mancava, era il racconto di cosa avesse fatto esattamente il Signore dei Sogni in quel periodo in cui era mancato da casa, prima di essere sottomesso e imprigionato da un moderno negromante. Inoltre il fatto stesso che Sogno potesse essere stato sconfitto e catturato da qualcuno appariva tanto più incredibile, quanto più nel procedere della serie ci si rendeva conto dell’enorme estensione dei poteri di tale personaggio, dotato di dominio assoluto sul regno dell’immaginazione. Nel 2014 lo stesso Neil Gaiman, insieme al disegnatoreJ.H. Williams III(già coautore di Promethea), realizza la miniserie“Overture”, un prequel della saga di Sandman in cui si racconta quali viaggi avesse compiuto prima del suo ritorno. E come accadde che avesse rinunciato a consistenti porzioni del proprio potere, trasferite in determinati oggetti, e fosse stato fatto prigioniero. Rispetto ai primi episodi della serie originale, tratteggiati con uno stile grottesco efficace ma un po’ rozzo dal disegnatore Sam Keith, bisogna dire che le composizioni molto più libere e raffinate di Williams rendono il prequel di Sandman ben più onirico ed evocativo, come si confà a una storia che si svolge tutta nel regno dell’immaginazione più sfrenata.