L’AUDACE PRIMA DI BONELLI

Il terzo settimanale di fumetti dell’aurea “triade” degli anni trenta, dopoTopolinoeL’Avventuroso,èL’Audace, uscito nel 1934 per laSaevdiLotario Vecchie proseguito nella sua forma classica fino al 1940, dopo una breve parentesi mondadoriana. L’Audace non si limitò a essere un giornale di tipo tradizionale. Dopo un esperimento di autogestione da parte dei suoi redattori, si trasformò inalbogiornale(una forma ibrida di cui parlerò in futuro) gestito direttamente daGian Luigi Bonelli, il futuro creatore di Tex, per concludere la propria parabola nel 1944, poco prima dell’alba della Liberazione. Durante il conflitto, su L’Audace, Bonelli tenne a battesimo una nuova forma di fumetto italiano “popolare” con autori appartenenti al gotha dei disegnatori, daRino AlbertarelliaPaul Campani. L’Audace proseguì anche dopo la Seconda guerra mondiale, trasformandosi in un marchio che, formalmente e idealmente, si identificò con la casa editrice Bonelli, portando la fiaccola dell’antica testata fino agli anni settanta del Novecento (per poi essere ripreso come nome per una collana di albi nel 2019). La storia de L’Audace, sia dal punto di vista editoriale sia dei contenuti, è estremamente complessa e quindi affascinante. Invece di una divisione per annate, vista la natura particolare del periodico, ho preferito una scansione per successive “versioni”, ognuna delle quali è caratterizzata da peculiari aspetti formali e di contenuto. La prima versione de L’Audace (numeri 1-34 del 1934) A partire dal 1933, l’editore Lotario Vecchi affianca al suo settimanaleJumbo, le serie diTigre Tino,Rin Tin Tin,PrimarosaeCine Comico, in modo da smaltire il materiale acquistato dall’ingleseAmalgamated Presse, allo stesso tempo, occupare ogni possibile nicchia di mercato, dai bambini più piccoli alle ragazzine. La Saev di Vecchi ha comunque, all’inizio degli anni trenta, già una lunga tradizione di editore didispense, ove con questo termine si intendono i fascicoli “avventurosi” con interminabili racconti scritti che, dal punto di vista letterario, sono una trasformazione del classicofeuilletonottocentesco. Negli ultimi giorni del 1933, quando il rivoluzionario Jumbo è ancora sulla cresta dell’onda, Vecchi allestisce un nuovo giornalino, appunto “avventuroso”, diretto agli adolescenti. Come al solito, nelle edicole è distribuito il saggio gratuito pubblicato qui sopra. Una settimana dopo, il 7 gennaio 1934, nelle edicole appare il nuovo periodico, sedici pagine di piccolo formato, quasi tutte in nero e stampate in modo approssimativo su una carta particolarmente povera. Due parole sul fortunatissimo titolo: L’Audace è, nella prima metà del secolo scorso, una parola altamente evocativa. Non si contano le palestre, le società sportive, le associazioni (quando tollerate dal Regime fascista) che si chiamano in tal modo. Audace è un aggettivo che evoca quartieri urbani popolari, partite di calcio, incontri amatoriali di pugilato. Si adatta ai sogni di un proletariato e di una piccola borghesia che ancora costituiscono un fittissimo tessuto sociale.Qualcuno potrebbe pensare che L’Avventuroso nerbiniano abbia imitato nel titolo L’Audace, ma probabilmente è vero il contrario, nonostante le date di uscita dei due settimanali: già nel 1926, infatti, la Nerbini fa uscire un periodico per ragazzi dal titolo L’Avventuriero. Diamo ora un’occhiata ad alcune pagine del primo numero de L’Audace. Il problema è che L’Audace, che contiene praticamente solo storie in testo, appare attardato, in altre parole decisamente vecchio, non solo rispetto agli standard dei nuovi settimanali a fumetti, ovvero Jumbo e Topolino, ma perfino se paragonato alle “dispense” coeve. L’aria che si respira è di primo Novecento. Ricorda un po’ il gloriosoGiornale dei viaggi e delle avventuredi Sonzogno e un po’ i settimanali di Picco e Toselli degli anni venti. Insomma, non ci siamo affatto, e il pubblico reagisce in modo men che tiepido. Unica nota interessante, a parte alcune piccole tavole britanniche umoristiche, sono le copertine, che oggi ci appaiono fascinose. L’ultima copertina, fra liberty e déco, ricorda molto le navi spaziali delBuck Rogersdi Phil Nowlan e Dick Calkins (1929), serie che peraltro è ancora sconosciuta in Italia. Forse a ispirarsi al primo fumetto di fantascienza americano è l’anonimo artista delle copertine de L’Audace, certamente britannico. L’Audace prima versione dura solo per 34 numeri. L’ultimo esce il 25 agosto 1934: data non sospetta, in quanto precedente all’esplosione della “bomba” deL’Avventuroso(metà ottobre). Dunque il giornalino muore, nella sua prima versione, solo per propria colpa. È nato infatti quando sia Jumbo sia Topolino avevano già imposto il nuovo linguaggio a fumetti, e con un’impostazione talmente superata che la stessa decisione di lanciarlo in edicola appare incomprensibile. Sul numero 34, dunque, viene pubblicato un breve comunicato in cui si annuncia ilrestylingdel settimanale. L’attenzione è posta soprattutto sulla diminuzione di prezzo, che passa da 30 a 20 centesimi. La settimana seguente esce in edicola L’Audace rinnovato. Le promesse vengono mantenute: stavolta il giornale è di grande formato, ha solo otto pagine e costa quei dieci centesimi in meno che possono fare la differenza, per le tasche cronicamente vuote dei lettori dei primi anni trenta. Il disegno accanto alla testata potrebbe essere diCarlo Cossio, che sarà, fra pochi mesi, il disegnatore delle due successive versioni. Mi scuso per lo stato di conservazione dei giornali, rilegati e rifilati all’osso, ma proprio in quanto estremamentebrutti, sono altrettantorari, nella loro completezza. Ma anche stavolta, e non è necessario scomodare il senno del poi, il settimanale non può funzionare. Passi il risparmio tirato al massimo, per cui si usa carta verdina di pessima qualità, scarto di produzione di quotidiani e altri settimanali popolari; passi la stampa zincografica di infimo livello, al cui confronto gli esiti tipografici di Nerbini sono da libro d’arte. Il problema, come si vede dal contenuto di questo primo numero della seconda versione, è che manca qualsiasi novità in grado di attrarre i lettori. Sorvolo sulla qualità deifeuilleton“avventurosi”, visto che qui ci occupiamo esclusivamente di fumetti. Siamo nell’anno di grazia 1934, perbacco, quando Topolino pubblica con straordinario successoCino e Franco(Tim Tyler’s Luck) disegnato daAlex Raymond, senza didascalie e con tutti iballoonsal loro posto. Qui, invece, in prima pagina c’è un racconto in testo, malamente illustrato, e in ultima un anonimo Tim Mc Coy di produzione britannica. Le due tavole umoristiche e la storia “avventurosa”I Tre Moschettieri, sempre inglesi, sono oltretutto impaginate in posizione sacrificata e non possono certo salvare il giornale. Qual è il senso della “seconda versione” de L’Audace? Un tentativo disperato, e assolutamente non convinto, di salvare la testata senza investirci praticamente nulla: si tira avanti finché va, mentre tutte le energie sono profuse in Jumbo e in parte nelle altre testate. Per quasi venticinque numeri l’agonia de L’Audace prosegue senza alcuna novità di rilievo. Storicamente trascurabili, ma gradevoli, sono alcune tavole umoristiche, sempre britanniche, a cui si sarebbe potuto dare ben più risalto. Il 14 ottobre 1934 esce il primo numero de L’Avventuroso e, poche settimane dopo, L’Audace annuncia sensazionali novità in arrivo. Dopo tante promesse analoghe, probabilmente i (pochi) lettori assidui del settimanale si aspettano il solito inutile rimaneggiamento di formato o di foliazione. Nulla, in effetti, può far pensar loro che Lotario Vecchi stia in realtà lottando freneticamente per parare il colpo, stavolta con investimenti adeguati. Lo “strillo” che annuncia la novità si ripete in quasi ogni numero. Infine, il 16 febbraio 1935, esattamente quattro mesi dopo l’uscita de L’Avventuroso nerbiniano, ormai lanciato in un successo epocale, appare l’ultimo numero della “seconda versione” de L’Audace. Chiudono tutte le storie di produzione britannica presenti sul settimanale. Di Tim McCoy non sentiremo più parlare. L’ultima pagina è occupata da un vero e proprio proclama, più roboante del solito. Stavolta, come abbiamo detto, c’è ragione di far tanto chiasso, anche se i lettori non lo sanno. Cosa capisce, il lettore comune del 1935, leggendo questo proclama? I titoliLa città sconosciuta,La cintura di diamantieLa freccia d’argentonon possono dirgli nulla.Tarzan, invece, è già un nome ben noto: a parte i romanzi di Edgar Rice Burroughs, pubblicati in Italia fin dal 1929 da Bemporad, ci sono i primi due film con Johnny Weissmuller e Maureen O’ Sullivan, diretti rispettivamente da W.S. Van Dyke e Cedric Gibbons, usciti in Italia nel 1934. Sono già apparsi perfino i primissimi fumetti diHarold Foster, benché in appendice a una pubblicazione non a fumetti. Una certa attesa, dunque, a questo punto è inevitabile.La sorpresa, una settimana dopo, sarà superiore a qualsiasi aspettativa. Le cose, quindi, cambiano di colpo con il leggendario numero 60 del 23 febbraio 1935. L’uscita del numero è annunciata, oltre che dai redazionali che abbiamo visto, anche da uno dei soliti volantini pubblicitari, distribuiti gratuitamente nelle edicole. Inutile spendere tante parole per rimarcare la radicale trasformazione. Parla da sé il menabò dello storico numero. Brick BradforddiWilliam RitteClarence Gray, qui chiamato con il suo nome originale, è lo stesso personaggio che apparirà anche sul settimanale deI Tre Porcellinidal n. 39 del 19 dicembre 1935, con il nome italianizzato inGuido Ventura. Solo che Arnoldo Mondadori pubblicherà le strisce giornaliere, mentre Lotario Vecchi si è assicurato (presso Guglielmo Emanuel, che rappresenta ilKing Features Syndacatein Italia) le tavole domenicali del personaggio. Ovviamente, Brick Bradford gioca qui il ruolo dianti-Gordon. Impresa difficile, se non disperata: nessuno, nel 1935, può uguagliare il disegno di Alex Raymond e la caratterizzazione luciferina dei suoi “cattivi”. Lesundaysdi Clarence Gray sono elegantissime, direi decisamente art déco, ma i testi di William Ritt (a differenza di quanto accade con ledailies), soffrono di ingenuità e di scarso respiro narrativo. Il fascino epidermico di queste tavole, come vedremo, è però lo stesso straordinario.La prima tavola pubblicata da Vecchi è in realtà un montaggio dalla secondasundaye di quella successiva, mentre manca del tutto la tavola d’esordio. L’Intrepido BillèBroncho BilldiHarry F. O’Neill. Già visto sul n. 118 di Jumbo, con il nome diTerror Bill: quelle erano tavole domenicali mentre queste sono, con ogni probabilità, strisce giornaliere. La cintura di diamantiè l’inizio delle avventure diMing FoodiBrandon WalsheNicholas Afonsky. Si tratta ancora dellesundaysdiLittle Annie Rooney, da cui si staccherà solo in seguito lospin offintitolato al saggio personaggio cinese. La serie, qui completa del rarotopper, tradottoStorielle quasi stupide, abbandonerà presto L’Audace per migrare su Jumbo. La Pattuglia Volanteè evidentementeRadio PatroldiEddie SullivaneCharlie Schmidt, nella versione in tavole domenicali: le strisce giornaliere le abbiamo viste pubblicate da Nerbini fin dal n. 1 de L’Avventuroso. I primi episodi dellesunday pagessono forse ancor più violenti di quelli che i lettori già hanno potuto apprezzare sui giornali e gli albi dell’editore fiorentino. La Freccia d’Argentoè l’unico fumetto di produzione britannica pubblicato sulla nuova serie de L’Audace.Giorgio Salvucci, nella sua opera I fumetti inglesi dal 1867 al 1942, pubblicata su Fumetto n. 16 del 1995, dichiara la serie “di autore ignoto”, e d’altronde non ce n’è traccia nemmeno sulla monografia100 anni100 eroi – il Fumetto inglese di Dennis Gifford(Comics n. 21, 1975). Dulcis in fundo, è proprio il caso di dire.Tarzan, qui nella versione domenicale, è disegnato daHal Foster. L’Audace, come prima tavola, allestisce un montaggio con vignette tratte dallesundaysdel 24 giugno, 5 agosto, 12 agosto, 26 agosto e 2 settembre 1934. Già dal numero 61, proporrà le tavole sostanzialmente corrette e integrali, con i colori originali. Infatti Vecchi, a differenza di Nerbini, che per risparmiare sui costi stampa in tricromia rifacendo tutta la colorazione, utilizza i flani originali, proprio come un qualsiasi editore di quotidiani americano che riceve gli impianti dalsyndicate. Dopo L’Audace non ci sarà più un’edizione davvero fedele di Tarzan, almeno fino all’edizione NBM (in Europa pubblicata dalla Planeta). Il nuovo Audace è ancora stampato su carta di pessima qualità e senza molta cura, ma indubbiamente è un grosso colpo di teatro, destinato a cambiare (ancora una volta) lo scenario delle pubblicazioni italiane a fumetti.Dunque, cos’è successo? A che cosa si deve questa epocale trasformazione di un giornale, a voler essere generosi, di secondaria importanza? Chiaramente, Lotario Vecchi ha deciso di non restare con le mani in mano di fronte al successo incredibile de L’Avventuroso, e di creare, in qualche modo, un clone del settimanale. La sua reazione è pronta, adeguata e articolata. Tanto per cominciare, se l’editore fiorentino si è assicurato l’esclusiva di Flash Gordon e Jungle Jim (che negli Usa escono solo in edizione domenicale) e di Secret Agent X-9 (idem, solo giornaliere), di Radio Patrol invece ha acquistato solo legiornaliere. Evidentemente, Nerbini non ha ancora la cultura specifica per orientarsi a dovere nel mondo deicomicsd’oltreoceano, e in fondo, quel che ha gli basta. Vecchi, invece, prende la palla al balzo. Oppure, volendo essere un po’ “dietrologi”, esiste già un rapporto di collaborazione (tutto da esplorare, storiograficamente) tra la Saev e Mondadori. Emanuel sta giusto trattando in questi mesi il passaggio del materiale Disney da Nerbini al colosso milanese: quando il settimanale Topolino passerà finalmente a Mondadori, sarà pronto a fornirgli ledomenicalidi Cino e Franco, in sostituzione delle fortunatissime giornaliere. Intanto, è in procinto di fornire a Mondadori materiale KFS per I Tre Porcellini. Emanuel, se esiste un “asse” Saev-Mondadori, è ragionevole che taccia dellesundayscon Nerbini (non solo di Radio Patrol, come vedremo) e passa a Vecchi questi autentici “assi nella manica”. Ma non basta: Vecchi, con le sue conoscenze internazionali, è in grado di guardarsi intorno, anche al di là dei pur ubertosi pascoli della King, e “scopre” le produzioni di altre agenzie, tra le quali c’è l’United Features Syndicate, che ha appunto i diritti di Tarzan. Curioso, vero? Jim della Giungla nasce come reazione di Hearst al Signore della Giungla di Burroughs, e in Italia accade esattamente l’inverso! Ma l’azione di Vecchi, come ho detto prima, è anche articolata. Lo è soprattutto a livello internazionale: l’editore, infatti, è una vera e propriamultinazionale, ha sponde robuste in America latina e in Spagna. Dove, privo di condizionamenti politici (non c’è ancora Franco al potere), fa uscireun clonede L’Avventuroso, stavolta in piena regola. L’immagine comparativa tra l’Avventuroso italiano e la “versione” spagnola di Vecchi credo non abbia bisogno di commenti. Lotario Vecchi avrebbe potuto, come osserva Giorgio Salvucci nella sua analisi de L’Audace (Il Fumetto, 1976), usare i grandi fumetti di cui sopra per potenziare Jumbo, la sua ammiraglia. Invece usa, come si è detto, l’ultimo dei suoi giornali, L’Audace. Ma a parte l’opportunità offerta dal titolo, è chiaro che l’editore intende tralasciare il pubblico dei bambini, a cui almeno formalmente è rivolto Jumbo, e partire praticamente da zero con gli adolescenti e oltre. Che tutta questa poderosa strategia porti a risultati in fondo deludenti, è un altro discorso. Brick Bradford è ricordato dagli appassionati disyndicationclassica per le lunghissime storie indaily strips, scritte da William Ritt e disegnate da Clarence Gray: etnologia, archeologia, fantascienza; intrighi complessi e affascinanti. Lesunday pagesde L’Audace, come ho detto, sono invece del tutto diverse: il biondo protagonista è lo stralunato visitatore di un mondo vagamente alieno, a metà fra la civiltà precolombiana e un delirio lisergico anni sessanta. Come Gordon, ma più banalmente dell’eroe di Don Moore e Alex Raymond, il protagonista non fa altro che combattere in arene, affrontare mostri variopinti, salvare principesse e partecipare a improbabili guerre: tutto ciò senza una vera e propria trama, e pure con un ritmo non sempre efficace. Ma certo le suggestioni grafiche sono fantastiche. Appartengono a tre categorie:decorative, architettoniche ed erotiche. Cominciamo dalle ultime. Nemmeno in Gordon c’è un erotismo come quello che sa suscitare Clarence Gray con le sue elegantissime fanciulle, coperte da veli trasparenti che lasciano intravedere molto di più di quello che la bigotta società italiana degli anni Trenta possa tollerare: Gray è potente anche con le figure maschili.