LA MUSICA DEGLI ANNI SETTANTA
Insoddisfatto del mondo circostante e della mia vita adulta, tempo fa ho deciso di trasferirmi stabilmente indietro nel tempo, nel giugno del1976. Se fosse ancora vivo, il mio analista non ne sarebbe forse contento, ma da uomo di ampie vedute non ne sarebbe neppure scandalizzato. È una scelta che presenta numerosi aspetti positivi. Soprattutto non si invecchia: la percezione di sé è piuttosto stabile, basta non farsi fotografare. Niente vieta di scorrazzare nel tempo attuale e recente per poi rifugiarsi nella tiepida tarda primavera del 1976. Con un po’ di pratica, l’illusione della eterna adolescenza diventa perfettamente appagante. Vivendo nel pieno di un altro decennio ho modo di osservarne dal vivo la cultura e l’arte, e oggi voglio parlarvi alla rinfusa della musica degli anni Settanta. Nel 1976 ero DJ in una radio di Milano, più che altro per le ascoltatrici che aspettavano fuori dello studio e volevano manifestare concretamente la loro ammirazione. Mettevo su i dischi che piacevano, ma tutto sommato me ne fregavo di quella musica, facevo il conservatorio e con integralismo adolescenziale per me la musica cominciava conMonteverdie finiva conBach, eventualmente conHugo DistleroWidor. Adesso penso che la produzione musicale compresa dai tardi anni Sessanta ai primissimi anni Ottanta sia la migliore del XX secolo. Una semplice ma utile introduzione alla musica degli anni Settanta, di Colin Larkin Non tutta, solo quella fortemente commerciale, andando controcorrente con il pensare comune. Comunque, vediamo brevemente e alla rinfusa qual era la situazione musicale italiana di quegli anni. In Italia negli anni Settanta esistono ambiti musicali che non si parlano tra loro, e un’enorme lacuna. La lacuna è rappresentata da tutta la produzione musical-discografica mondiale che non arriva in Italia e spesso neanche in Europa. Solo chi ha amici in UK o USA riesce a mettere le mani su dischi più che notevoli. Alcuni negozi importano per conto loro i dischi ignorati dai distributori nazionali, che però costano un sacco di soldi. Quella produzione è spesso tuttora sconosciuta, non essendo stata ripubblicata in digitale. Alcune radio, tra cui l’eccellenteSeventies Berlin, cercano oggi di far conoscere quel patrimonio musicale suvinile. Una efficace esplorazione della musica degli anni settanta è possibile solo attraverso il vinile Il primo dei vari macroambiti – escludendojazze classica, e il country che in quegli anni in Italia non interessa a nessuno – è quello della canzonepop-olare, che va daiRicchi e poverialla sterminata produzione napoletana aBaglioni: musica perlopiù goduta da chi alla mattina si alza per lavorare o studiare e non ha in mente di fare rivoluzioni proletarie. Nel gruppone c’è di tutto, c’èMino Reitanoche piace a chi piace, ci sono i colpi di genio diVendittie le menatone di Canzonissima. Da fuori porta gliAbba, con canzoni semplificate all’osso, iMungo JerryconIn The Summertime, eLes HumphriesconMama Loo. LaVanoniche con aria scazzata canta canzoni brasiliane e canzoni italiane che nessuno ricorda,Ruggericon i suoi Decibel. Si incrocia anche un singolo di unBattiatoche ancora deve mettere a punto una sonorità finto colta da abbinare a testi finto spirituali (anche se penso che lui ci creda):La convenzione, pop-interessante ma che stufa al terzo ascolto. Poi c’è il regno della canzonetta impegnata,De Gregori,Dalla,Pietrangeli,Bennato(Edoardo),De André, con arrangiamenti decenti e testi mediocri considerati alta poesia dai fedeli, ascoltata da gente di un certo livello sedicente che non ha tuttora idea di che cosa faccia Alice al quarto piano, ma si considera comunque soddisfatta dell’ascolto. Interessante il caso diClaudio Lolli, morto nel 2018; nel 1977 lascia l’etichetta multinazionale EMI che gli ha dato una certa fama e si associa alla microetichettaUltima spiaggia, con cui pubblica un disco la cui prima traccia è unmea culpaper avere accettato di lavorare per i capitalisti. Un esperimento interessante, dopo il disco con l’etichetta indipendente (peraltro di proprietà di un magnate dell’industria discografica), torna alla EMI: per la qualità (e per campare) ci vogliono i soldi. A metà strada tra canzonetta impegnata, canzone politica, sincera ricerca etnica e altre cento possibili definizioni, nascono gruppi dimusicapopolare, nonpop-olare, recuperi di canzoni tradizionali riconfezionate all’uopo. Spicca per bravura laNuova Compagnia di Canto Popolare, anche se più che la musica è l’energia che trasmettono i musicisti a emozionare.Giovanna Marinie altri nomi che ho per fortuna dimenticato cantano nenie lagnose in dialetti vari. La benemerita etichettaDischi del soleraccoglie tutto quello che riesce dalle voci dei contadini abruzzesi e ucraini e di qualsiasi altro posto, riallacciandosi allavoro di documentazioneintrapreso a inizio Novecento dal compositoreBéla Bartók. È tutto un fermento alimentato da quella visione politica di cui parlo più avanti, ma non per questo privo di interesse. Però a me questa roba disturba le orecchie. Ci sono poi quelli che sinceramente cercano altro musicalmente e si buttano sulprog, abbreviazione confidenziale di progressive rock e sul Krautrock: prima con le produzioni frutto di notti insonni a base di acidi deiFausto dalle dubbie sonorità diKlaus Schulze, poi con gli eleganti pezzi deiSoft MachinediRobert Wyatte infine – essendo il prog duro e puro piuttosto faticoso all’ascolto – con le canzonette orecchiabili dellaPremiata Forneria Marconi(PFM) e della seconda produzione delBanco di mutuo soccorso, roba musicalmente alla pari dei Ricchi e poveri, ma apparentemente sofisticata e quindi moralmente appagante. IlConcerto grossodei progNew Trollsmi ricorda fin troppo da vicino le colonne sonore dei film conMario Merola(veri capolavori di cultura popolare e pop-olare), nel momento in cui un qualche piccolo Ciro muore per una pallottola ingiusta. Rock e punk dilagano commercialmente sul globo terracqueo camuffati da musica per gente alternativa: il miliardarioElton Johnammalia dal grande schermo gli intellettualini ventenni con il film-fiabetta noir commerciale diTommy, gli eccellentiGrand Funk Railroad, con dischi che più patinati non si può, fanno sognare i ragazzini che suonano alla meno peggio nei garage cercando di imitarli; iDeep Purpleresteranno nella storia con i primi due minuti diSmoke On The Water: vi ricordate il tema di una qualsiasi altra loro canzone? IGenesisfanno il paio con la PFM quanto a prog, ma se non altro il loroNursery Crimeè un capolavoro. Gli italianiSkiantossuonano bene, ma per non offendere il pubblico che ha in uggia chi è davvero in gamba (e quindi è commerciale e quindi inaffidabile moralmente) cantano il peggio possibile e dichiarano di essere dei mediocri dilettanti; per corroborare la loro affermazione, al loro albumKinottoallegano un santino diPatti Smith, che a parteBecause the night, peraltro opera diBruce Springsteen, ha una produzione particolarmente sgarrupata. Lou Reedprovoca reazioni apertamente sessuali nelle ragazze che dal vivo ne ammirano il pacco attillato e se ne fregano delle sue canzoni, piuttosto sgradevoli (ancora: citatene una oltre al solito du-dudù-duddududù). GliAreali ricordo bene: dopo un loro concerto non ho dormito per due giorni, non saprei se per i rumori assordanti spacciati per suoni o per i nuvoloni di droga che avvolgevano gli spettatori.Cat Stevensattraversa indenne gli strali comunisti, forse perché tutto sommato dà consigli di vita, e poi nel 1977 si converte all’Islam: visto che l’Islam è anche un’arma politica adottata dai neri d’America, probabilmente i rivoluzionari di Porta Romana si astengono da condanne che potrebbero non essere fedeli alla linea. Ilpunksi spaccia subito come movimento colto, o meglio, con snobismo altoborghese è subito apprezzato dalla società-bene, ma piace più che altro per il casino indistinto che produce. L’oggi borghesissimoAndrea Mingardi, nel 1977 ne approfitta per produrre l’unico pezzo autenticamente punk italiano, il cialtrone e divertentePus. C’è poi la sterminata produzione disco-soul-funky: musica spesso destinata alle discoteche,Barry White, iBee Gees,George McCraeeccetera, che i discotecari non sentono come musica ma come ritmo, e che gli intellettuali considerano massima depravazione. Verso il 1979, la sinistrissima Radio Popolare di Milano organizza un dibattito telefonico con gli ascoltatori: è lecito di quando in quando ascoltare disco music o così facendo si danneggia il movimento? In quegli ultimi anni della contestazione giovanile, il prevalente mondo culturale prevede che la musica debba edificare le masse e che debba quindi parlare di classe operaia, povertà contadina, cose così, mica di amore e sole-cuore: ricordo ancora con senso di oppressione un applauditissimo concerto alla Camera del lavoro di Milano con il gruppo degliYu kunge i loro grandi successi, tra cui l’hitPovera gente. Se la musica parlava d’altro, magari d’amore, era appunto roba riprovevole. Nel 1976 una mia amica dellaFGCI(i giovani comunisti) mi regalòIf You Leave Me nowdeiChicagoscusandosi più volte per il dono politicamente inappropriato. Questa faccenda politica non era roba da poco. Il 2 aprile 1976 un gruppetto di contestatori prende di mira Francesco De Gregori durante un suo concerto, minacciandolo di pestaggio per le sue canzoni riprovevoli. Il cantautore dichiara poi di aver perso l’ispirazione e di volersi ritirare. Il critico diLinusnon appoggia i teppisti, ma si schiera comunque contro De Gregori. Però la disco, ben più vacua di De Gregori quanto a edificazione del popolo, non viene aggredita fisicamente, forse anche perché fuori delle discoteche ci sono servizi d’ordine con spranghe più grosse di quelle diAutonomia operaia. In Italia la violenza di alcune frange particolarmente accese della contestazione cancella i concerti dal vivo: nessun organizzatore si sente più di investire in spettacoli che saranno presi d’assalto da gente che non vuole pagare il biglietto per ragioni politiche. Ma questa è un’altra storia. Un gruppo di pacifici contestatori fanno il segno della pistola a metà anni settanta (da Wikipedia). Ci sarebbero poi la musica sudamericana che con gliInti-Illimanidiventa una vera mania, e altre correnti minori, ma fermiamoci qui. Merita citazione il cilenoVictor Jara, che riesce a volte a rendere romantiche le solite canzoni di protesta propedeutiche alla rivoluzione. Jara è morto in modo atroce. La suaTe recuerdo Amanda, del tardo 1969, resta una delle canzoni più belle del Novecento. È quella musicada discotecaassieme alla produzione popolare americana deiBilly JoeleDan FogelbergeKenny Rankinche considero il punto più alto e più negletto della produzione musicale del Novecento: un prodotto spesso perfetto, nato dalla collaborazione di autori di testi che sapevano il fatto loro, di musicisti con le palle, ingegneri audio che inventavano nuove tecniche di registrazione e postproduzione, e di grafici che preparavano copertine favolose.Paul McCartneyha sempre molto amato la versione diBlackbirdcantata da Kenny Rankin, del 1974, che fu anche scelta per i funerali diGeorge Harrison. Nel 1973 iTemptations, che già avevano creato l’incredibilePapa Was A Rolling Stone, pubblicanoMasterpiece. La canzone fu intitolata così perché finita la registrazione il produttore – quelNorman Whitfieldche poco tempo dopo avrebbe creato la colonna sonora diCar Wash– si rese conto che era un capolavoro, e lo è tuttora. Seguirono brani uno più bello e perfetto dell’altro. Nel 1974George McCraesalta fuori conRock Your Baby, un pezzo strutturalmente semplice, costruito attorno alla rozza batteria elettronica di un organo inglese Lowrey, un suono fascinoso, innaturale e rivoluzionario. Nel 1976 arrivaBoogie MandiKC And The Sunshine Band, pezzo ipnotico senza uso di droghe e con la voce del solista leggermente riverberata e metallica, il che rende ancora più avvolgente la canzone. Questa musica così ben costruita da indurre all’abbandono più che all’ascolto è l’ideale per chi voglia solo ballare in discoteca. Ma viceversa ascoltandola con intenzione ci si rende conto di quanto genio musicale e tecnico sia necessario per costruire una tale apparente semplicità musicale. Nel 1979 gliChicpubblicanoGood Times, pezzo di otto minuti, con un basso che è il vero protagonista. Ascoltate in particolare dal minuto 3:12 il crescendo emotivo costruito dalla semplice aggiunta degli strumenti. Un perfetto artificio di mixaggio. Good Timesè così buona che poco tempo dopo diventa la base del primo brano ufficialmente rap della storia,Rapper’s DelightdellaSugarhill Gang. Quaranta milioni di visualizzazioni su YouTube sono più merito degli Chic che della Sugarhill. Lo stesso artificio emotivo usato dagli Chic si ritrova nellaDon’t Leave Me This WaydiHarold Melvin, del 1975-1976, canzone diventata poi notissima nell’interpretazione diThelma Houston. Anche qui, ascoltate in particolare dal minuto 7:45. Nel frattempoBarry Whiteusa una voce impossibile e un’orchestra eccellente – un po’ stileLove Boata dire il vero – per accompagnare le storie d’amore di milioni di adolescenti. Gli snob dicono che canta coi rutti, ma è solo snobismo, appunto. Gli anni Settanta musicali finiscono forse con le canzoni disco deiFratelli La Bionda:milanesi-siciliani stabilitisi all’Hilton di Monaco di Baviera, utilizzano i migliori studi di registrazione di quella città per sfornare pezzi formalmente e musicalmente perfetti e già proiettati negli anni Ottanta, decennio che preferirà poi non raccogliere i suggerimenti dei La Bionda e sbracherà conDuran Durane soci.