LA MINIERA BELGA CHE HA DIVORATO GLI ITALIANI

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L’8 agosto sono trascorsi sessant’anni dalla tragedia di Marcinelle, cittadina del Belgio in cui nel 1956 morirono 262 minatori di varie nazionalità, tra cui 136 italiani, in seguito a un incendio verificatosi a oltre un chilometro di profondità. Le indagini stabilirono che alcuni cavi elettrici furono tranciati da un carrello in risalita, posizionato male, che provocarono una scintilla elettrica dando origine alle fiamme che uccisero centinaia di lavoratori impiegati nelle attività di estrazione. Per le persone intrappolate nei vari cunicoli che componevano la miniera di Bois du Cazier, più del fuoco fu fatale il fumo. Le salme furono recuperate a distanza di giorni, date le difficili operazioni di recupero. A pagare il tributo di sangue più alto fu appunto l’Italia, e in particolare l’Abruzzo, con ben 60 morti, di cui 40 provenienti dal cosiddetto “triangolo della fame”, ovvero Manoppello, Lettomanopello e Turrivalignani, un grappolo di paesi sul massiccio montuoso della Maiella dai quali, a partire dal dopoguerra, centinaia di giovani erano emigrati per tentare la fortuna. La morte tragica di queste vite innocenti, che in Belgio avevano cercato un futuro migliore, segnò la fine dell’accordo uomo-carbone siglato nel 1946 dall’Italia, la quale si impegnava a trasferire nelle miniere belghe, a corto di manodopera, ben 50mila lavoratori in cambio di 200 chili giornalieri di carbone per ogni immigrato. Dal giugno 1950, oltre 80mila italiani lavoravano oramai stabilmente in Belgio, a questi si erano aggiunti più di 20mila familiari. La notizia della tragedia, che colpì profondamente l’opinione pubblica, contribuì a fermare del tutto la macchina della propaganda con cui l’Italia, nel decennio precedente, aveva incoraggiato le partenze. Il protocollo d’intesa, che era stato a suo tempo firmato dal capo del governo Alcide De Gasperi, fu dunque accantonato. Nel 1967, poi, la miniera di Marcinelle fu chiusa in maniera definitiva.