INTERVISTA IMPOSSIBILE A ROSSELLINI

History is littered with hundreds of conflicts over the future of a community, group, location or business that were “resolved” when one of the parties stepped ahead and destroyed what was there. With the original point of contention destroyed, the debates would fall to the wayside. Archive Team believes that by duplicated condemned data, the conversation and debate can continue, as well as the richness and insight gained by keeping the materials. Our projects have ranged in size from a single volunteer downloading the data to a small-but-critical site, to over 100 volunteers stepping forward to acquire terabytes of user-created data to save for future generations. The main site for Archive Team is atarchiveteam.organd contains up to the date information on various projects, manifestos, plans and walkthroughs. This collection contains the output of many Archive Team projects, both ongoing and completed. Thanks to the generous providing of disk space by the Internet Archive, multi-terabyte datasets can be made available, as well as in use by theWayback Machine, providing a path back to lost websites and work. Our collection has grown to the point of having sub-collections for the type of data we acquire. If you are seeking to browse the contents of these collections, the Wayback Machine is the best first stop. Otherwise, you are free to dig into the stacks to see what you may find. The Archive Team Panic Downloadsare full pulldowns of currently extant websites, meant to serve as emergency backups for needed sites that are in danger of closing, or which will be missed dearly if suddenly lost due to hard drive crashes or server failures. Le dichiarazioni di questaintervista impossibileaRoberto Rossellini, il grande regista neorealista diRoma città aperta(1945) ePaisà(1946), sono tratte da:“Quand je commence à divenir intelligent, je suis foutou”, di Roger Regent, da “L’Écran Français” del 21/11/1948;“Colloquio sul neorealismo”, di Roberto Rossellini e Mario Verdone, da “Bianco e Nero”, n. 2/1952“Je ne suis pas le père du néo-réalisme”, di Henri Hell, da “Arts” del 16/6/1954;“Entretien avec Roberto Rossellini”, di Maurice Scherer e François Truffaut, da “Cahiers du Cinéma” n. 37, 1954;“Un cinéaste, c’est aussi un missionarie”, di Jean-Luc Godard, da “Arts” dell’1/4/1959;“Entretien avec Roberto Rossellini”, di Fereydoun Hoveyda e Jacques Rivette, da “Cahiers du Cinéma” n. 94, 1959;“Intervista con Roberto Rossellini”, di Adriano Aprà e Maurizio Ponzi, da “Filmcritica” n. 156/157, 1965;“Dibattito su Rossellini”, a cura di Gianni Menon. Partisan 1969;“Roberto Rossellini”, di Pio Baldelli, Samonà e Savelli 1972. Come nasce il neorealismo? Il neorealismo nasce, inconsciamente, come film dialettale, poi acquista coscienza nel vivo dei problemi umani e sociali della guerra e del dopoguerra. Ma che cos’è, di fatto, il neorealismo? Mi sono sempre sforzato di dire che per me il neorealismo era solo una posizione morale. Che genere di posizione morale? La posizione morale era di mettersi a guardare le cose obbiettivamente e di mettere insieme gli elementi che componevano le cose, senza cercare di portarci nessunissimo giudizio. È possibile evitare il giudizio? Le cose, in sé, hanno il loro giudizio. E siccome io odio d’istinto tutto quello che è sopraffazione questo è stato l’inizio. Poi piano piano queste cose mi si sono profondamente radicate e sono diventate molto chiare per me. Cioè quello che facevo per istinto, poi, piano piano, l’ho fatto in coscienza. Quindi alla fine prendendo coscienza si giunge inevitabilmente a un giudizio, un giudizio che, magari, si esprime attraverso la storia che si decide di narrare, attraverso le tesi che si portano avanti. Oggetto vivo del film realistico è il “mondo”, non la storia, non il racconto. Esso non ha tesi precostituite perché nascono da sé. Non ama il superfluo e lo spettacolare, che anzi rifiuta; ma va al sodo. Non si ferma alla superficie, ma cerca i più sottili fili dell’anima. Rifiuta i lenocini e le formule, cerca i motivi che sono dentro ognuno di noi. È, in breve, il film che pone e si pone dei problemi. Lei ha parlato di film realistici. Che cosa intende per realismo? Sono un regista di film, non un esteta, e non credo che saprei indicare con assoluta precisione che cosa sia il realismo. Posso dire, però, come io lo sento, qual è l’idea che me ne sono fatta. Ovvero? Forse qualcuno potrebbe dire meglio di me. Una maggiore curiosità per gli individui. Un bisogno, che è proprio dell’uomo moderno, di dire le cose come sono, di rendersi conto della realtà direi in modo spietatamente concreto, conforme a quell’interesse, tipicamente contemporaneo, per i risultati statistici e scientifici. Una sincera necessità, anche, di vedere con umiltà gli uomini quali sono, senza ricorrere allo stratagemma di inventare lo straordinario. Una coscienza di ottenere lo straordinario con la ricerca. Un desiderio, infine, di chiarire se stessi e di non ignorare la realtà, qualunque essa sia. Quindi il realismo è semplicemente una ricerca della realtà? Il realismo, per me, non è che la forma artistica della verità. Quando la verità è ricostituita, si raggiunge l’espressione. Ma per raggiungere l’espressione in un’opera filmica, immagino sia necessaria anche una ricerca tecnica, per rendere più efficace ciò che si vuole rappresentare. Io sono continuamente immerso nella ricerca tecnica, perché cerco –sono un operaio- di crearmi uno strumento il più agile possibile. Cerco sempre di arrivare alla matita. Per arrivare alla matita bisogna liberarsi dagli schemi e dalle necessità produttive, dal capitale. Ma lei come ha fatto a liberarsi dal “capitale”, ad arrivare alla matita, se ci è riuscito? La verità vera è questa: che il rito del cinema si celebrava nel tempio che era il teatro di posa. E il teatro di posa era nelle mani del padrone del teatro di posa, il quale per autorizzarti l’ingresso ti faceva pagare quello che voleva lui. E allora, siccome si stava con la mania della fotografia assolutamente perfetta e il panfocus e le cose e le cosine eccetera, io ho rifiutato tutto questo. La cosa per me più importante era di dire le cose che volevo dire. E come lavora per riuscire ad esprimere ciò che vuole dire? Come lavoro? Uno sa forse come lavora? Quello che è sicuro è che, quando intraprendo un nuovo film, parto da un’idea senza sapere dove mi condurrà. Ciò che mi interessa nel mondo è l’uomo e questa avventura unica, per ciascuno, della vita. Sono prima di tutto un individualista. Ogni essere è unico nel suo genere, sebbene sembri che tutti si assomiglino… Dunque è questo punto di vista sull’essere umano che la rende un regista realista? È perché non ho paura della verità e ho la curiosità dell’essere umano, che faccio la figura di un grande realista. Fa la figura di un realista o lo è? Lo sono, sì, se il realismo è abbandonare l’individuo davanti alla macchina da presa e lasciarlo costruire lui stesso la propria storia. Dal primo giorno delle riprese mi metto alle spalle dei miei personaggi e lascio che la cinecamera gli corra dietro. Quindi non calcola in anticipo quale sarà la resa di una scena nel montaggio finale? Non calcolo mai, so quello che voglio dire e cerco il mezzo più diretto per dirlo. Inutile rompersi la testa: è sufficiente avere le idee chiare. L’immagine segue automaticamente. Oggi la menzogna, più nel cinema che altrove, circola in maniera straordinaria. Ma la menzogna presuppone la verità. Perché ritiene che la menzogna circoli meglio al cinema che altrove? C’è il guaio grosso dell’immagine, la sala al buio, eccetera. È cosi… seducente, e così facilmente scambiabile con un sogno, che diventa un altro modo di rifugio e di evasione. Ma se vogliamo vivere nel contesto dei problemi nostri attuali, che sono, secondo me, proprio la base di tutto, ossia la diffusione della conoscenza, queste cose ce le dobbiamo dimenticare. La seduzione è anche un’arma che il regista può usare per piacere a tutti, al pubblico come al produttore. Se uno ha la civetteria di voler avere l’approvazione di tutti, beh, non fa più i suoi discorsi. Ne fa altri. Va ad accontentare il signor Tale o il signor Talaltro, non fa i suoi discorsi. Bisogna saper prendere i rischi e fare i propri discorsi: fatti il più onestamente possibile, in modo il più esauriente possibile. Non è che si può scendere a compromessi, si deve arrivare allo scopo a qualunque costo, a costo delle liti, delle risse, dei cattivi umori, degli insulti e delle blandizie, di tutto quello che vi pare. Crede che il cinema rischi di diventare sterile perché non osa abbastanza, perché non è sufficientemente onesto? Credo che tutti i mezzi di diffusione della cultura siano diventati sterili, perché abbiamo completamente abbandonato la ricerca dell’uomo così com’è. Ovvero? Abbiamo cominciato a creare uomini stereotipati, surrogati dei sentimenti dell’amore, della morte, del sesso, della morale. Trattiamo falsi problemi, perché viviamo immersi in una civiltà sotto il segno dell’ottimismo. Oggi si mira a porre falsi problemi e si dimenticano i veri problemi dell’uomo. E quali sono, secondo lei, i veri problemi dell’uomo? I veri problemi dell’uomo? Prima di tutto bisogna conoscere gli uomini come sono, bisogna cominciare col fare un atto di umiltà profonda e cercare di avvicinarsi agli uomini, di vederli come sono con obiettività, senza idee preconcette, senza dispute morali, almeno all’inizio. L’uomo può essere straordinariamente geniale e proprio in proporzione a questa sua genialità ha la possibilità, come rischio e contrappunto, di fare errori che sono altrettanto grandi delle conquiste che può fare. Questo mi sembra il vero dramma in cui l’uomo si dibatte. Mi spieghi meglio… Due sono le tendenze dell’uomo: quella della concretezza e quella della fantasia. Oggi si tende brutalmente a sopprimere la seconda. Il mondo, infatti, si va sempre più dividendo in due gruppi: quelli che vogliono uccidere la fantasia e quelli che vogliono salvarla; quelli che vogliono vivere e quelli che vogliono morire. E lei in questa divisione come si colloca? Io cerco di reagire contro la debolezza che rende gli uomini prigionieri volontari –per non dire vittime- per viltà o incoscienza, del loro desiderio di essere in armonia con tutto e tutti. Per idolatria delle regole noi viviamo nel terrore continuo di diventare l’eccezione, perché siamo abituati ad identificare l’uomo di cui si parla con l’uomo di cui si parla male. Che cosa intende per idolatria delle regole?