IL TRONO DI SPADE: DAI POEMI EPICI ALLA SERIE TELEVISIVA

IL TRONO DI SPADE: DAI POEMI EPICI ALLA SERIE TELEVISIVA

Il trono di spade (il titolo originale Game of thrones significa Gioco di troni) è una serie televisiva statunitense.
Tutti noi fan della serie televisiva non possiamo fare a meno di pensare che il successo del Trono di spade sia dovuto almeno in parte ai draghi che realizzano le nostre fantasie di quando eravamo bambini. Tuttavia questa serie non è una creazione originale, ma si inserisce nella gloriosa tradizione delle opere epiche di cui farò un breve excursus. Cercherò poi di elencare i momenti clou della serie che hanno fatto crescere il numero degli spettatori.

Sono stati trasmessi 73 episodi della serie in otto stagioni. Di genere fantastico, la serie è stata creata da David Benioff e D. B. Weiss.
Negli Stati Uniti è stata trasmessa sul canale via cavo Hbo dal 2011 al 2019. In Italia dal canale a pagamento Sky. È l’adattamento del ciclo di romanzi fantasy Cronache del ghiaccio e del fuoco dello scrittore statunitense George Raymond Richard Martin.

I romanzi del ciclo Cronache del ghiaccio e del fuoco sono una storia epica di ambientazione medievale di cui sono stati scritti 5 volumi.
Il sesto e il settimo libro non sono ancora stati pubblicati da Martin, così l’ottava serie televisiva è stata solo ispirata da Martin, che pare avesse confidato agli sceneggiatori come sarebbe dovuto essere il finale. Ma la conclusione della serie, raffazzonata e sbrigativa, ha fatto infuriare moltissimi fan che si sono sentiti traditi. Nelle ultime dichiarazioni Martin ha ammesso che potrebbe anche modificare il finale dei libri, se e quando li scriverà.

Nel frattempo propongo un breve excursus delle opere epiche che sono state scritte per capire in quale tradizione si collochi Il trono di spade.

L’Iliade e l’Odissea

Atene, il portico delle Cariatidi

I poemi epici sono le prime storie letterarie che sono state composte. Un poema epico (il termine “epica” deriva dal greco ἔπος, èpos, che significa “parola”, e in senso più ampio “racconto”, “narrazione”) è un componimento letterario in versi che narra le gesta, storiche o leggendarie, di un eroe o di un popolo, mediante le quali si conservavano e tramandavano la memoria e l’identità di una civiltà o di una classe politica.

In origine venivano declamate di fronte al pubblico che ascoltava e accompagnate dal suono di uno strumento musicale che scandiva il tempo. L’aedo (il cantore) non aveva nulla di scritto (anche perché la scrittura non era ancora stata inventata o comunque erano in pochissimi a conoscerla), doveva recitare a memoria. Quindi doveva sapere a memoria molte storie in modo da accontentare gli ascoltatori. Per facilitare l’apprendimento mnemonico della materia epica, era necessario che le epopee fossero in versi, in modo che la loro armonia rendesse più agevole la memorizzazione.

Non so se voi abbiate studiato a scuola delle poesie a memoria ma io l’ho fatto. Vi assicuro che tanto più il brano che dovevo studiare a memoria era ritmato e musicale tanto era facile memorizzarlo. Se il brano era in prosa ed era scarsamente musicale , diventava molto difficile ricordarlo. L’Odissea e L’Iliade sono tutte e due rigorosamente in esametri, cioè in versi di sei piedi (chiamati così perché si accompagnava il tempo battendo il piede).

La tradizione di narrare la materia epica in versi rimase anche quando ormai i libri erano
diffusi e le storie si leggevano, non si declamavano più.
Secondo Platone i poemi omerici trasmettevano ai greci quel sistema di valori che avrebbe
reso Omero un “cattivo maestro”. I valori dell’eroe omerico consistevano nel desiderio di fama e gloria, nell’ambizione di primeggiare sugli altri grazie a una “virtù” (areté) fatta soprattutto di coraggio e di forza, che contraddistinguono il “vero uomo” a dispetto della massa mediocre priva di “eroismo”.

Enea e i valori dell’eroe romano

Il più grande poema epico latino è l’Eneide, che fu scritto dal poeta Publio Virgilio Marone dal 29 avanti Cristo al 19 a.C. Narra la storia leggendaria del troiano Enea (figlio di Anchise e della dea Venere) che riuscì a fuggire dopo la caduta di Troia, navigò nel Mediterraneo e approdò nel Lazio diventando il progenitore del popolo romano.

Sono tante le virtù che Enea incarna, tipiche dell’eroe romano: lealtà, clemenza, coraggio, senso della
giustizia, profonda onestà d’animo, rispetto verso gli uomini e gli dei (la pietas), grande pazienza e senso civico.

Il ciclo carolingio

Nell’Alto Medioevo, che va dal 476 (caduta dell’Impero romano) all’anno 1000, si impone in Europa l’uso del cavallo in battaglia, reso possibile dall’introduzione alla staffa e alla ferratura, che nell’antichità non erano conosciute. Era l’unico modo per combattere le cavallerie degli invasori unni, arabi e avari.

Gli avari, provenienti dall’Asia centrale, avevano portato per primi in Europa l’uso della staffa, che rendeva molto più agevole combattere a cavallo in quanto dava stabilità al cavaliere. La staffa era stata inventata in India nel II secolo d.C. (forse anche prima) e rivoluzionò la cavalleria. Infatti i romani non la usavano: stare a cavallo e combattere senza staffe era veramente difficile.

Dall’VIII secolo il cavaliere diventa la figura centrale di ogni azione militare.
I giullari medievali, che erano i cantastorie del tempo, si spostavano da un luogo all’altro dell’Europa diffondendo, spesso in versi, le vicende dei cavalieri.

Si svilupparono due filoni narrativi: le canzoni di gesta e i romanzi della Tavola Rotonda.
Il ciclo carolingio, che fa parte delle canzoni di gesta, racconta le imprese di Carlo Magno e dei suoi paladini (i dodici cavalieri della guardia reale, tra i quali Rolando).

I valori che caratterizzano La Chanson de Roland sono la fedeltà al proprio signore, in questo caso Carlo Magno; la fede cristiana in opposizione alla fede islamica (che tra l’altro nel testo risulta essere politeista); l’onore, da tutelare a ogni costo e con ogni mezzo; l’eroismo in battaglia. Fu composta intorno al 1110 e narra la vicenda della battaglia di Carlo Magno a Roncisvalle contro i baschi, alleati dei saraceni (gli arabi).

Il ciclo bretone

Il ciclo bretone si sviluppa intorno alla figura di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda.
Viene chiamato bretone dal nome della regione in cui si svolgono le vicende (la zona della Bretagna, che comprendeva parte dell’odierna Inghilterra e il nord-ovest della Francia).

Il ciclo carolingio si diffuse presso il popolo mentre il ciclo bretone trovò il suo pubblico presso le corti del nord della Francia. Le storie di questo ciclo narrano di cavalieri solitari, i cavalieri della tavola rotonda di re Artù, sempre in viaggio alla ricerca di avventure e di amori, mossi da sentimenti di lealtà, devozione e cortesia.

Il ciclo bretone, basato su antiche leggende celtiche, è formato da cinque romanzi cavallereschi scritti da Chrétien de Troyes alla corte di Champagne tra il 1360 e il 1369 circa.
Sia il ciclo carolingio sia il ciclo bretone furono composti molto tempo dopo le vicende narrate.

L’Orlando furioso di Ludovico Ariosto

Rotonda Foschini nella città di Ferrara dove visse e operò Ludovico Ariosto


L’Orlando furioso
di Ludovico Ariosto, pubblicato a Ferrara nel 1516, pur essendo rivolto ai lettori più che a essere cantato davanti ai signori, è composto in ottave, che è il verso italiano tipico dei poemi epici.

Il poema ha più di un centro tematico. I temi principali sono l’amore (corrisposto, non corrisposto, il tradimento, la lussuria), l’amicizia, la guerra; il tema fantastico (incantesimi, cavalli alati); la magia (buona, cattiva).
A lungo l’Orlando furioso fu considerato un’opera prevalentemente di evasione.

Nell’Ottocento l’Orlando furioso fu interpretato come critica dei valori della cavalleria, come testo che segna la consapevolezza della fine di un’epoca storica, il Medioevo, con tutto ciò che esso significava.

Don Chisciotte della Mancia (1605- 1615)

Statua di Miguel de Cervantes, l’autore di Don Chisciotte a Toledo


Don Chisciotte della Mancia
, rispetto ai poemi cavallereschi, tratta di argomenti contemporanei e non del passato ed è in prosa e non in versi. Don Chisciotte è un hidalgo, cioè il rappresentante della piccola nobiltà provinciale.
Il romanzo mette in luce l’esigenza di far emergere la propria individualità, fuori da rigidi rapporti sociali cristallizzati, raccontando l’istinto, la follia, il sogno, l’ignoto.

L’intento dichiarato di Miguel de Cervantes era quello di abbattere il favore che avevano nel pubblico i libri di cavalleria, parodiandoli. L’intento rispecchiava la crisi di valori del tempo. L’Europa del Seicento era certo intimamente avversa a ogni forma di idealismo, di liberalità e di generosità cavalleresca.

Don Chisciotte è preda della follia in quanto interpreta la realtà in maniera distorta, ma nella seconda parte del romanzo la sua follia appare in buona parte consapevole. La follia di don Chisciotte è lo strumento per rifiutare la volgarità e la bassezza della realtà.

Ivanhoe di Walter Scott

Edimburgo, Scozia, monumento a Walter Scott, l’autore di Ivanhoe

Nel 1820 il baronetto inglese Sir Walter Scott pubblicò Ivanhoe, che, insieme a un altro suo romanzo storico (Waverley), è considerato uno dei primi romanzi storici. Ivanhoe è ambientato in Inghilterra nel 1194, al ritorno dalle Terza crociata.

Il successo di Scott si fonda sulle sue doti straordinarie di narratore, sull’abile costruzione dei dialoghi, sulla penetrante osservazione di costumi e comportamenti sociali e sui vividi ritratti di zingari, fuorilegge e girovaghi. Lo stile fonde vigore, bellezza lirica e lucidità descrittiva.

Sebbene la costruzione degli intrecci appaia talvolta affrettata e i personaggi risultino in qualche occasione poco credibili, le sue opere mantengono un alto valore letterario per l’atmosfera avvincente, la dignità epica e la lucida comprensione della natura umana.

George Raymond Richard Martin, l’autore delle Cronache del ghiaccio e del fuoco che hanno ispirato Il trono di spade, confessa che Ivanhoe di Sir Walter Scott è stato una sua fonte di ispirazione.
Ivanhoe di Walter Scott ispirò anche il nostro Alessandro Manzoni.

Il signore degli anelli di Tolkien

Il signore degli anelli

John Ronald Reuel Tolkien (Bloemfontein, 3 gennaio 1892 – Bournemouth, 2 settembre 1973) è stato uno scrittore, filologo, inventore di linguaggi artificiali, accademico e linguista britannico.
Importante studioso della lingua inglese antica, è conosciuto principalmente per essere l’autore di pietre miliari del genere high fantasy, quali Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit e Il Silmarillion.

Nel 1936 un racconto scritto da Tolkien per i suoi figli intitolato Lo Hobbit giunse nelle mani di Susan Dagnall, impiegata presso la casa editrice londinese George Allen & Unwin, che convinse lo scrittore a dare alle stampe la propria creazione. La popolarità raggiunta dal racconto spinse Tolkien a scrivere la continuazione della storia, che fu Il Signore degli Anelli.

Il Signore degli Anelli
è un’opera in tre volumi pubblicata da Tolkien nel 1954-55, alla quale aveva lavorato per circa dieci anni. Inizialmente l’opera aveva un tono fanciullesco come Lo Hobbit, per poi diventare più fosca e matura. I valori umani maggiormente presenti ne Il Signore degli Anelli sono la fedeltà e l’amicizia, così come lo spirito di sacrificio in nome di un bene più grande.

Intervista a George R.R. Martin

George R.R. Martin, l’autore della saga di Game of Thrones, ha rivelato agli spettatori dell’Edinburgh International Book Festival nell’agosto 2014 le sue fonti di ispirazione per la creazione del mondo fantastico delle Cronache del ghiaccio e del fuoco e dei personaggi che lo hanno reso famoso in tutto il mondo.
Molti lo definiscono il “Tolkien americano” per la presenza massiccia di elementi storici nei suoi romanzi, in cui sono evidenti i richiami alla storia scozzese e a Sir Walter Scott.

Alla domanda: “Le è capitato di visitare spesso la Scozia?”. Martin risponde: “Ho visitato la Scozia mezza dozzina di volte. Ci sono stato per la prima volta nel 1981 con un’amica con cui collaboro spesso, Lisa Tuttle. Di questo viaggio mi è rimasta impressa l’immagine del Vallo di Adriano (una lunga muraglia costruita dai romani a sud dell’attuale Scozia – NdR) al tramonto in una fredda giornata estiva. Ai piedi di quelle mura mi sono sentito come un legionario romano ai confini del mondo, ed è stata una sensazione molto forte. La fantasia però ingigantisce sempre tutto, e così dieci anni dopo ho reso quella barriera cento volte più alta e lunga, e l’ho ricoperta di ghiaccio. Credo che se in Scozia ci fosse una barriera di ghiaccio gigante come quella, oltre a essere una fantastica attrazione turistica sarebbe anche utile a tenere lontano gli inglesi”.

George R.R. Martin è un realista?

Martin rivendica la verosimiglianza dei suoi personaggi. Per lui tanto più i personaggi sono contraddittori, non sono del tutto buoni o cattivi e catturano l’affetto degli spettatori, tanto lo scrittore ha lavorato bene. Martin rivendica il maggiore realismo di Il trono di spade grazie all’esistenza delle tv via cavo, che hanno consentito agli spettatori di fare scelte più specifiche. Hanno anche consentito a scrittori come lui di proporre opere più aderenti alla realtà, che non sarebbero mai state approvate dai programmatori della televisione generalista.

Gli spettatori si sono sbizzarriti a cercare i riferimenti storici dei personaggi e delle situazioni rappresentati in Il trono di spade.
Lo stesso Martin ha ripetuto che non stava inventando niente di sconvolgente, ma che descriveva cose già successe nella realtà.
Tuttavia non è detto che ciò che è vero o ispirato a storie vere sia tout court verosimile artisticamente.

È la bravura dell’artista a far diventare verosimile, cioè artisticamente credibile, ciò che è vero e, se l’artista è molto bravo, anche quello che non è vero. I fan, indignati per il finale sbrigativo della serie televisiva, lamentano proprio questo, cioè che gli sceneggiatori della serie David Benioff e D. B. Weiss (lasciati a sé stessi senza i romanzi scritti come traccia) sono riusciti a far diventare inverosimili i personaggi e le situazioni. Dobbiamo tenere presente che la caratteristica principale della serie era l’estrema lentezza con cui si era sviluppata la storia.

Nella continuazione di questo articolo esamineremo le parti della serie televisiva de Il trono di spade che hanno fatto impennare gli ascolti.

Eddy Stark, cavaliere senza macchia

Eddard Stark detto Ned è veramente un cavaliere senza macchia, difensore delle donne e dei bambini. Nelle scene qui sopra lo vediamo opporsi con coraggio ai propositi omicidi di re Robert Baratheon di cui è amico fraterno. Nel romanzo ha circa trentacinque anni mentre l’interprete scelto per Trono di spade, l’attore Sean Bean, è sulla cinquantina.



Eddard Stark discute con Cersei

Eddard Stark avvisa la regina Cersei Lannister di aver scoperto che i suoi figli sono stati
concepiti con suo fratello Jaime Lannister e non sono quindi eredi legittimi del re Robert
Baratheon. Lo fa per evitare che Robert li uccida e uccida anche Cersei. È un ingenuo?
Non pensa che i Lannister cercheranno di eliminarlo come in effetti faranno? Non appare
sconsiderato e irruento, ma piuttosto pensoso e preoccupato.


La morte di Eddard Stark

Nel video qui sopra c’è  la scena della morte di Eddard Stark. L’uomo confessa di aver
tradito re Robert Baratheon anche se non è vero, perché gli è stata promessa salva la vita
se lo farà. Decide di autoaccusarsi perché teme per le figlie che sono ostaggio della casa
Lannister.

Appare disperato, consapevole dei pericoli che corrono lui e la sua famiglia, ma incapace di non essere quello che è: un cavaliere senza macchia.  L’amore per le figlie supera il suo desiderio della considerazione altrui. Con quel gesto dimostra che l’onore non risiede nel giudizio degli altri ma nei nostri atti. Il giovanissimo re Joffrey non rispetta la promessa e lo fa uccidere davanti alle figlie.

Il personaggio di Eddard Stark era molto amato dagli spettatori. Il fatto che Martin avesse sceneggiato la sua morte fece capire ai lettori e agli spettatori che Martin era disposto a tutto per tenere legato e avvinto il pubblico


Il cammino della vergogna

La scena della “Camminata della vergogna” (Walk of Shame in inglese) è una delle più famose della serie tv. Allo stesso tempo è anche una delle più forti e difficili da guardare. La protagonista della camminata è Cersei Lannister, che per punizione è costretta a camminare lungo le vie della cittadella. La donna è completamente nuda e la folla le lancia addosso cibo, fango e feci. Oltre a questo, le urla contro ogni tipo di oscenità, accusandola di essere una sgualdrina e una bugiarda.

Lena Headey, l’attrice, non è rimasta nuda tutto il tempo ma in diverse occasioni è stata sostituita da una controfigura. Tuttavia la sua recitazione è stata talmente incisiva che al termine della puntata anche i fan che erano nemici del personaggio hanno iniziato a simpatizzare per Cersei. Questo è uno dei più grandi meriti degli autori e del regista della serie: Game of Thrones non è solo una guerra per il trono di spade, ma un esempio di come rappresentare personaggi complessi.



Jane Shore e la Walk of Shame del XV secolo

George R.R. Martin ha dichiarato in più interviste di aver tratto ispirazione per alcuni
capitoli dei suoi libri da fatti storici realmente accaduti. Per il capitolo dedicato alla
Camminata della vergogna di Cersei Lannister, Martin ha detto di essersi ispirato alla
storia del Regno Unito e di preciso a Jane Shore, amante del re Edoardo IV.

Jane era figlia di una ricca famiglia di mercanti inglesi e questo le permise di entrare in
contatto con i più importanti uomini d’affari del tempo. Grazie alla posizione agiata della famiglia, ebbe modo di ricevere un alto livello di istruzione, cosa particolarmente rara per una donna del Quattrocento. Bellezza e intelletto attirarono parecchi uomini, tra cui William Hastings, amico molto stretto e consigliere del re Edoardo IV.

Fu proprio in questo modo che Jane Shore entrò in stretto contatto con la famiglia reale; in pochissimo tempo, Edoardo IV e Jane instaurarono una stretta relazione. La gente riteneva che la donna avesse una fortissima influenza sul re e sulle sue decisioni. Il re aveva già avuto in passato altre amanti ma, secondo documenti d’epoca,  si dedicò completamente a lei.  La loro relazione durò fino alla morte stessa di Edoardo.

Cosa unisce Jane e Cersei nella loro Camminata della Vergogna? Proprio dopo la morte del re Edoardo IV, Jane Shore fu costretta a camminare lungo la città indossando solamente una sottoveste e portando un cero in mano (1483). Nella camminata della vergogna di Cersei nel Trono di spade la regina è completamente nuda.

Nel Medioevo il corpo della donna era considerato come la fonte di tutte le nequizie e la
Chiesa e l’autorità civile pretendevano che fosse accuratamente coperto. Solo nei roghi
delle streghe la parte alta del corpo veniva lasciata scoperta mentre bruciava per mostrare
alle donne che cosa succedeva quando si era impudiche.

Il numero alto di relazioni extraconiugali delle due donne è uno dei temi che le ha portate
ad affrontare letteralmente la propria Camminata della vergogna come punizione. George
R.R. Martin presenta il personaggio di Cersei Lannister come una donna infedele, che nel
corso delle propria vita strinse diverse relazioni anche con membri della propria famiglia.

Allo stesso modo, si ricorda Jane Shore per essere stata una donna di grandissimo
fascino, che dopo la morte del re diventò l’amante di un figliastro e di William Hastings.
Inoltre, entrambe le donne vennero accusate per le relazioni e le alleanze strette con
diverse famiglie importanti. La Camminata della vergogna venne imposta a entrambe
come punizione, insieme a gravi accuse di cospirazione contro i regnanti.


Le nozze rosse della notte di San Bartolomeo

Tra le nozze rosse (di sangue) più famose della storia, c’è la cosiddetta Notte di San
Bartolomeo, una strage avvenuta durante la la notte tra il 23 e il 24 agosto 1572, in cui furono
uccise diverse migliaia di protestanti francesi (ugonotti), sia a Parigi sia nella provincia.

Ciò avvenne nel contesto delle lotte tra il partito cattolico, capeggiato dai duchi di Guisa, e il
partito ugonotto, guidato, tra gli altri, da Gaspard de Coligny e da Enrico di Navarra, poi re
Enrico IV. L’attacco, iniziato forse senza volerlo, colpì inizialmente gli ugonotti convenuti per il matrimonio tra Enrico di Navarra e la sorella del re Carlo IX, Margherita (Margot) di Valois. Fu deciso dalla regina madre Caterina de’ Medici e approvato da papa Gregorio XIII.


Le nozze rosse de Il trono di spade

Il successo di Il trono di spade non fu particolarmente rilevante durante la prima e la seconda stagione. È dalla terza serie che esplose il gradimento del pubblico, e fu durante la programmazione delle Nozze rosse.

Durante la terza stagione, le truppe del Nord guidate da Robb Stark cercano un alleato importante in Walder Frey per poter sconfiggere i Lannister. In cambio del sostegno, Frey chiede che Robb prenda in moglie una delle sue figlie, e il giovane Stark, riluttante, accetta.  

Robb, tuttavia, infrange la promessa sposando Talisa Maegyr (interpretata da Oona Chaplin) e Walder Frey, dopo la rottura del patto, inizia una corrispondenza con Tywin Lannister (Charles Dance). Nel nono episodio della terza stagione de Il Trono di Spade, intitolato Le piogge di Castamere, la vendetta di Frey si compie: Robb, Talisa, Catelyn Stark e diversi uomini del Nord vengono massacrati durante il banchetto per il matrimonio tra Edmure Tully (lo zio di Robb) e Roslin Frey. 
Questo tragico evento verrà ricordato nel mondo de Il trono di spade come le Nozze Rosse. Come potete vedere dal video qui sopra tutta la strage è vista con gli occhi di Arya Stark. 


L’ispirazione storica dietro alle Nozze Rosse

Il colpo di scena, tra i più grandi della storia de Il trono di spade, è ispirato ad alcuni eventi
storici realmente accaduti. È stato lo stesso Martin a spiegare come per le Nozze
Rosse avesse tratto spunto da diversi avvenimenti narrati nelle antiche cronache scozzesi.

Primo tra tutti, l’evento che passerà alla storia come la “Cena Nera”, avvenuta nel 1440 e
che si consumò con l’uccisione del sesto conte di Douglas insieme al fratello minore, che
vennero attirati con l’inganno da Sir William Crichton, il Lord Cancelliere, al castello di
Edinburgo.

Il secondo riferimento, è quello del massacro di Glencoe, avvenuto nel 1692; trentanove membri del clan McDonald vennero eliminati dai loro ospiti dopo aver rifiutato di concedere il terreno in un gesto di sottomissione al re Guglielmo III d’Inghilterra. Martin non pare essersi ispirato alla strage della notte di San Bartolomeo. 


Se ci ispiriamo alla storia come espressamente confessa di essersi ispirato George R.R. Martin troveremo veramente di tutto, dall’orrore al sublime.
Come dice Amleto: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”. William Shakespare, La Tragedia di Amleto, principe di Danimarca (1.5.167-8)

 

3 commenti

  1. Per chi si interessa di fantasy segnalo il mio saggio: Il fantasy in Italia, nel catalogo dell’editore Solfanelli.

    Carissima Angela Ravetta, facendo seguito ad un tuo articolo sulla famiglia reale inglese, ti scrivo qui una cosa nella nostra madre lingua subalpina:
    L’Re, col pcit (1), l’è andait a meuire laggiù en Egit.
    So fieul Bertin (2) fa l’portugheis e s’la fa bin.
    Bertin s’sa a l’ha quat fieui da pié a lignà:
    La Maria Pia s’ peul nen disse fija d’Maria.
    Vitorio l’ fieul a fa l’mesté del bel piel.
    La Gabriela l’ha fane d’pì che che sua sorela
    ch’a l’è sparasse per ij bei euij d’en gross stassi
    ch’a passa l’temp massand i tòr a tradiment. (3)
    Al dì d’ancheui s’sa che l’mond a va parej,
    e sta famija l’è peui non tant pess che la mia.
    L’unica cosa ch’em fa crié Giurapapé (4)
    a l’è penssé che fin a ier n’sac d’fieuj
    a son cherpà criand SAVOIA.
    Eh, porca troia !
    GIPO FARASSINO
    (1) Vittorio Emanuele III
    (2) Umberto II
    (3) il torero Victoriano Valencia con Maria Beatrice
    (4) Accidenti !
    (5) il grido di battaglia del regno di Sardegna e del regno d’Italia.

  2. E allora Angela, devi sapere che la famiglia reale britannica ha sempre temuto e disprezzato la dinastia di Savoia. Questo perché nel testamento del re Giorgio III, morto nel 1820, si trovò scritto che se il Regno Unito avesse rinunciato alla religione di stato anglicana, la corona avrebbe dovuto passare proprio ai Savoia, cattolici.
    Ma come si vede, sia i Sabaudi che i Windsor non hanno quelle qualità che tu descrivevi.

  3. Egregio signor Ressa,
    leggo solo ora i suoi commenti. La ringrazio di aver dedicato del tempo agli argomenti che tratto.
    Angela Ravetta

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati con *

Dichiaro di aver letto l'Informativa Privacy resa ai sensi del D.lgs 196/2003 e del GDPR 679/2016 e acconsento al trattamento dei miei dati personali per le finalità espresse nella stessa e di avere almeno 16 anni. Tutti i dati saranno trattati con riservatezza e non divulgati a terzi. Potrò revocare il mio consenso in qualsiasi momento, integralmente o parzialmente, con effetto futuro, ed esercitare i miei diritti mediante notifica a info@giornalepop.it

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

*