IL MANICOMIO E IL SUO FALLIMENTO

IL MANICOMIO E IL SUO FALLIMENTO

Il manicomio moderno nasce nel 1793 in Francia a opera diPhilippe Pinele muore in Italia nel 1978, con lalegge Basaglia n. 180. Il manicomio nacque, nelle intenzioni di Pinel, come un istituzione specializzata nella cura dei soli malati mentali.In precedenza le persone identificate come “folli” venivano internate insieme ai vagabondi, i criminali, i poveri e i mendicanti, all’interno dei vecchi lebbrosari ormai svuotati. La lebbra e la follia erano patologie diversissime, ma accomunate dal fatto che i loro sintomi suscitavano paura e repulsione, generando l’esigenza di tenere separato chi ne era affetto dalla parte sana della società. Erano così sorte delle particolari strutture dedite all’assistenza, ma con funzioni repressive e deputate alla segregazione di una massa di emarginati che veniva percepita come una minaccia. Philippe Pinel creò l’istituzione manicomiale perché, da buon medico, considerava la follia una malattia. Il folle era a tutti gli effetti un malato di mente e andava curato tramite l‘internamento. Egli sosteneva che la cura del malato mentale era possibile solo in un ambiente rigoroso e strutturato, al di fuori di influenze esterne e con la presenza costante di un medico a seguire l’evoluzione della malattia. Nonostante queste premesse, negli anni a seguire non ci furono significativi miglioramenti nella cura delle malattie mentali. La frustrazione per i ripetuti insuccessi nella cura della follia portò alla ricerca di metodi terapeutici sempre più cruenti e spesso inefficaci come la malarioterapia, l’insulinoterapia, la lobotomia frontale, lo shock cardiazolico e l’elettroschock. Mentre con i sistemi di contenzione, le botte e le celle di isolamento si tentava di mantenere una parvenza di ordine là dove regnava il caos. Questa situazione di drammatico immobilismo e di impotenza terapeutica nei confronti della patologia psichica fu interrotta nel 1952, quando fu scoperto per caso il primo psicofarmaco, lacloropromazina, attiva sui deliri, sulle allucinazioni e sullo stato di grave agitazione tipico della schizofrenia.Con la scomparsa delle gravissime crisi psicomotorie nei malati più seri, distruttive e autodistruttive, impressionanti per chi vi assisteva, i farmaci cominciarono poco a poco a prendere il posto dei famigerati “strumenti di contenimento”. In questo clima di cambiamento nasce negli anni sessanta, nel periodo della contestazione, il movimento della “antipsichiatria”. Si trattava di un’ideologia politica priva di solide basi scientifiche, che partendo dal presupposto che la malattia mentale fosse“solo il prodotto delle distorsioni della società capitalistica”, che“aveva inventato i manicomi per segregarvi i dissidenti”, giunse inevitabilmente a pretendere la chiusura di quelle carceri camuffate e la liberazione dei matti ivi prigionieri.Questa posizione si rivelò vincente, quando la battaglia per la chiusura dei manicomi si concluse nel 1978 con l‘approvazione della legge Basaglia. Il “S. Lazzaro” è una struttura che risale a novecento anni fa, nata in origine come luogo destinato ad assistere i lebbrosi. Già a partire dalla prima metà del Cinquecento si predispone ad accogliere “invalidi, decrepiti, storpi, epilettici, sordomuti, ciechi e paralitici” e dal Settecento si trasforma in “Stabilimento Generale delle Case de’ Pazzi degli Stati Estensi” per accogliere i soli “poveri mentecatti”. Nel 1821 ne assume la direzione il medicoAntonio Galloni, il quale pone mano a un’operazione di rinnovamento della vita dell’istituto ispirandosi ai principi della moderna alienistica francese: abolisce i sistemi repressivi e organizza numerose attività lavorative in cui vengono occupati i ricoverati. Tra queste mura soggiornò più volte anche il famoso pittoreAntonio Ligabue, chiamato “El Matt” dai contadini di Gualtieri, il paese della bassa reggiana dove viveva. Nel 1937 venne ricoverato per atti di autolesionismo, nel 1945 per aver percosso con una bottiglia un militare tedesco. Quando la Legge comunale e provinciale del 20 marzo 1865 affidò alle Province l’onere del mantenimento dei “mentecatti poveri” e della costruzione di pubblici stabilimenti destinati alla loro cura e custodia, il primo atto dell’Amministrazione provinciale di Milano fu quello di aprire un manicomio a Mombello, vicino alla settecentesca Villa Crivelli-Pusterla, la tenuta scelta da Napoleone per proclamare la Repubblica Cisalpina. Era il 1872. I ricoverati erano suddivisi sulla base del comportamento in “tranquilli”, “agitati”, “sudici”, “lavoratori” e così via. Solo i cosiddetti “agitati” erano tenuti in isolamento, tutti gli altri erano impiegati in attività lavorative considerate terapeutiche.Qui fu internato qui anche il figlio illegittimo diBenito Mussolini, Benito Albino, nato nel 1915 dalla sua relazione con Ida Dalser. Benito Albino entrò a Mombello nel 1935 per essere messo nel reparto agitati, tra pidocchi e scarafaggi, sottoposto a shock insulinici ed elettroshock ripetuti. Morì di consunzione nel 1942. A causa del sovraffollamento creatosi negli anni all’Ospedale psichiatrico provinciale di Mombello, nei primi anni del Novecento la Provincia di Milano decise l’acquisto di un terreno nel quartiere di Affori, alla periferia nord della metropoli, per costruirvi un edificio da adibire a succursale manicomiale. Iniziati al termine della Prima guerra mondiale, i lavori di costruzione vennero ultimati nel 1924. Nel 1945 il manicomio di Affori, situato in via Ippocrate 45, fu intitolato allo psichiatra Paolo Pini, scomparso in quell’anno. A partire dal secondo dopoguerra il Paolo Pini divenne l’ospedale psichiatrico più importante di Milano, scalzando il primato di Mombello, che fu per così dire relegato al ruolo di cronicario. Qui fu ricoverata la famosa “poetessa dei Navigli”Alda Merini, dal 1965 al 1972.“Lì ho subito la sterilizzazione e più di cinquanta elettroshock, che tuttavia non hanno scalfito la mia personalità e il mio amore per la vita: il mio amico Fornari, che all’epoca mi teneva in cura, diceva spesso che il manicomio è come la rena del mare, se entra nelle valve di un’ostrica genera perle”, ricordava la poetessa. La costruzione dell’Ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi iniziò a Napoli a Capodichino nel 1897, in seguito ai problemi di sovraffollamento del manicomio di Aversa, che era arrivato a ospitare oltre ottomila internati. All’epoca della sua costruzione la struttura, concepita a padiglioni staccati collegati tramite passaggi porticati, era considerata assolutamente moderna e un motivo di vanto per tutta la regione. L’occupazione iniziò nel 1909 e, l’anno seguente, terminati finalmente i lavori di costruzione, il numero degli infermi ospitati era già superiore a mille. Tra questi anche l‘anarchico puglieseEmilio Caporali, che il 13 settembre del 1889 aveva lanciato un sasso contro il primo ministro Francesco Crispi. I periti convocati giudicarono Caporali pazzo anche sulla base di una serie di misure antropometriche raccolte seguendo le teorie lombrosiane:«la grande apertura delle braccia, superiore alla statura»;«la disarmonia di sviluppo degli arti superiori»;«la deviazione del naso»;«l’aderenza dei lobuli auricolari»;«la sporgenza dei globi oculari». Questa storia è splendidamente raccontata da Anna Marchitelli nel libro “Tredici canti”. Il manicomio di San Salvi a Firenze, intitolato alla memoria dello scienziato Vincenzo Chiarugi, fu aperto ufficialmente nel 1891 allo scopo di dar vita a una struttura moderna, più rispondente alle nuove teorie che si stavano affermando in campo psichiatrico. Teorie di cui il Chiarugi era stato il più illustre e accreditato rappresentante in Italia a cavallo tra Sette e Ottocento.