IL BATACLAN: PARIGI PRIMA E DOPO

Il 13 novembre 2015 a Parigi ci furono una serie di attacchi terroristici nel I, nel X e nell’XIarrondissement, i circondari amministrativi di cui è composta la città. I terroristi attaccarono anche lo Stade de France a Saint Denis, dove si sono giocati i mondiali di calcio del 1998, nella regione dell’Île de France a 20 km da Parigi. Gli attacchi si susseguirono a distanza di pochi minuti. Con l’aiuto dei cellulari e dei social i testimoni li resero immediatamente noti.L’attacco più grave avvenne alBataclan, un teatro in cui si stava svolgendo un concerto rock degliEagles of Death Metal, in cui rimasero uccise 90 persone.Complessivamente, in quegli attacchi terroristici morirono 137 persone, di cui 7 attentatori. Rimasero ferite 368 persone. I terroristi, che rivendicarono gli attentati, si proclamarono appartenenti allo Stato Islamico comunemente noto come Isis. La notizia di quello che stava accadendo a Parigi si diffuse immediatamente in tutto il mondo.Molte persone assistettero quasi in diretta agli eventi. Alcuni telefonarono ai parenti, altri mandarono fotografie. I parenti di coloro che si trovavano a Parigi tentavano di rintracciarli. Credo che l’attentato al Bataclan abbia diviso Parigi in due: il periodo prima del Bataclan e il periodo dopo il Bataclan. Questo è successo non solo a Parigi, perché molte delle vittime erano di altre nazionalità, dal momento che la metropoli è una città internazionale. L’attentato ha avuto ripercussioni in tutto il mondo. Ho deciso di intervistare coloro che erano stati toccati dall’evento per riuscire a capire come sono cambiati e come siamo cambiati tutti noi dopo quei fatti. Ecco le tre interviste. Il nostro primo testimone è il fratello di un giovane italiano emigrato in Francia nel 2010.A sentirlo parlare dà l’idea di essere molto affezionato al fratello, che, quando era emigrato la prima volta in Francia, era andato a lavorare a Nizza, in Costa Azzurra. Lui andava a fargli visita regolarmente.Nonostante fosse già avvenuto l’attentato dell’11 settembre 2001 alle torri di New York, non aveva mai temuto che il fratello potesse essere in pericolo in Francia a causa del terrorismo. Attentati a Parigi, Bataclan “Ho saputo dell’attentato la sera stessa, quasi in diretta. Se devo essere sincero me la sono fatta sotto. Stavo aspettando con degli amici di andare a ballare e, mentre aspettavo, armeggiavo con il telefono cellulare epam!, mi apparve una news dell’ultima ora. Diceva che c’erano stati degli attentati a Parigi con 200 morti”. “Allora ho pensato subito a mio fratello. Si trovava a Parigi per lavoro con la giovane moglie. Erano sposati da pochi mesi. Gli ho telefonato. La linea era molto disturbata, si sentiva un forte vociare in sottofondo. Allora ho cominciato ad urlare per cercare di farmi sentire”. “Chiedevo ai miei dove fossero. Li ho informati che avevamo saputo che c’erano stati degli attentati. Loro abitano a Boulogne-Billancourt, che è una zona piuttosto tranquilla, non troppo multietnica, dove una volta c’erano gli stabilimenti della Renault e adesso dei quartieri residenziali. Parecchie aziende che avevano la sede a Londra, dopo la Brexit cioè l’uscita dell’Inghilterra dalla comunità europea, l’hanno lasciata e si sono stabilite lì per non essere considerate extra-comunitarie”. Ride un po’ imbarazzato perché ha detto che la città di Boulogne-Billancourt (fa comune a sé) non è piena di neri o di arabi. Non vorrebbe essere preso per razzista. “Anche mio fratello gridava per farsi sentire. Era alleHalles, in un ristorante con la moglie e un collega di lavoro”. “Mi è preso un colpo, ero stato alle Halles pochi giorni prima quando ero andato a trovare mio fratello. È una zona molto popolosa, vicina a dove sono successi gli attentati di quella dove vive mio fratello. Allora gli ho chiesto come era la situazione e dove si trovava lui. Speravo fosse tutto tranquillo”. Il Bataclan, dove il 13 novembre 2015 alle ore 21,48 gli attentatori sparano sulla folla “Mi ha risposto che una sua collega di lavoro era andata al concerto rock al Bataclan dove si esibiva il gruppo rock americano Eagles of Death Metal. Dalle telefonate che stava ricevendo, il Bataclan era l’epicentro degli attentati. I terroristi avevano preso gli spettatori in ostaggio e li stavano uccidendo. Mio fratello e la moglie non erano in pericolo, ma non riuscivano a tornare a casa. Non trovavano un taxi. Tutti li stavano chiamando al telefono. Lui aveva troppa paura per prendere la metro. Non sapeva neppure se fosse aperta e se funzionasse, ma aveva paura di trovarsi intrappolato nella metropolitana”. Biglietto del concerto degli Eagles of Death Metal del 13 novembre 2015 al Bataclan “Quando ho capito che era molto preso, ma ragionava e cercava di fare il possibile, ho pensato che era meglio non stargli troppo addosso, lasciandolo pensare con calma”. Al nostro testimone spiaceva un po’ che suo fratello vivesse lontano da lui. Quando si ritrovavano andavano al cinema insieme, leggevano e si scambiavano i fumetti, andavano al mare insieme. L’idea di farlo emigrare in Francia era stata di sua madre. Lui non era per niente d’accordo. “Ho sempre pensato che non fosse stata una grande pensata. In realtà, chi emigra va lì come un povero mendicante. Anche mio fratello, che è un ingegnere, è sempre trattato come uno straniero. Chi emigra deve adattarsi ai francesi e non è giusto”. “Per come la vedo io, era meglio se fosse restato in Italia, se fosse stato meno ambizioso e si fosse adattato a fare un lavoro meno prestigioso. Era meglio se si fosse accontentato di uno stipendio più basso. Poi bisogna sempre considerare le spese. Parigi è una città cara. Penso che, benché lui sia parsimonioso, non risparmi niente”. “Comunque, poi mi ha chiamato per dirmi che era riuscito ad arrivare a casa ed che era tutto a posto”. Ridacchia per nascondere l’emozione e l’imbarazzo. Quando è emozionato e parla dei francesi tira fuori la storia delbidet. È un tormentone. I francesi, pur avendo inventato il bidet, adesso non lo usano. Non troverete un bidet nei loro bagni. “Mi sembra impossibile che lui si debba adattare a gente che non usa neppure il bidet… mi sembra incredibile. È una questione di civiltà. Come puoi definirti civile se non usi il bidet?Forse lo dico per sdrammatizzare lasituazione che era davvero tragica. Gli attentati si susseguivano uno dietro l’altro e i morti aumentavano”. “Comunque non ho telefonato a mia madre per avvisarla di quello che stava succedendo. Non sta bene, sarebbe solo servito a terrorizzarla”. Che cosa è accaduto all’interno del Bataclan La madre del giovane ingegnere che era alle Halles di Parigi durante l’attentato, stava dormendo di un sonno profondo. Non stava bene, aveva subito due operazioni al cuore e prendeva molte medicine. Dormiva di un sonno di piombo, probabilmente indotto anche dai numerosi medicinali che assumeva.Forse se l’avessero chiamata sarebbe stato inutile perché metteva i telefoni in carica in una camera distante dalla sua camera da letto. “Ero andata a letto presto. Ed ero convinta che mio figlio e mia nuora fossero a casa. Il venerdì sera di solito non escono, sono stanchi. Noi ci sentivamo spesso. Anche adesso che c’è il Covid ci sentiamo ogni due o tre giorni”. La donna pensa spesso a quelle povere madri degli emigranti del Novecento o dei secoli passati che non vedevano più i figli quando emigravano. Sua nonna aveva una sorella che era emigrata in Francia dopo la Seconda guerra mondiale. Rivedeva la sorella forse una volta all’anno, quando i figli l’accompagnavano in Italia. Succedeva ancora peggio prima.Un antenato di suo marito era emigrato negli Stati Uniti dopo l’unità d’Italia. La madre non lo vide più, non ne seppe più nulla finché non giunse la notizia che era stato ucciso.Lei invece era fortunata, manteneva i rapporti con il figlio: si spedivano libri, cibo, si scambiavano mail. Stavano insieme d’estate. Si erano visti anche durante il Covid, il figlio era venuto con tutta la famiglia. Parla della notte del Bataclan in modo accorato.“La notte del Bataclan era un venerdì sera.Il mattino dopo, un sabato, saranno state le sette, sono andata con mio fratello a prendere il giornale. All’epoca lo facevo tutte le mattine. Adesso invece, che c’è il Covid, mi porta lui il giornale. Mio fratello mi chiese a voce bassa se avessi sentito qualcosa degli attentati a Parigi. “Mi venne la pelle d’oca. Ero inorridita.Intanto eravamo arrivati davanti al Bar Tabaccheria che vende anche i giornali. Sono scesa dall’auto e ho comprato la Stampa, ma non riuscivo a leggerla. Non ce la facevo”. “Chiesi a mio fratello che cosa sapesse. Mi rispose che mio figlio, il grande, gli aveva telefonato alle 11,30 della sera precedente per dirgli che c’erano stati degli attentati a Parigi”. Ancora adesso mentre ne parla appare sconvolta. Ma non grida, non si lamenta. È una piemontese anziana. Le hanno insegnato a non esibire i sentimenti, a sopportare e a parlare a bassa voce. “Non sapevo che fare. Telefonare a mio figlio maggiore sarebbe stato inutile. A quell’ora del mattino sicuramente non mi avrebbe risposto. Provare a chiamare mio figlio in Francia? Composi il numero francese… Come avevo pensato, si inserì la segreteria”. “Chiesi a mio fratello perché non avesse chiesto qualcosa di più e lui mi rispose che pensava che io sarei stata molto più informata di quanto avrebbe mai potuto essere lui. Ma i miei figli mi avevano protetta dal dolore: non mi avevano fatto sapere nulla mentre gli attentati stavano succedendo.Da una parte, quando l’ho saputo, ho avuto dei tremendi sensi di colpa perché ero stata proprio io ad accompagnare mio figlio minore a Nizza al primo colloquio per emigrare”. “Lo avevo accompagnato per essere sicura che si presentasse al colloquio. Sapevo che lui era molto combattuto sulla decisione di emigrare e pensavo fosse un mio preciso dovere sostenerlo. Io lo avevo spinto ad andarsene. Ma il giorno dopo i fatti del Bataclan non ero più così sicura di aver preso una giusta decisione.All’epoca in Italiaaveva trovato solo un lavoro sottopagato e precario a Milano. Io sentivo le mie amiche, nessuna voleva che il proprio figlio andasse a lavorare all’estero. Noi donne, almeno la mia generazione, siamo state educate a non avere nessuna ambizione. Ci hanno detto che c’è una specie di maledizione per cui volere il successo porta sgarro. Anche volere il successo per il proprio figlio porta sgarro.Mi sembrava che per la chiesa cattolica la mia fosse stata una forma di ribellione. Lavorare coscientemente al futuro del proprio figlio forse significava ribellarsi alla volontà di Dio. Io non credevo in queste superstizioni. Cioè, non ci volevo credere. Fin da bambina in Chiesa ho sentito la lode dell’umiltà, la critica di qualsiasi comportamento grintoso come un tentativo di tenere le donne in prigione.Forse è capitato perché mio padre mi amava e mi ripeteva che qualsiasi cosa avessi voluto fare, se non fosse stato indispensabile quel pezzo di carne lì di cui le donne non erano dotate, sarei stata capace a farlo pure io e magari pure meglio”. Il volo di Icaro “Ci si mette sempre anche Umberto Galimberti nell’ultima pagina di D, l’inserto del sabato di Repubblica, a criticare lahybris, cioè la tracotanza dell’uomo che vuol forgiare il proprio destino, che non è umile.Per me l’uomo e pure la donna hanno il dovere di forgiare il proprio destino”. Vittime del Bataclan “Però i morti sono morti, non c’è niente da fare. E quando li vedi in televisione ti cambia la prospettiva”. Il giovane ingegnere italiano che vive a Parigi non indossa giacca e cravatta, mai. Ama il grigio e il blu scuro. Porta maglioni a collo alto e una vecchia borsa di cuoio con la tracolla. Sorride spesso dietro la mascherina. È molto felice perché adesso ha una bambina. Stazione della metropolitana di Parigi: Chaussée d’Antin, La Fayette