I 10 MIGLIORI FUMETTI ITALIANI DEGLI ANNI ’80

I 10 MIGLIORI FUMETTI ITALIANI DEGLI ANNI ’80

Gli anni ottanta furono un periodo di profonda trasformazione per i fumetti italiani. All’improvviso le edicole, che nel decennio precedente erano straboccanti di fumetti, cominciarono a svuotarsi. Il fumetto subì in maniera letale la concorrenza delle serie televisive, che le prime televisioni private portavano ogni sera gratis nelle case degli italiani.

Numerose storiche case editrici medie come l’Editoriale Corno e l’Editrice Cenisio chiusero i battenti e diversi professionisti del settore rimasero senza lavoro. Nondimeno per alcuni anni l’Italia vide comunque la fioritura di talenti su riviste come Alter Alter, Frigidaire e Orient Express, facendo del nostro paese un centro della produzione fumettistica di alta qualità.
Anche il fumetto popolare riprese forza e vigore grazie al successo di nuovi personaggi Bonelli, come Martin Mystère e soprattutto Dylan Dog.

Come al solito (vedi i fumetti italiani degli anni sessanta e quelli degli anni settanta) abbiamo selezionato dieci tra i capolavori fumettistici più significativi del decennio elencati in ordine puramente cronologico.

Stefano Tamburini e Tanino Liberatore – Ranxerox (1980)

Quando la redazione del settimanale satirico Il Male si vide recapitare una diffida dalla Xerox preoccupata per il fatto che il proprio marchio potesse essere accostato a un personaggio “le cui imprese sono un concentrato di violenza, oscenità e turpiloquio”, la risposta di Tamburini fu: “E io me vedrò costretto a romperve er culo!”. In realtà per l’esordio su Frigidaire il nome fu cambiato da Rank Xerox a Ranxerox, ma l’essenza del personaggio rimaneva invariata.
Il personaggio con il nome originale era nato su Cannibale nel 1978, scritto e disegnato da Stefano Tamburini, aiutato da Tanino Liberatore e Andrea Pazienza.

I 10 MIGLIORI FUMETTI ITALIANI DEGLI ANNI OTTANTA


Ranxerox è un protagonista assolutamente improbabile, un androide fabbricato con i pezzi di una fotocopiatrice che vive storie che sono un concentrato di violenza, sangue, sesso e droga mai visto prima nel fumetto italiano. Pure i personaggi di contorno sono senza eguali, a partire dalla dodicenne Lubna tossica e sessualmente attiva (in seguito resa meno giovane per questioni di opportunità); proseguendo con Raniero, l’artista telepatico e suo figlio Giorgio Fox, il più autorevole critico d’arte della capitale. Infine, forse più protagonista del protagonista, una Roma futuristica e disumana, lucido presagio di un incubo destinato a diventare realtà.
Sono tutti retaggi del fumetto underground, trasformato in una distopia allegra come un film splatter.

Ilaria Volpe e Magnus – Necron, “La fabbricante di mostri” (1981) 

All’inizio degli anni ottanta Magnus (Roberto Raviola) non godena ancora del riconoscimento della critica come autore completo. Quello verrà dopo, quando comincerà a pubblicare sulle cosiddette riviste d’autore. Ma l’essenza di Magnus è contadina e lui dava il meglio di sé nel fumetto popolare. Forse si dovrebbe dire nel fumetto di “serie B”, che lui con la sua arte catapultava in serie A.
Insomma, se negli anni ottanta realizzerà una vasta produzione di fumetti di alta qualità che lo faranno conoscere in tutto il mondo, non è detto che quelli rappresentino il suo apice. In ogni caso, il fumetto più bello del Magnus degli anni ottanta è Necron.

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«Era un periodo duro, avevo necessità di lavorare e mi ritrovai fra le mani il progetto di Necron, ma era troppo duro, non poteva andare. Fu allora che capii con quali invenzioni potevo aiutarlo. Dovevo tramutare il Necron di Renzo Barbieri nel Necron che intendevo io, il mio Necron di ora; dovevo renderlo meno cupo e più ironico e buffo, senza togliere nulla alla sua sfacciata pornofilia; farlo diventare un burattino a suo modo pieno di allegria, dal freddo assassino che era; dovevo riscaldarlo, in pratica, con una certa simpatia».
A questo mostro evidentemente ispirato a Ranxerox, sceneggiato da Ilaria Volpe su richiesta dell’editore Barbieri, viene affiancato la dottoressa Frieda Boher, una mistress necrofila che lo sottomette come un bambino pervertito e il gioco è fatto. Per i disegni, qui Magnus sperimenta una sorta di linea chiara che rappresenta una svolta nel suo stile.

Andrea Pazienza – “Giorno” (1981)

Nel gennaio 1983, sul n. 3 della rivista più giornalistica che fumettistica di Frigidaire viene pubblicato “Giorno”, che, come dice il sottotitolo, è: “Un distillato di angosce di Andrea Pazienza”. Infatti è proprio così.
Qualcosa sta cambiando. La goliardia apparentemente senza pensieri di “Perché Pippo sembra uno sballato” sta cedendo il passo a un orizzonte più cupo. Nei fumetti di Andrea Pazienza fa capolino la violenza reale.
“Giorno” inizia di notte.

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Ed è ancora notte mentre si sta consumando la personale tragedia di Sergio, che crede di essere stato tradito dalla sua fidanzata. Poi un’alba allucinata proietta le sue ombre su Bologna. Le prime angosce salgono ribollendo come il caffè. Enrico deve superare l’esame all’università, altrimenti partirà per il servizio militare. Un tipo senza nome non sa come sbattere fuori dalla sua casa tre amici che se ne sono impadroniti. Nessuna delle tre storie finirà bene. Una addirittura terminerà in un bagno di sangue. “Che giorno di merda” sarà il commento finale di uno dei tre protagonisti della storia di Andrea Pazienza.

Vittorio Giardino – Max Fridman, “Rapsodia ungherese” (1982)

C’è una linea diritta che collega Hergé a Vittorio Giardino. È una linea chiara. Un contorno preciso, quasi infallibile, che rende perfetti anche gli oggetti all’apparenza di poco conto: i portaceneri, i mozziconi di sigaro, le tazze di porcellana, i telefoni, i libri, le bottiglie di cognac, i manifesti per le strade. È un modo di raccontare che mira alla perfezione. Giardino mira alla costruzione di uno spazio magico, dove appartarsi per tutta la durata del racconto. Uno spazio dove il tempo sembra sospendere per un lungo attimo il suo fluire per strapparti al tuo quotidiano e portarti in un mondo incantato.

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Un mondo dove qualcuno sta uccidendo i componenti di “Rapsodia ungherese”, un nucleo dei servizi segreti francesi e dove il flemmatico Max Fridman viene richiamato in servizio per recarsi a Budapest e cercare di scoprire l’autore di questi omicidi. Ne nascerà un capolavoro dove primeggia su tutto uno dei più struggenti personaggi femminili di Giardino, la bella Etel Moget, indimenticabile quando si toglie gli occhiali e indossa un intrigante abito azzurro.

Filippo Scozzari – Il mar delle blatte (1983)

“Il mare a perdita di vista, senza una terra all’orizzonte, sotto la cappa affocata del cielo, appariva nero come l’inchiostro e di una lucentezza funebre. Una quantità sterminata di blatte, tanto fitte da non lasciar occhieggiare l’acqua di sotto, lo copriva per tutta la sua distesa”Tommaso Landolfi era uno scrittore visionario, quella di un mare completamente nero poiché ricoperto da scarafaggi rimane una delle immagini più potenti della letteratura italiana.

I 10 MIGLIORI FUMETTI ITALIANI DEGLI ANNI OTTANTA


Appena lesse il breve racconto Filippo Scozzari rimase folgorato e si mise subito a lavorare alla trasposizione a fumetti, che fu pubblicata in quattro puntate tra il marzo e l’agosto del 1983 sulle pagine della rivista Frigidaire (numeri 28, 30, 31 e 32/33).
Molti considerano “Il mar delle blatte” il suo capolavoro. A livello di sceneggiatura Scozzari rispetta quasi alla lettera il testo di Landolfi. A livello grafico mette in mostra uno stile precisissimo ed elegante, che trova, nei colori acidi e squillanti che lo caratterizzano, la sua marcia in più.

Hugo Pratt e Milo Manara – “Tutto ricominciò con un estate indiana” (1983)

All’inizio degli anni ottanta Milo Manara è ormai considerato uno dei migliori disegnatori italiani. Opere come “HP e Giuseppe Bergman”, “L’uomo di carta” e soprattutto “Il gioco” ne hanno sancito la statura di star. Peccato che spesso i testi lascino un po’ a desiderare. Cosa potrebbe succedere se si mettesse Milo Manara assieme con Hugo Pratt? Questo devono aver pensato nella redazione di Corto Maltese, l’elegante rivista della Milano Libri – Rizzoli.


Detto e fatto. Hugo Pratt confeziona per Milo Manara una delle storie più belle sulla frontiera americana che impreziosisce,a differenza dagli altri suoi lavori, stimolato dalle inclinazioni del suo giovane collega, con un esplicito elemento erotico. Una componente comunque funzionale al racconto, il quale prende una direzione sensuale e “morbosa” che affascina e incuriosisce.
La fanno da padrone le protagoniste femminili, tutte dotate di una travolgente carica erotica che attraversa il racconto storico apportando vitalità e calore.

Alfredo Castelli e Giancarlo Alessandrini – Martin Mystère, “La spada di re Artù” (1983)

Quando nel 1981 Alfredo Castelli vide i Predatori dell’arca perduta dovette identificarsi completamente nel personaggio di Indiana Jones, uomo di vasta cultura e amante dell’avventura, proprio come lui. Anche se l’interesse per l’avventura nel suo caso è da intendersi in senso letterario.
Soprattutto, Indiana Jones assomigliava molto al personaggio che Castelli teneva nel cassetto da qualche anno e che aveva provvisoriamente chiamato Allan Quatermain, come il protagonista del romanzo “Le miniere di re Salomone” (1885), di Henry Rider Haggard. Forse i tempi erano maturi.


Il personaggio esordi nel 1982, con il nome di Martin Mystère. Nel suo composito universo fanno parte l’assistente neanderthaliano Java, la sua compagna Diana Lombard, gli intigranti Uomini in Nero, il suo amato Mac e la sua improbabile pistola a raggi. Con l’episodio “La spada di re Artù”, disegnato da Giancarlo Alessandrini, Castelli ci fa viaggiare dagli Usa all’Austria, dalla Svizzera all’Italia fino all’Inghilterra, attraverso un plot perfetto. Infila nella storia un numero impressionante di miti, personaggi e oggetti esoterici: Excalibur, Re Artù e Merlino, la lancia di Longino, Hitler, le società segrete, il mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto, i bassorilievi di quella di Modena, extraterrestri e tecnologie futuristiche. Poteva uscirne un minestrone e invece è una delle storie più belle degli anni ottanta (mi sa che hai cannato, sono meglio “Il sabba delle streghe” e “La falce del druido” – NdR).

 

Lorenzo Mattotti – “Fuochi” (1984)

Lorenzo Mattotti appare quasi dal nulla nel 1984 con “Fuochi”, a suggerire a tutti nuove possibilità espressive per il fumetto. In realtà era nel mondo della letteratura disegnata dal 1975, avendo pubblicato varie cose su Re Nudo, Gong, Lotta Continua ed Eureka. Raggiunge la notorietà nel 1983 quando entra a far parte del gruppo Valvoline pubblicando su Alter Alter “Doctor Nefasto”.
Ma “Fuochi” è un’altra cosa. Tutta un’altra cosa.


La prima pagina si compone di due grandi macchie verdi su uno sfondo azzurro. Sembra un disegno astratto. Solo dopo ti accorgi che c’è una nave. Il colore ti assale. Ti invade. I disegni quasi non li vedi. A pagina quattro chiazze rossastre spiccano nel buio. Sono i “fuochi” del titolo.
Pian piano capisci che con scarne tracce di pastello grasso Mattotti sta dando vita ad un ossessione. La storia all’inizio proprio non l’avevi calcolata, tanto ti eri perso nella magia del colore. Ma cresce poco a poco, pagina dopo pagina. E diventa il racconto incredibile del tenente Assenzio che ha “ucciso per difendere le sue emozioni”.

Paolo Eluteri Serpieri – Druuna, “Morbus gravis” (1985)

Diventato noto su Lanciostory per le sue pudiche storie western disegnate con un segno plastico e accademico, molto riconoscibile, Paolo Eluteri Serpieri vira improvvisamente nel 1982 verso il genere fantascientifico con la storia breve “Forse”, pubblicata dalla rivista Orient Express, che presenta già molte delle suggestioni che sanciranno il successo di Druuna.
Apparsa per la prima volta nel 1985 sulla rivista Pilote, Druuna avrà subito un vasto successo di pubblico (almeno quello composto dai raffinati “fumettofili”) e diventerà in breve una delle eroine più sexy e conturbanti del fumetto mondiale.


In una città suddivisa in piani di un futuro distopico, un terribile morbo colpisce gli esseri umani trasformandoli in mostri cannibali che sono preda di un’inarrestabile frenesia sessuale. Contro questo “Morbus gravis” esiste un siero che Druuna, una ragazza dalle forme generose sempre in bella mostra, cerca di procurarsi prostituendosi.
Inizialmente il personaggio principale non doveva essere femminile. “Andando avanti ho visto che la storia mi prendeva e ho continuato, scoprendo che in realtà Druuna era la protagonista”. Per nostra fortuna. 

Tiziano Sclavi e Giampiero Casertano – Dylan Dog, “Memorie dall’invisibile” (1988)

Per il fumetto mondiale il 1986 rappresenta un’annata unica, forse irripetibile: fu l’anno di Watchmen e del Ritorno del Cavaliere Oscuro, tra gli altri. Per il fumetto italiano il 1986 verrà ricordato come l’anno di nascita di Dylan Dog, l’eroe di Tiziano Sclavi che rappresentò un vero e proprio momento di rottura e di rinnovamento.
Le storie di mostri non erano una novità nel fumetto, Tiziano Sclavi ribaltò la prospettiva rivelando ciò che si sapeva da sempre: i veri mostri non sono fuori, ma dentro di noi. Lo sceneggiatore di Broni scrisse tutti i numeri di Dylan Dog fino al 19, “Memorie dall’invisibile”.


Sono una serie di storie rivoluzionarie scritte in uno stato semiallucinato, dove l’autore più che sull’assoluta coerenza è concentrato sulle emozioni. Tiziano Sclavi i mostri li aveva dentro, eccome.
Scrivere Dylan Dog è stata per lui una specie di terapia che lo ha aiutato a tirarli fuori e, forse, a sconfiggerli. Oppure il contrario, stando ad alcune sue affermazioni.
Non ci sono dubbi, comunque, sul fatto che “Memorie dall’invisibile” sia una delle migliori storie di Dylan Dog. Un concentrato di amore, poesia e sensibilità fa di questo diario di un signor “nessuno” un capolavoro. Con questo episodio disegnato da Giampiero Casertano il fumetto popolare diventava fumetto “d’autore”, anche se purtroppo gli epigoni non saranno all’altezza del maestro.




 

2 commenti

  1. De gustibus. Io di Druuna, Ranxerox, Scozzari e quel Pazienza faccio tranquillamente a meno…

  2. Condivido la scelta. Pazienza su tutti, ma è stata una stagione florida con alcune eccellenze fra le quali mte citate e descritte nel post.
    Erano anche gli anni di esordio di Bacilieri, con le storie su Barokko. Di lui si essere in lavorazione un fumetto biografia su Piero Manzoni, qualcuno ne ha notizia?

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