HOKUSAI, “L’INVENTORE” DEI MANGA

Tra l’estremo occidente e l’estremo oriente del continente eurasiatico c’è stata, nei millenni, una continua influenza reciproca in campo artistico.
Durante la Grecia classica, piccoli oggetti decorati con disegni e statuette sono arrivati, attraverso la via della seta, fino in Serica (la Cina). Grazie a questo contatto lo stile cinese, da astratto che era, divenne improvvisamente realistico (come accadde in India dove i greci arrivarono fisicamente da conquistatori con Alessandro il Grande). Senza il lontano influsso greco, secondo me, non avremmo mai avuto il realistico esercito di terracotta trovato a Xian, l’antica capitale cinese.
In Cina non credo siano mai state scoperte anfore dipinte o statuette greche, perché queste dovevano essere molto rare e fragili. Alcune sono state però trovate nel Turkestan, il deserto attraversato dalla via della seta, dove sono state perse durante il trasporto.
Tra il 1200 e il 1300, furono invece gli oggetti d’artigianato provenienti dal Catai (sempre la Cina) ad arrivare in Europa. Questo era stato possibile grazie alla pax mongolica, la quale aveva riaperto la via della seta permettendo i viaggi della famiglia veneziana Polo e di altri mercanti. Manufatti che ravvivarono l’arte decaduta dell’Europa. Una prova di questa influenza? Giotto dipinge i draghi alati nello stile cinese, mentre prima venivano rappresentati nelle maniere più diverse.
Non solo i draghi, ma anche i disegni degli esseri umani realizzati dai cinesi dovevano avere influenzato Giotto e gli artisti italiani contemporanei perché, all’improvviso, la fissità bizantina viene sostituita da facce espressive e figure dinamiche. Una delle prime grandi statue equestri eretta nel medioevo italiano è il perfetto ingrandimento di una statuetta Tang (purtroppo non ricordo quale statua equestre sia: quando mi torna in mente lo scrivo). L’arte bizantina, quindi, diventa rinascimentale solo dopo avere appreso dai cinesi gli elementi intermedi che permettono di affrontare la difficile tecnica classica greco-romana. Ancora in Paolo Uccello, all’alba del rinascimento, scorgo un non lontano influsso cinese.
Nel cinquecento, dopo avere circumnavigato l’Africa, i vascelli europei approdano direttamente nei porti dell’estremo oriente, e l’influenza artistica nei due sensi aumenta ancora. Fino ad arrivare ad autori giapponesi come Kitagawa Utamaro e Katsushika Hokusai, vissuti entrambi tra settecento e ottocento, che hanno guardato con attenzione ai pochi esemplari d’arte occidentale, per lo più stampe, che riuscivano a penetrare nei confini del loro paese: agli occidentali era proibito commerciare nel Paese, salvo alcuni olandesi dislocati in un isolotto davanti Osaka. Il governo dello shogun aveva sventato in tempo il tentativo dei missionari cattolici di cristianizzare il Giappone partendo da Nagasaki: se fossero riusciti a privarli delle loro tradizioni, la cultura dei giapponesi sarebbe scomparsa come quella dei maya e degli incas.
Grazie ai commerci dei pochi olandesi laici autorizzati, l’arte occidentale riuscì a penetrare abbastanza: basti osservare questa opera erotica di Utamaro, dove il realismo europeo si impone sulla stilizzazione della tradizione nipponica.
A loro volta, Utamaro e Hokusai influenzarono l’arte europea attraverso i preraffaelliti, gli impressionisti, l’art noveau e altri movimenti artistici. Per non parlare di singoli artisti nippofili come Vincent Van Gogh. Lo stesso parafumettaro Antonio Rubino, nato alla fine dell’ottocento e dal primo novecento animatore del Corriere dei Piccoli, da giovane ricalcava i disegni di Hokusai per impadronirsi del suo stile.
Katsushika Hokusai (1760-1849) è considerato anche il precursore dei fumetti giapponesi, perché chiamava “manga” (una parola giapponese desueta che indica gli schizzi dei disegnatori) i suoi disegni di argomento vario.
Probabilmente i lavori artisticamente più importanti di Hokusai sono le xilografie policrome, stampe realizzate con matrici di legno. Come la serie paesaggistica con scene di vita quotidiana realizzata a partire dal 1826. A metà ottocento, dopo che gli americani con le loro cannoniere costrinsero il Giappone ad aprirsi al commercio, le opere di Hokusai hanno potuto influenzare potentemente l’arte occidentale.
Per capire quanto artisticamente fosse ingessata l’Europa rispetto al Giappone, si può mettere a confronto due opere a carattere acquatico realizzate agli inizi dell’ottocento: “La zattera della Medusa” dipinta dal rinomato pittore francese Theodore Gericault e la xilografia intitolata “La grande onda di Kanagawa” di Hokusai.
Agli occhi di noi moderni, le figure convulse sulla zattera di Gericault sembrano rigide statue, mentre l’onda di Hokusai che sta per abbattersi sulle imbarcazioni appare quasi più violenta di un’ondata vera.
Inoltre, Hokusai è interessante per la testimonianza visiva che ci ha lasciato del Giappone alcuni decenni prima dell’invenzione della fotografia. Penseremmo che il Giappone feudale fosse radicalmente diviso tra i moltissimi poveri contadini e i pochissimi nobili altezzosi, invece, la realtà che ci viene presentata è più varia e vivace.
Cominciamo ad ammirare questa raccolta di xilografie con una rappresentazione da vicino del monte Fuji, un vulcano spento che sorge non lontano da Tokyo. I rivoli in basso a destra sembrerebbero di lava, invece sono formati dall’acqua della pioggia appena cessata.
Il ponte di legno è descritto con estrema precisione e, allo stesso tempo, stilizzato come un simbolo grafico.
Quante cose in una sola immagine: gli alberi a sinistra contorti come in un giardino zen o in una vignetta horror di Jack Kirby, il Fuji lontano sullo sfondo, i lavoratori che salgono e scendono con i loro pesi, i tetti…
Tanti elementi eterogenei che si amalgamano in un tutto unico di grande forza espressiva.
Una sosta nella pineta per mangiare.
Hokusai posiziona i cappelli di paglia in modo da nasconderci i volti, che pure sapeva disegnare perfettamente. (In un fumetto, salvo eccezioni, non disegnare i volti e le mani è un errore grave). A sinistra ci sono dei pescatori, il fiume quasi non si vede.
Scena quasi onirica vista dall’alto, in una prospettiva che sembra sbagliata ma che forse è corretta.
La salita nel passo montano.
Il bottaio.
L’aquilone. Tra i tanti elementi che compongono questa xilografia, più che il tempio a destra, un ufologo noterebbe subito la complessa “antenna extraterrestre” a sinistra.
Il trasporto delle merci, prima dell’invenzione del motore, era enormemente più conveniente sulle vie d’acqua che su terra. In questo, l’arcipelago giapponese era avvantaggiato.
Paesaggio selvaggio dove il mare si confonde con le montagne e le isole.
Alcuni trampolieri sorvolano il paesaggio (ignoro quali uccelli siano di preciso).
La pesca nel mare immerso nella nebbia.
Cosa fanno i tre personaggi sotto l’albero? Lo misurano, ci giocano o l’adorano? La religione shintoista, essendo animista, scorge divinità ovunque in mezzo alla natura. Ma quando si tratterà di costruire le ferrovie, i giapponesi, pragmatisti, non ci penseranno due volte. Mentre i cinesi, più tradizionalisti, preferiranno non costruirle affatto per non turbare le divinità e gli spiriti degli uomini sepolti in mezzo alla natura. Condannandosi così a un lungo sottosviluppo dal quale sono usciti solo negli ultimi decenni.
Queste panoramiche suggestive esistevano veramente o Hokusai se le inventava? Sono reali, perché i titoli di tutte le opere indicano la posizione geografica senza ulteriori spiegazioni. Questa, per esempio, si chiama: “Il lago Suwa nella provincia di Shinano”.
Hokusai amava mettersi in viaggio per ritrarre cose nuove, in questo senso era più un reporter che un artista convenzionale.
Cosa meglio dei fogli svolazzanti esprimono visivamente la forza del vento? Il rigido stile della pittura europea dell’epoca non avrebbe potuto concepire una scena come questa.
Le assi segate da un grosso tronco squadrato. Pure in casi come questo, dove viene rappresentata un’attività specifica, il titolo dell’opera dà solo le coordinate geografiche.
La barca abitabile tirata a secco. Ancora una volta, tanti dettagli realizzati con un disegno solo apparentemente semplice.
Lavoratori sui tetti di Edo (vecchio nome di Tokyo) nel quartiere dei negozi. A quanto pare, i giapponesi non avevano i camini, che in Europa compaiono nel medio evo. Gli incendi dovevano essere quindi all’ordine del giorno, come nell’antica Roma. Anche di più: mentre le case romane erano fatte di mattoni quelle giapponesi erano di legno.
Mi colpiscono il ponte straordinariamente lungo e il passeggero sul piccolo traghetto che risciacqua il fazzoletto. Il fiume Sumida è davvero così grande? A quanto pare alcune persone preferivano pagare il traghettatore, pur di non percorrere a piedi tutto il lungo ponte.
Essendo quasi tutte le costruzioni realizzate in legno deperibile, sono pochi i monumenti (veramente) antichi in estremo oriente.
Non credo esistesse il turismo, salvo quello diretto verso i santuari religiosi e per andare a fare le cure termali. Qui ci troviamo nella terrazza di un tempio affacciato su uno specchio d’acqua. A giudicare dai bagagli, si veniva anche da lontano.
Bella scena innevata con una casa da tè, da ammirare preferibilmente in estate per rinfrescarsi mentalmente.
Orti d’altura. Stavolta la prospettiva è decisamente sbagliata: l’uomo a sinistra dovrebbe essere meno grande rispetto agli altri più vicini a noi. Le inquadrature dall’alto possono trarre in inganno anche un artista come Hokusai, che per quanto conoscesse un po’ di arte occidentale non doveva avere una cognizione esatta della prospettiva.
Il mulino attinge l’acqua non direttamente dal fiume, ma da una canalizzazione apposita probabilmente in pendenza. Alcuni uomini portano il grano da macinare. A quanto pare, i bambini tenevano le tartarughe al guinzaglio, probabilmente per non perderle.
Si torna al villaggio con la bassa marea, altrimenti bisognerebbe usare la barca.
Imbarcazione dalla forma curiosa…
I titoli delle opere non dicono niente di chiaro. Questo, per esempio, recita: “Yoshida a Tokaido”... forse significa tempio di Yoshida nella provincia di Tokaido.
Navi mercantili che assomigliano a quelle dell’antica Roma: solo tra pochi anni verranno inventate le eliche a motore. Il monte Fuji non manca neppure in questa scena in mare aperto.
I magazzini portuali nei quali vengono stipate le merci a seconda del contrassegno.
Cavalieri al galoppo su quello che sembra essere il terrapieno su un campo di riso. Il quale, in quanto tale, viene allagato periodicamente
Alcune persone sembrano raccogliere cozze coltivate o simili, intorno a un tempietto ad archi sul mare.
Il nebbioso lago di Hakone.
Il monte Fuji si riflette sulle acque del lago Kawaguchi (kawa = carino?).
Viandanti. A sinistra, i servitori riposano dopo avere appoggiato a terra la portantina con una donna a bordo. Lo stesso mezzo di locomozione umano dei ricchi dell’antica Roma.
Falegnameria specializzata in legna per uso domestico. Si noti la dinamicità del lavoratore con le mani tese verso la legna che gli viene lanciata.
Questi signori sono sicuramente dei soldati.
Direi che siamo a una festa con tanto di picnic per celebrare i ciliegi in fiore. Tradizione molto radicata anche nel Giappone d’oggi: ogni anno i quotidiani pubblicano le mappe con l’avanzata dei ciliegi in fiore da Sud verso Nord.
Un trivio (incrocio di tre strade) con tempietto di pietra. Esattamente come in Occidente, dove nei trivi si mettevano le edicole della dea Ecate, poi sostituita con la Madonna.
Si noti la continua varietà dei bagagli, che hanno comunque tutti un aspetto ben definito e ordinato.
La gente si alza all’alba per andare a lavorare nei campi. Noi artistoidi, invece, ci alziamo tardi perché di notte facciamo bisboccia in città. Si sa.
Viaggiando nei pressi del monte Fuji.
I buoi trasportano le pesanti fascine raccolte nel bosco.
Una piantagione di tè, posta tra terra e acqua.
Attraversamento di massa di un guado.
Ehi, finalmente non si vede il monte Fuji!
Invece siamo proprio sulla cima, per osservare la processione di questi devoti alla divinità che presiede al vulcano, immagino.
Sarà forse un caso che questa serie di xilografie si chiami “Vedute del monte Fuji”?
Avete patito abbastanza, ora vi meritate una bella illustrazione senza monte Fuji. Sì, ho capito che volete quella del polpo gigante. Be’, eccovi il disegno erotico di Hokusai realizzato come illustrazione per una serie di libri a tema erotico. Alle gentili signore che desiderano sapere dove si comprano queste deliziose bestie da svago, rispondo che lo ignoro. I tentacoli che si guadagnano un passaggio tra i pertugi femminili sono ancora oggi rappresentati con successo dai cartoni animati per adulti giapponesi.
E siamo finalmente arrivati ai manga di Hokusai, cioè alle migliaia di disegni schizzati di argomento vario pubblicati a partire dal 1814 in 15 volumi, come utile riferimento per gli studenti di disegno. I manga di Hokusai sono innumerevoli, qui vediamo solo pochissimi esempi.
Volti caratteristici ed espressivi, donne vestite e nude, animali esotici, immagini horror (che vengono ridisegnate tali quali dagli artisti giapponesi odierni): l’eredità di Hokusai è immensa.
Insieme ai fumetti veri e propri provenienti dall’America tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, i disegni di Hokusai hanno fortemente influenzato i fumettari giapponesi, che non a caso hanno adottato la parola manga per definirli.
Dopo avere scritto questo articolo, ho trovato un volume di circa 600 pagine pubblicato nel 2012 dalla J-Pop: “Hokusai” di Shotaro Ishinomori, il creatore dei celebri Cyborg 009 e Kamen Rider, nonché di un bel fumetto trasgressivo che abbiamo pubblicato per intero nell’articolo “Sesso e violenza: i primi manga in Italia”.
Be’, questo libro di Ishinomori è una biografia pallosissima: leggetelo solo se siete dei fanatici dell’artista (io ho resistito solo per un centinaio di pagine).
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Bellissimi i lavori di del maestro Hokusai che conoscevo già grazie ad un bellissimo catalogo Skira di una mostra milanese tenutasi anni fa. Oltretutto il maestro ha avuto diversi periodi artistici in ci cambiva addirittura nome. E altrettanto ovviamente i mangaka traggono spunto dalla sua opera.