ENZO TORTORA ALL’INFERNO E RITORNO

«Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. Un grazie a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. Un’altra cosa aggiungo: sono qui anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, troppi. Ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta».
Con queste parole Enzo Tortora, uno dei padri fondatori della televisione italiana insieme a Mike Bongiorno, Raimondo Vianello e Pippo Baudo, si ripresenta nel video il 20 febbraio 1987, dopo un’assenza di quasi quattro anni. Riprende la conduzione del fortunatissimo Portobello, un programma pieno di idee inventato da lui stesso. Il pubblico in studio si alza in piedi per tributargli un lungo, interminabile, caloroso applauso.
Ma l’assenza di Tortora è stata troppo lunga. Dopo l’estenuante battaglia legale del conduttore, il suo volto non trasmette più la serenità di una volta. Sembra, piuttosto, una maschera di dolore. Sarà forse per questo che Portobello non farà più grandi ascolti. Tortora tenterà di lanciare altri programmi, ma ormai la sua carriera è finita. Non solo quella. Le esperienze appena trascorse hanno minato il suo corpo in profondità…
Enzo Tortora nasce a Genova il 30 novembre 1928 da genitori napoletani, un’origine che in seguito giocherà a suo sfavore. Sin da giovane, Enzo è attirato dal mondo dello spettacolo e a 19 anni entra, come percussionista, in una famosa orchestrina che si esibisce nei night di tutta Italia. Appena laureato viene assunto ai programmi radio della Rai, all’epoca molto seguiti.
Sistematosi professionalmente, Enzo Tortora sposa Pasqualina Reillo, dalla quale ha la figlia Monica. Dopo sei anni la coppia si rompe e il matrimonio viene annullato dalla Sacra Rota, dato che la legge sul divorzio è ancora di là da venire. Nel 1956, Tortora inizia la sua fortunatissima carriera nell’appena nata televisione, lavorando, tra l’altro, nel programma Campanile sera.
Lui non guarda in faccia a nessuno, abitudine che paga cara nel 1962, quando viene allontanato temporaneamente dalla Rai per aver permesso ad Alighiero Noschese di imitare Amintore Fanfani, il politico della Democrazia Cristiana più potente di quegli anni.
Il conduttore sconta l’esilio alla Televisione svizzera e si sposa per la seconda volta, con Miranda Fantacci, di professione insegnante, dalla quale avrà Silvia e Gaia. Stavolta il matrimonio resisterà otto anni. Nel 1965 Enzo Tortora è ancora in Rai, dove rivoluziona la Domenica sportiva, chiamando, per la prima volta, gli ospiti in studio.
Sono anni di grandi successi, anche per la conduzione di altri programmi importanti, finché, nel 1969, Tortora viene licenziato in tronco. Cos’ha combinato stavolta? Intervistato da un giornale, aveva definito la Rai: “Un jet supersonico pilotato da un gruppo di boy scout che litigano ai comandi, rischiando di mandarlo a schiantarsi sulle montagne”.
Così il conduttore torna a lavorare per gli svizzeri, ad aumentare le collaborazioni con i giornali e, a metà degli anni Settanta, realizza programmi per le televisioni private che stanno facendo i loro primi timidi passi.
Il ritorno trionfale in Rai avviene nel 1977, con la conduzione di Portobello. Il programma raggiunge 28 milioni di spettatori: nessuna trasmissione italiana ne aveva mai avuti tanti, né li avrà più. Ciò non significa che Tortora sia gradito da tutti. Alcuni deplorano l’uso che fa della televisione, portando in studio i casi umani più disperati per raccontare storie strappalacrime, e per la sua retorica perbenista.
Il travolgente successo finisce, stavolta in modo drammatico, il 17 giugno 1983, quando Tortora viene arrestato con l’accusa di associazione per delinquere di stampo camorrista dalla Procura di Napoli. Gli spettatori, sconvolti, lo vedono in televisore mentre viene trascinato in manette.

Gli opinionisti dei giornali, salvo eccezioni, si schierano compatti contro il conduttore televisivo, che piace alla gente comune quanto è detestato dagli intellettuali. «Mi pare che ci siano gli elementi per trovarlo colpevole: non si va ad ammanettare uno nel cuore della notte se non ci sono buone ragioni. Il personaggio non mi è mai piaciuto» dice Camilla Cederna, storica giornalista del settimanale L’Espresso.
Contro di lui ci sono le dichiarazioni di 11 pregiudicati per gravi delitti, tra i quali Pasquale Barra, detto ‘o Nimale (l’Animale) per aver sgozzato, squarciato il petto e morso il cuore ancora palpitante di Francis Turatello, il numero uno della mala milanese. ‘O Nimale giura che Tortora è stato “battezzato” camorrista da Raffaele Cutulo in persona, il capo dei capi.
Gli inquirenti credono anche alle parole di Giuseppe Margutti, pittore con alle spalle diverse condanne per truffa e calunnia, e di sua moglie Rosalba Castellini. I due dichiarano di aver visto il famoso conduttore consegnare un sacchetto di polvere bianca a tre brutti ceffi, in cambio di un pacco di banconote. Tutto ciò sarebbe successo nei camerini degli studi di Antenna 3, l’emittente televisiva lombarda della quale Enzo Tortora è cofondatore.
Nella sua storia infarcita di dettagli piccanti, Margutti racconta di avere assistito alla scena mentre, in un angolo buio, stava cercando di aggiustare le mutandine di seta della moglie, alle quali si era rotto l’elastico. L’unica prova concreta in mano ai magistrati è il nome di Tortora trovato nell’agenda di un camorrista, anche se poi si scoprirà trattarsi di un certo Tortona. In effetti, neppure il numero di telefono corrisponde a quello del conduttore.
L’accusa riesce a provare solo un contatto tra Enzo Tortora e un camorrista, Giovanni Pandico, il quale aveva mandato dei centrini perché fossero venduti all’asta nella trasmissione di Portobello. Siccome la redazione aveva smarrito i centrini, Tortora aveva inviato un biglietto di scuse al camorrista, risarcendolo con 800 mila lire. A quel punto Pandico aveva iniziato a subissare il conduttore di lettere intimidatorie. Per la precisione le dettava, essendo analfabeta.
Adesso, davanti agli attenti magistrati, Pandico accusa Tortora di avere ricevuto una partita di droga dall’organizzazione e, fingendo di averla smarrita, l’aveva rivenduta per 80 milioni. La mente schizo-paranoide del camorrista, almeno secondo gli psichiatri che lo hanno visitato, potrebbe aver trasformato i centrini in droga e le 800 mila lire in 80 milioni.
Dopo sette mesi di prigione, la salute di Enzo Tortora ha un tracollo e per questo gli vengono concessi gli arresti domiciliari.
Il suo caso viene preso a cuore da Marco Pannella, che lo fa eleggere deputato al Parlamento europeo nelle liste del Partito radicale. Ciononostante, nel 1985, Enzo Tortora viene condannato a dieci anni di reclusione.
Forse non gli ha giovato il discorso tenuto al processo, nel quale aveva accusato implicitamente i giudici: «Io sono innocente. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti emersi dal dibattimento. Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi». Rinunciando all’immunità parlamentare, Tortora ritorna agli arresti domiciliari per scontare la pena.
L’anno dopo, la corte d’appello gli dà ragione assolvendolo con formula piena e accusando di calunnia i “pentiti” che, per il tribunale di secondo grado, avrebbero attaccato Enzo Tortora solo per ottenere una riduzione di pena. Margutti si sarebbe associato per avere notorietà e vendere meglio i propri quadri.
Michele Morello, il giudice d’appello, spiega così la decisione ai giornalisti: «Ricostruendo il primo processo ci rendemmo conto che le dichiarazioni arrivavano in base a ciò che aveva detto il testimone precedente, al quale si accodava il successivo. Costoro stavano tutti nella caserma di Napoli, dove potevano mettersi d’accordo tra loro. Andammo a caccia dei riscontri facendo un centinaio di accertamenti. Di alcuni non ne trovammo, mentre di altri li trovammo a favore dell’imputato».
Quattro mesi dopo aver riportato Portobello in tivu, Tortora viene assolto anche in cassazione. L’incubo è finito solo apparentemente. La continua tensione su una personalità emotiva come quella di Tortora ha avuto un effetto devastante, agendo come concausa all’insorgenza di un tumore ai polmoni.
Il conduttore ha la consolazione di vedere, nello stesso anno, lo svolgimento del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati indetto proprio per la risonanza che ha avuto il suo caso. L’80 percento degli italiani vota a favore: chi sbaglia deve pagare. Anche se poi, di fatto, poco cambierà e gli stessi inquisitori di Enzo Tortora non risponderanno mai dei loro errori.
A causa del male che lo attanaglia, il conduttore interrompe Giallo, il suo ultimo programma, anche questo poco fortunato. Enzo Tortora muore la mattina del 18 maggio 1988 a Milano, tra le braccia della sua nuova compagna, la giornalista Francesca Scoppelliti.
«Mio padre è stato stroncato da una malattia che i medici chiamano tumore», dice la figlia Silvia, «ma che per me ha altri due terribili nomi: galera e disperazione». Negli anni successivi, diverse città intitoleranno vie e piazze in memoria di Enzo Tortora.
Nel 1992, il camorrista Gianni Melluso ribadisce le accuse che aveva fatto a Tortora insieme ad altri camorristi. Querelato per diffamazione dalle figlie del presentatore, Melluso viene assolto perché, secondo il giudice, l’assoluzione di Tortora rappresenterebbe «soltanto la verità processuale, non necessariamente quella reale».
Come a dire che, benché assolto definitivamente, avrebbe potuto essere davvero colpevole. Ma otto anni dopo, lo stesso Melluso, uscito dal carcere nel 2009, ammette che le accuse nacquero per assecondare i propositi di vendetta del suo complice Giovanni Pandico.
Dove eravamo rimasti, le prime parole pronunciate da Enzo Tortora per ripresentarsi al suo pubblico, sono il titolo della miniserie in onda su Rai 1 nel 2012 che Ricky Tognazzi ha dedicato al personaggio televisivo.
(Per gli articoli sui delitti famosi pubblicati da Giornale POP clicca QUI).
Uno degli errori giudiziari più gravi che la storia d’Italia (e la sua giurisprudenza) ricordi…e per il quale nessuno, se non il povero Enzo Tortora, ha pagato! Purtroppo, senza una legge adeguata sulla responsabilità civile dei magistrati (che neanche un referendum è riuscito far nascere), quante altre persone hanno vissuto, stanno vivendo e vivranno lo sstesso incubo di Tortora, con la differenza di non essere come lui sotto i riflettori?
Nota: Tortora uscì ammanettato e trascinato da due carabinieri, Matteo Messina Denaro invece… E questo dice tutto sull’Italia e soprattutto sulla giustizia in Italia, che giustizia non è.