ENNIO MORRICONE NELLE NOTE DI 15 FILM

ENNIO MORRICONE NELLE NOTE DI 15 FILM

Commemorare Ennio Morricone, scomparso il 6 luglio 2020 all’età di 91 anni, non è semplice. Bisogna capire di musica, saper distinguere tecnicamente una composizione da un’altra, non basta che decine di ascolti abbiano abituato l’orecchio a riconoscere le note di C’era una volta il West e a non confonderle con quelle di Metti una sera a cena.
Per questa ragione è con una certa umiltà che limitiamo il ricordo del Maestro ai quindici film della sua straordinaria carriera che più di altri occupano un posto di assoluto rilievo nella nostra memoria cinematografica. Senza addentrarci in questioni che competono agli esperti, ai quali magari certe scelte appariranno musicalmente meno rilevanti di altre.

 

La cuccagna (1962), regia di Luciano Salce

Seconda pellicola (ne seguiranno altre) musicata da Ennio Morricone per Luciano Salce dopo La voglia matta, del 1960, La cuccagna racconta le peripezie e le disillusioni di una ragazza che cerca lavoro. Il regista anticipa per certi versi Io la conoscevo bene (1965), di Antonio Pietrangeli. Protagonista è un’attrice bellissima dalla carriera breve, Donatella Turri. Al suo fianco il cantautore Luigi Tenco.

 

Diabolik (Danger: Diabolik, 1968), regia di Mario Bava

In un periodo nel quale i produttori facevano a gara nel realizzare film fantasmagorici tratti dai fumetti e dai romanzi pop, Dino De Laurentiis (che nello stesso anno affidò Barbarella a Roger Vadim) permise a Mario Bava di realizzare il più fantasmagorico di tutti. Dalle storie nere delle sorelle Giussani Bava trasse un film quasi sperimentale, a cui Ennio Morricone aggiunse creatività musicale in dosi massicce.

 

L’uccello dalle piume di cristallo (1970), regia di Dario Argento

L’esordio di Dario Argento, che rivoluzionò il genere giallo, ha per protagonista lo scrittore americano Sam Dalmas, di passaggio in Italia. Mentre Roma è sconvolta dagli omicidi di alcune ragazze, una sera Sam assiste all’aggressione d’una giovane donna. La struttura del film, pur nel suo essere volutamente un oggetto cinematografico per nulla levigato e coerente, mise subito in risalto il talento del giovane regista. Ma non bisogna dimenticare l’apporto dato dai prestigiosi collaboratori: oltre a Ennio Morricone, il direttore della fotografia Vittorio Storaro e il montatore Franco Fraticelli.

 

Vamos a matar compañeros (1970), regia di Sergio Corbucci

Forse il western più spettacolare e memorabile di Sergio Corbucci, nel quale il mercante d’armi chiamato lo Svedese si allea con il messicano El Basco per far evadere uno dei leader della rivoluzione messicana. Grandioso il finale, sottolineato dalle straordinarie musiche di Ennio Morricone.

 

Una lucertola con la pelle di donna (1971), regia di Lucio Fulci

Un detective indaga sull’omicidio di una giovane donna che la protagonista, Carol, ha sognato di uccidere a coltellate. Il thriller di Lucio Fulci non è del tutto riuscito perché poco equilibrato nelle sue varie anime (psicologica, gialla, onirica). Può vantare però alcune notevoli sequenze, come quella iniziale e la fuga di Carol (Florinda Bolkan), inseguita da un killer.

 

Quattro mosche di velluto grigio (1971), regia di Dario Argento

In assoluto uno dei migliori film di Dario Argento. Il musicista rock Roberto Tobias è perseguitato da un misterioso assassino. Come e più che nei titoli precedenti il regista si disinteressò quasi completamente dell’aspetto investigativo (spariscono le figure dei poliziotti, per esempio, sostituiti da un detective privato che muore quasi subito) per concentrarsi sulla suspense, sull’attesa e sulla creazione di un’atmosfera angosciante.

 

Cosa avete fatto a Solange? (1972), regia di Massimo Dallamano

L’ottimo (e sottovalutato) regista Massimo Dallamano, ex operatore, sceglie come ambientazione un esclusivo collegio femminile londinese. Tre studentesse vengono barbaramente uccise, e la polizia sospetta un professore (Fabio Testi) che aveva una relazione con una di loro. Una volta scagionato il professore comincia a indagare per conto proprio, fino a scoprire che l’autore degli omicidi è il padre di una ragazza impazzita in seguito a un aborto clandestino. Dallamano riesce a creare un’atmosfera morbosa e cupa, in perenne equilibrio tra un ambiguo voyeurismo erotico (molte le nudità femminili) e la lucidità analitica del giallo. Tra le giovani attrici troviamo Camille Keaton, protagonista poi nel 1981 di un altro film di culto intriso di sesso e violenza, Non violentate Jennifer (o Il giorno della donna) di Meir Zarchi (in originale: Day of the Woman o I spit on your grave).

 

L’esorcista II – L’eretico (Exorcist II: The Heretic, 1977), regia di John Boorman

John Boorman realizzò un’opera di grande qualità espressiva e tecnica (utilizzando per primo la steady-cam in alcune sequenze memorabili), del tutto diversa dall’originale di William Friedkin. Protagonista questa volta è padre Lamont (Richard Burton), incaricato di indagare sulla morte di padre Merrin, e per farlo incontra Regan (Linda Blair), preda di visioni confuse, e la dottoressa Tuskin (Louise Fletcher), che sta curando la ragazza.

 

L’orca assassina (Orca, 1977), regia di Michael Anderson

Il grande successo ottenuto nel 1975 da Lo squalo spinse Dino De Laurentiis (reduce da King Kong), a produrre per la sontuosa regia di Michael Anderson un’opera ambiziosa, non un semplice clone del film di Spielberg. Guarda caso incentrata sull’unica creatura marina che può uccidere uno squalo, cosa che puntualmente accade in una delle prime scene. Un cacciatore è responsabile della morte di una femmina di orca che stava per partorire. Il compagno memorizza il volto dell’uomo e si vendica.

 

La cosa (The Thing, 1982), regia di John Carpenter

Nel 1982 John Carpenter girò un film destinato a entrare nella storia del cinema del terrore: La cosa. Un gruppo di ricercatori scopre un’astronave tra i ghiacci dell’Antartide e al suo interno un alieno ibernato. Scrisse Danilo Arona nel suo breve saggio intitolato “John Carpenter: la forma della cosa” (pubblicato su un numero monografico della rivista Cinema&Cinema dedicato al new horror americano): “Tutti i mostri – umani o metaumani – del cinema di Carpenter sono Cose. Anzi, sono Shapes of Things”. È certamente così, ma è giusto rimarcare l’ambiguità dei mostri carpenteriani, di cui la Cosa rappresenta il simbolo più eclatante e compiuto. Si tratta di un alieno, concreto e senza forma, tanto che può assumere qualsiasi sembianza (apparenza), umana o animale che sia. Ma è anche sovrannaturale, pur nella sua organicità, è tutto (tutti) e niente. Tripudio di effetti speciali di artistica plasticità, realizzati da Rob Bottin.

 

C’era una volta in America (Once Upon a Time in America, 1984), regia di Sergio Leone

Sergio Leone raccontò nel 1984 l’appassionante vicenda del gangster Noodles e dei suoi compagni dalla giovinezza all’età matura, attraverso quasi cinquant’anni di storia americana. Ovviamente le composizioni realizzate da Morricone per i western girati da Leone sono quelle che hanno consacrato per primi il genio del musicista, ed è indubbio che siano ancora oggi tra le più conosciute e celebrate. Tuttavia, come ha scritto il critico Giovanni Grazzini, “Sergio Leone non è certo Beethoven, e nemmeno il Tintoretto del Paradiso (benché il suo film sia proprio un Inferno e un Purgatorio), ma la compattezza della sua ispirazione e la sapienza del suo concertato fanno del film un’opera degna d’entrare nella storia del cinema dalla porta principale, lasciando da parte i suoi western italiani”.

 

The Untouchables – Gli intoccabili (The Untouchables, 1987), regia di Brian De Palma

Primo dei tre film musicati per Brian De Palma (seguiranno Vittime di guerra, del 1989, e Mission to Mars, del 2000), The Untouchables è uno dei titoli più spettacolari del grande regista americano, costruito su una serie di sequenze cariche di tensione e girate con rara perizia. Protagonista è l’agente federale Elliot Ness che, durante gli anni del Proibizionismo, combatte il re del crimine Al Capone. Potendo contare su un cast d’eccezione, il regista non si limitò a confezionare un prodotto di semplice intrattenimento. Filmando invece ancora una volta situazioni al limite (della retorica, del già visto), attraverso immagini che solo l’occhio di De Palma poteva concepire.

 

Frantic (1988), regia di Roman Polanski

Roman Polanski nel 1988 ritrovò il consenso della critica e il successo di pubblico girando Frantic, un giallo dal tono vagamente hitchcockiano. Un chirurgo americano, Richard Walker, giunge a Parigi insieme alla moglie per un convegno medico, occasione per rievocare la luna di miele trascorsa vent’anni prima nella capitale francese. Quando la donna scompare, Richard comincia a cercarla aiutato da una ragazza, Michelle. I due si trovano al centro di un intrigo che coinvolge anche i servizi segreti. Scritto da Polanski insieme al grande sceneggiatore Gérard Brach, autore di vari suoi film, Frantic conferma la fama che da sempre circonda il regista: quella di essere, tra i maestri europei, uno dei più abili a realizzare pellicole di elevato valore artistico e nello stesso tempo in grado di coinvolgere con intelligenza lo spettatore, invitato, attraverso tutta una serie di artifici narrativi, a mantenere un certo distacco.

 

Lolita (1997), regia di Adrian Lyne

Il film di Adrian Lyne andrebbe rivisto (come l’intera opera del regista inglese) senza i pregiudizi che accompagnarono l’uscita nelle sale. Paragonato alla prima, straordinaria versione del romanzo di Nabokov realizzata da Stanley Kubrick, ne uscì ovviamente con le ossa rotte. Lasciati da parte i confronti, Lyne riesce invece a rendere in maniera struggente e sottilmente erotica l’attrazione ossessiva del professore Humbert Humbert, innamorato della ninfetta Lolita. Usufruendo di un cast notevole: Jeremy Irons, Melanie Griffith, Frank Langella e la quasi esordiente Dominique Swain, la cui scelta all’epoca venne ingiustamente ritenuta poco azzeccata.

 

 

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