DALLA TERRA DEI SIOUX UN PINOCCHIO UNICO AL MONDO

Qual è ilPinocchiopiù raro? Quello delGiornale per i Bambiniin cui comparve a puntate nel 1881, o quello del volumetto che ne raccolse per primo l’intero testo diCarlo Collodinel 1883? Pare il secondo. La palma spetterebbe per la verità al manoscritto originale, ma quello è fuori gara, e fuori della libidine di ogni sbavatore di pinocchi. A metà strada tra il libro e il manoscritto è invece l’oggetto che sto per farvi conoscere, e che io conosco già molto bene, avendolo da tempo gradito ospite in casa. Mangia poco, anzi nulla, non sporca, non fa confusione: come se non ci fosse. Ma c’è. Un oggetto unico e solo al mondo, di rarità quindi assoluta. Risguardi decorati a mano… Per prima cosa voglio presentarvene l’autore, il signorLeone Olsen, ma che dico signore, il bambino Leone Olsen, dato che all’epoca non doveva avere che 10 anni. Nome italiano e cognome americano. Ma che dico bambino, la bambina Leone Olsen, perché nelle mie ricerche ho scoperto che in inglese Leone (variante di Leona) è un nome femminile(Lioni), e a questo punto forse nemmeno più tanto italiano. Quante cose date per scontate si infrangono contro le immense scogliere di Google… Quindi abbiamo una bambina di 10 anni che frequenta il quinto grado della scuola pubblica. Insomma, fa la quinta elementare. Ma dove? Questa è bella: nientemeno che a Sioux City, nello Iowa, territorio di leggendarie tribù native spazzate via da quelle care persone dei visi pallidi. La cosa si fa interessante. Tanto per farsi un’idea. Il Capo Sioux Cane Lento, completo di tomahawk. Non troppo rassicurante Una città, Sioux City, nata alla testa di navigazione del Missouri, cioè il punto più a monte di partenza e di arrivo delle navi mercantili che percorrono il grande fiume. Fosse un tram lo chiameremmo capolinea. Ve ne spedisco un paio di cartoline d’epoca. Ecco dove. Ma quando? Oltre un secolo fa, nel 1919. Come lo so? La meticolosa Leone, attenendosi alle consuetudini librarie, non mancò di stabilire ben chiaro in stampatello che ilcopyrightera suo, non sapendo di fornire a noi del Terzo Millennio la preziosa informazione della data, senza la quale tutto il nostro castello di elucubrazioni crollerebbe miseramente. Grazie. E può mancare una dedica, come i migliori scrittori (e anche i peggiori) fanno all’inizio delle loro pagine? Leone si sentiva una vera scrittrice, quindi no, non può mancare. Ma era anche una bambina, e la dedica ai genitori era scontata. Sembra poco importante, ma è un’informazione in più: ci dice che la nostra leoncina non era un’orfanella. Si ricavano molte informazioni dall’oggetto-Pinocchio che la solerte Leone costruì a uso scolastico e che sicuramente esibì fiera di se stessa nella sua classe situata nell’Hopkins Building, sede della scuola pubblica di Sioux City. E veniamo pure a sapere che la stessa piccola scrittrice non era alla sua prima prova letteraria, ma, come tiene a precisare, aveva già scritto“Bobby Cotton”. E mi chiedo se non si tratti per caso della storia di quel Robert Bruce Cotton, vissuto in Inghilterra tra il Cinquecento e il Seicento, che fondò la celebre Cottonian Library. Non lo saprò mai, ma mi basta e avanza Pinocchio. Anzi,“Pinocchio the hero”. Come dire? Una sorta di tesina, a cui non furono estranee le signorine Weston e Beherns, che Leone nomina nella sua brevissima prefazione, forse due compagne, o due maestre che l’aiutarono nell’impresa. Il “miss” mi fa pensare più all’ipotesi delle maestre. Noto che la calligrafia in stampatello della nostra autrice(“author”)non è proprio delle migliori, tenuto conto che nella sua epoca, e anche dopo, si insegnava a scuola il bello stile calligrafico. Meglio va con il corsivo, già molto adulto. Non sono un calligrafo, ma penso che questo ci parli di uno spirito libero, di una bambina forse più matura della propria età, che scrive come scrive ma non trascura nulla affinché il suo possa sembrare un vero libro, o meglio esserlo. Leggendo la storia della scuola pubblica Hopkins apprendo, tra l’altro, che fino a una certa data agli insegnanti che vi lavorarono fu vietato di sposarsi: al momento del matrimonio scattava inesorabile il licenziamento. Una specie di missione sacerdotale, con, immagino malignamente, un discreto incentivo alla pedofilia. Tuttavia le rare foto che ce ne giungono parlano del trascorrervi di un’infanzia sicuramente non priva di regole ma semplice e felice. Sioux City, Hopkins School. Gruppo di alunni al tempo di Leone Olsen. Chissà che non ci sia anche lei Sioux City, Hopkins School al tempo di Leone Olsen. Le alunne giocano a Squat Tag insieme a due maestre: sono loro le signorine Weston e Beherns? Prima ho scritto “oggetto-Pinocchio” e ho usato il verbo costruire, perché se in effetti si tratta di un libro è soprattutto il risultato di una costruzione che ne fa quasi più un manufatto che un manoscritto. Cosa ha combinato la nostra Leone? Esatto, ha combinato. Cioè ha preso alcuni capitoli di un libro già esistente, proprio tagliati via, e li ha intervallati con capitoli scritti a mano, stavolta in corsivo, da lei, su carta a righe. Nel sommario ci elenca i titoli: quelli dispari tratti dal libro smembrato e quelli pari di sua propria mano. Non mancano le illustrazioni, sia facenti parte del libro già stampato che opera della piccola autrice su carta da disegno più consistente, pezzi unici questi. 16 capitoli per 118 pagine, più sette pagine bianche in fondo, numerate fino a 125. Tutto quanto ben rilegato artigianalmente con una solida copertina di grosso cartone con illustrazione applicata dalla ragazzina. Misure: cm. 28×21. Un gioiellino che mi è arrivato perfettamente integro dal 1919 di Sioux City, Iowa, United States of America. Un Pinocchio unico al mondo. Comincio il mio rapido esame dal libro già edito, a cui la piccola autrice tolse le pagine che le interessavano. Ed è proprio per questo che non posso darvene il titolo. Manca. Potrebbe essere lo stesso che Leone dette al proprio volume? (Tra l’altro un bellissimo titolo:“Pinocchio the hero”,“Pinocchio l’eroe”. Complimenti). No, non credo, per fondati motivi che si appaleseranno più avanti. Due capilettera tratti dal libro stampato Ma cos’è questo libro preesistente, una traduzione del testo di Collodi? No (o sì). Una pinocchiata? Nemmeno (o forse). E allora? Direi più un saggio per ragazzi con al centro la storia di Pinocchio, ma parecchio infiorettata. Posso affermare con certezza essere uscito due anni prima della manipolazione leoniana, perché attualizza la storia del burattino ambientandola nel 1917. Un chiaro abuso, però di un certo interesse.Il libro parte dal panorama favolistico mondiale, cinese, indiano… Perché ogni popolo ha le storie che gli sono familiari, comeAlice in Wonderland,Tom SawyereHans Brinkerlo sono per i lettori americani, dice. E prosegue: “Vi racconteròuna delle storie che quei bambini amano particolarmente, e credo che i ragazzi e le ragazze d’America la troveranno piena di interesse, come i nostri amici italiani. Naturalmente, per godervela di piùvoi dovete immaginarvi sotto i cieli assolati e tra la meravigliosa gente della bellissima terra d’Italia”. Wow! Tutto questo all’interno del primo capitolo, non in una introduzione. E quanto l’Italia piacesse a chi scrisse questo Pinocchio scelto da Leone Olsen per costruirci intorno la propria opera, lo si arguisce anche da una illustrazione che situa chiaramente a Napoli una scena della narrazione. C’è il famoso pino delle cartoline e la classica sagoma del Vesuvio a picco sul golfo che se la fumicchia. Perché Pinocchio… è napoletano, vero?E comme no?Tiene ‘na testa ‘e legno, ma è ‘nu bravo guaglione! Americanate. La classica immagine del panorama di Napoli col famoso Pino in una vecchia cartolina Subito dopo la pappardella sulle fiabe nel mondo e l’elogio sperticato al sole e alla gente d’Italia ecco finalmente l’inconfondibile avvio di Pinocchio: “Once upon a time there was…A king of course,all little people would immediately say…”. Avete notato che i libri più importanti, quelli proprio basilari, hanno un inizio che tutti conoscono a memoria? Dalla Divina Commedia ai Promessi Sposi, dall’Iliade a… Pinocchio: il capolavoro lascia il segno fin dalla prima frase. E sappiamo bene come prosegue.