COME PRONUNCIARE DECENTEMENTE L’INGLESE

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Per quanto riguarda lapronuncia delle lingue straniereesistono tre scuole di pensiero, di solito inconsapevoli. La prima prevede chesi imiti il meglio possibile la pronuncia della lingua appresa, con risultati di solito analoghi a quelli di Alberto Sordi inUn americano a Roma: una sonorità verosimile ma talmente pasticciata da coprire il senso delle parole. Inoltre, spesso una pronuncia perfettamente imitata nasconde ignoranza della lingua, ho conosciuto italiani che ad Amburgo sanno ordinare con perfetto accento del luogo un piatto al ristorante e che poi non hanno la minima idea di che cosa risponda il cameriere (“Birra grande o media?”). La seconda èlibertaria: si pronuncia alla meno peggio facendo prevalere il significato del discorso alla sua espressione sonora. In effetti è difficile pensare alla pronuncia mentre in tedesco si spiega a un amico che la settimana prima uno stormo di cavallette ha fatto fuori il tuo orto di genziane, soprattutto se la conversazione si sta protraendo da due ore. In questo modo l’interlocutore madrelingua più o meno capisce, il parlante è libero di arrabattarsi con i vocaboli che non ricorda e tutti sono contenti, tranne la prof di inglese del liceo che dall’oltretomba vorrebbe ancora rimandarti a settembre per come pronunci male. Esiste anche una sceltalibertaria di disprezzo, che è una modalità riprovevole: parecchie persone obbligate a vivere in un paese loro non grato si rifiutano di acquisirne decentemente la lingua e si ritrovano orgogliosamente a parlare con accenti improbabili e ad arrancare anche nelle conversazioni più semplici. Tornate in patria, si vantano poi senza fondamento di conoscere piuttosto bene quella lingua straniera che disprezzavano. Laterza scuola di pensieroprevede che si adotti una posizione mentale e soprattutto fisica analoga a quella del parlante madrelingua, ovvero che nella produzione della parola parlata si adottino i movimenti della bocca e della lingua, fino a quelli cognitivi e posturali, tipici della lingua che si desidera parlare.Le lingue sono anche specchio delle peculiarità psicologiche e più in generale umane di chi le parla, e viceversa. La mente e il corpo per esempio di un danese sono fortemente influenzati dalla lingua danese, che a sua volta è espressione della peculiarità psicologica di un abitante di Copenaghen, ben diversa da quella di un milanese o napoletano.Conviene dunquemettersi nei panni dello straniero, per pronunciare la sua lingua. Chi volesse affrontare dal punto di vista teorico questo ampio campo di studi può procurarsi il fondamentale testo di Bernard Kaplan e Heinz Werner,La formazione del simbolo, che con le sue 700 pagine fornirà illuminanti informazioni sul rapporto tra mente, corpo, linguaggio e significati semantico-simbolici. Questa terza è la soluzione migliore, non implica distrazione e funziona con poco sforzo, una volta che si sia capito il trucco. E a questo proposito, per quanto riguarda l’inglese chi volesse migliorare la propria pronuncia potrà farlo quasi istantaneamente seguendo una semplice indicazione fornita dallo scrittore ingleseAnthony Burgess, in Italia noto perlopiù per il modesto romanzoUn’arancia a orologeria(A Clockwork Orange), ritradotto inArancia meccanicadopo l’uscita del film. Burgess era scrittore, musicista e linguista ed era dotato di una spiccata capacità didattica. Il suo libroA Mouthful Of Air(letteralmenteUn boccone d’aria) è forse in assoluto la migliore introduzione alla scienza della linguistica. In un articolo pubblicato il 9 novembre del 1983 sul “Corriere della Sera”, tra efficaci consigli sull’uso del verboto get, Burgess fornisce una semplice e fondamentale indicazione su come pronunciare benino l’inglese senza fatica. Da quando ho letto quell’articolo la mia pronuncia è in effetti piuttosto buona e anche voi sarete presto grati a questo eccellente autore. Burgess afferma che gli inglesi sono affetti da una peculiarepigrizia vocalica, e che agli italiani non piace“sostituire la propria vivacità con la pigrizia inglese”, quando vengono alle prese con quella lingua. Questa pigrizia vocalica si esprime con vocali che ci sono ma che fa troppa fatica pronunciare e che sono dunque omesse con una sorta di salto più o meno lungo, suoni“che i linguisti chiamanoschwa, parola derivata dall’ebraico shewa (attraverso il tedesco), che designaun segno che sta a indicare la mancanza di un suono vocalico. Lo schwa è una vocale che i fonetisti rappresentano con una e rovesciata,əQuando un inglese dice ‘cat’ (gatto), quellaaè un puro schwa. Gli stranierisorridono quando li si assicura che ogni vocale inglese sarebbe uno schwa, se potesse.Schwa è l’ultima sillaba di father, mother, sister, brother. È la seconda sillaba di Italy”. “Lo schwa si fa lasciando che la lingua riposi pigramente nel mezzo della bocca, un pezzettone rosso di carne oziosa. Gli inglesi sono dei parlatori pigri.C’è uno schwa prolungato in girl e world.In Anthony Burgess, laoè uno schwa e così pure laeiness. L’urdel cognome è un lungo schwa. Mi sto stufando di essere chiamato Buuuurrrrgess. Il motivo per cui noi inglesi parliamo così male l’italiano è da attribuire al desiderio di non essere distolti dalla nostra pigrizia vocalica. Noi vorremmo dire sp(schwa)ghetti, ma agli italiani non piace“. Provate. Dopo tre o quattro tentativi, dalla vostra bocca uscirà come per magia una pronuncia mai udita prima e sarete sorpresi da voi stessi. (Copyright © 2019 Andrea Antonini, Berlino).