CINQUE REMAKE A FUMETTI
Sarà che, come diceva qualcuno, dopo la Bibbia e Shakespeare tutte le storie sono state già raccontate. Sarà che oggi il pubblico è frastagliato e occorre produrre materiale di tutti i tipi. O che, banalmente, la fantasia si esaurisce. Fatto sta che, da tempo, si ha la sensazione che romanzi, canzoni, film, serie televisive, videogiochi, si assomiglino un po’ tutti, e che ci sia una preoccupante mancanza di originalità. A volte gli autori sembrano coltivare il gioco della citazione, dell’omaggio. A volte si ha l’impressione che vogliano trarre in inganno il pubblico spacciando l’altrui opera come farina del proprio sacco. E a volte, dichiaratamente, si rifà un’opera già fatta. Il termineremake, secondo il vocabolario Devoto – Oli, è in uso nella lingua italiana dal 1956 e, contrariamente ad altri anglicismi indigesti ai puristi, è ormai serenamente adoperato per ogni tipo di rifacimento di un’opera creativa, soprattutto cinematografica. È un lemma che assume a volte una valenza spregiativa, perché l’ampio ricorso a narrazioni “di riciclo” viene visto come prova di declino della creatività. Ma il fenomeno può innescare nuovi e promettenti filoni, come nel caso del rifacimento, con attori e grazie alle nuove tecnologie, di film realizzati in animazione. Oppure può essere motivo di vanto: è di questi giorni la notizia che il film italianoPerfetti sconosciuti, diretto da Paolo Genovese nel 2016, è arrivato ad avere 24 remake nel mondo, l’ultimo intitolato “Villibráð” e distribuito nei cinema islandesi. Anche il fumetto, come tutte le arti, conosce il fenomeno. Soprattutto i più noti personaggi seriali, come i supereroi americani che tengono botta sul mercato da molti decenni, periodicamente rinarrano le loro origini, aggiornando in modo più sofisticato ciò che, in passato, veniva raccontato con allegra ingenuità.Ma quanti sono i remake a fumetti? Nell’impossibilità di compilarne una lista esaustiva, peschiamo, più o meno arbitrariamente, cinque esempi vicini e lontani. Sando e Omar, chi se li ricorda? Forse qualche vecchio lettore dell’Editoriale Corno, la casa editrice che rese celebri i fumetti di supereroi della Marvel negli anni Settanta. Ma pochi, all’epoca, potevano pensare che quelle dieci pagine, apparse sul n. 2 della serie dedicata aCapitan America, fossero il rifacimento di una storia di tanti anni prima. Confronto tra la splash page del 1941 e del 1965, entrambe disegnate da Jack Kirby La serieCaptain America Comicsfece il suo debutto, negli Stati Uniti, nel 1941. Il primo numero conteneva ben quattro storie brevi del personaggio firmate daJoe SimoneJack Kirby, più i primi episodi di due effimeri personaggi, Hurricane e Tuk. La seconda storia, priva di titolo, è esattamente quella che, integralmente ricreata, appare suTales of Suspensen. 74, firmata questa volta daStan Leee Jack Kirby, e da lì tradotta per l’editoriale Corno. Tradotta “alla Corno”, verrebbe da dire, perché il titolo viene reso con un “Tra di noi un ostruzionismo”, che fa pensare ai deputati del vecchio Partito radicale impegnati in discussioni di ore per rallentare i lavori parlamentari. Ma tant’è. Il confronto tra lo stile ancora crudo di disegno del 1941, e quello del 1965, è impietoso: basta osservare lasplash page, con i personaggi in posa statica nella prima versione, tutti in movimento nella seconda. Non è possibile dire se la prima versione fosse interamente disegnata da Kirby, poiché anche Simon era un disegnatore e i due spesso si scambiavano le tavole o inchiostravano l’uno le matite dell’altro, firmando poi tutto a quattro mani(anche se pare che Joe Simon non disegnasse praticamente niente – NdR). Anche i testi sono differenti, con la prosa scintillante del 1965 a confronto con quella enfatica e rarefatta del 1941. Eppure la storia è rimasta praticamente identica, nella seconda tavola è pressoché sovrapponibile la scansione delle vignette, poi dalla terza in avanti le differenze aumentano, anche per passare dalle sette tavole originarie alle dieci del remake. Prima vignetta della seconda tavola: stessa scena, testi e disegno diversi Questa la vicenda: Il nazista Von Krantz programma attentati a strutture militari americane, e per seminare il panico tra i cittadini si esibisce in teatro sotto le spoglie di Sando, insieme a Omar (uno scherzo della natura, un nano con il capo enorme), mostrando quest’ultimo come un veggente in grado di prevedere disastri che in realtà si verificano realmente grazie all’opera dei sabotatori. Chi ebbe l’idea di ripescare questa storia? E come mai, dopo i primi cinque episodi di Capitan America apparsi suTales of Suspense(un albo in condominio con Iron Man), ambientati nella contemporaneità e incentrati sul dramma di un uomo rimasto per vent’anni in animazione sospesa, fu deciso di riportare l’eroe negli anni della seconda guerra mondiale? Forse nemmeno Omar, con la sua sfera di cristallo, saprebbe rispondere(forse Joe Simon ha fatto sapere di essere seccato per l’uso delle sue storie, anche se riadattate, senza neppure essere nominato – NdR). Gli appassionati di storia disneyana sanno che, prima della produzione nel formato del comic book, negli Stati Uniti c’era un solo fumetto diTopolino: la striscia giornaliera. Pubblicata sui quotidiani a partire dal gennaio del 1930, sembra inizialmente su testi di Walt in persona e disegni di Ub Iwerks, fu poi, dal maggio dello stesso anno, presa in carica dal disegnatoreFloyd Gottfredson, che la realizzò, con l’ausilio di vari sceneggiatori, sino al 1975. Si trattava, almeno nel periodo migliore, di storie di alto livello, ristampate ancora oggi, con strisce a continuazione in grado di svilupparsi su lunghe ed elaborate trame avventurose, ma con la bonomia del tipico umorismo disneyano e la capacità di far terminare quasi ogni striscia con una gag, una battuta, un sorriso. Una storia del 1932, intitolata in originale “The Great Orphanage Robbery”, è nota per la sua trama avvincente. Topolino e i suoi amici allestiscono uno spettacolo teatrale di beneficenza e recitano “La capanna dello zio Tom” per raccogliere denaro da donare agli orfani. Gambadilegno e Lupo rubano l’incasso facendo ricadere la colpa su Orazio (all’epoca principale partner del topo, ruolo che gli sarà poi rubato da Pippo). La storia è anche un classico del “fumetto giudiziario”, poiché, a un certo punto, le strisce dedicate al processo a carico di Orazio (il consueto processo all’americana, con gli avvocati istrionici, i testimoni con la mano sulla Bibbia, la giuria composta da una manica di idioti) si alternano a quelle che vedono Topolino, a sua volta sospettato di complicità, impegnato nel dare la caccia ai veri responsabili al fine di scagionare sé stesso e l’amico. Il pubblico ministero interroga Orazio nella versione di Floyd Gottfredson Il pedissequo rifacimento italiano degli anni Cinquanta, banalmente intitolato “Topolino e i due ladri” e disegnato daGiuseppe Perego, presenta la principale differenza nella circostanza che a finire sotto processo è Pippo e non Orazio. Nel tentativo di riadattare al pubblico italiano anche l’ordinamento giuridico, gli autori sostituiscono il giudice monocratico, che nell’originale guida il dibattimento, con un collegio di tre giudici, come nel tribunale nostrano. Ma poi affermano che il processo si svolge in Assise (che di magistrati da noi ne richiederebbe otto), e fanno apparire, solo alla fine, una improbabile giuria all’americana. Un pasticcio legale che all’epoca pochi, tra i giovani lettori, avranno notato. Una più statica scena processuale nella versione disegnata da Giuseppe Perego Per quale motivo la storia fu integralmente rifatta? Forse per mancanza dei disegni originali; ma la versione di Gottfredson era apparsa in Italia, sia pure non completa, sin dal 1937, suGli Albi d’Oron. 2. Forse si pensava solo di rendere più attuale e accattivante per il nostro pubblico una storia dalla trama ben costruita, che però, risalendo a oltre vent’anni prima, poteva risultare superata graficamente per i giovani lettori. Curiosamente la versione di Perego, dopo la prima apparizione in tre puntate suTopolinon. 116, 117, 118, fu ristampata, nel 1960 e poi ancora nel 1977, in un volumetto di classici insieme a un’altra storia di Gottfredson degli anni Trenta, “Topolino e i pirati”, senza apparente preoccupazione per la diversità di stile grafico. Torniamo nell’ambito dei vecchi fumetti della Marvel. Anzi, di quel gruppo di case editrici che faceva capo a Martin Goodman, pur assumendo varie sigle. Nel caso specifico la sigla editoriale è “Vista Publications”: con questo marchio uscì, nel 1961, il n. 26 diTales to Astonish, un albo a fumetti che partì nel 1958 come assemblaggio di storie brevi a tema fanta-horror, e poi entrò in piena era dei supereroi Marvel, pubblicando storie di Ant-Man, Hulk e Sub-Mariner. Tales to Astonish n. 26 del 1961, copertina non firmata attribuibile a Jack Kirby(disegni) eDick Ayers(chine)Tra le storie che compongono l’albo ce n’è una intitolata“Run, Rocky, Run!”, inedita in Italia. La firma in prima pagina consente di attribuire i disegni aBob Forgione, mentre la sceneggiatura potrebbe essere del solito Stan Lee. Rocky è un evaso di prigione in disperata corsa per sfuggire alla polizia. Acquattato in un vicolo buio, trova un giornale in cui si parla di una nuova astronave a propulsione atomica. Decide di rubarla per fuggire in orbita e da lì ricattare la Terra, ma qualcosa gli va storto. Interessante notare che, sotto le ultime vignette della storia compare una scritta pubblicitaria, un semplice ma essenziale invito a comprare il numero 1 diFantastic Four, l’albo che lancerà in orbita (questa volta metaforicamente) la casa editrice, rendendola il colosso di oggi. Pubblicità del n. 1 di Fantastic Four al termine della storia disegnata da Bob Forgione Qualche anno dopo, nel 1968, nel ciclo delleStorie dell’Osservatore, apparse in appendice alla testataSilver Surfere da noi sulla rivistaEureka, compare un episodio intitolato in originale“Run, Roco, run”(e tradotto questa volta dalla Corno alla lettera: “Corri, Roco, corri”). Si tratta tecnicamente di un remake? L’informatissimo sitomarvel.fandom.comparla di“adattamento con l’Osservatore come ospite”. In realtà la storia, questa volta espressamente attribuita a Stan Lee per i testi eHowie Purcellper i disegni, mantiene alcuni elementi in comune (il malvivente inseguito dalla polizia, l’idea dello spazio come via di fuga, il nome molto simile del protagonista), ma si discosta da quella originaria soprattutto per la parte ambientata sul pianeta Giove, dove il ladro si è rifugiato con la speranza, in caso di condanna, di godere di una pena più mite. Rimedia invece una spiccia condanna all’ergastolo e il modo di scontarla sarà molto particolare, come potrà verificare chi avrà la pazienza di cercare questa rara storia. Poco garantismo su Giove: processo in una settimana e condanna all’ergastolo per furto d’auto Il primo numero di Dylan Dog, secondo quanto raccontava l’editore Sergio Bonelli, vendette 50mila copie, relativamente poche per l’epoca, ma fu il classico sassolino che diviene valanga. Passa parola tra i lettori, aumento progressivo del venduto (pare sino a 500mila copie a numero), nascita di iniziative collaterali come ilfestival cinematografico dell’orrore, attenzione dei media generalisti, copertine su riviste, ristampe, studi sociologici e chi più ne ha più ne metta. Un successo che, sia pure compatibilmente con lo stato attuale dell’editoria, continua in qualche modo sino ai giorni nostri. Il primo episodio, “L’alba dei morti viventi” (testo diTiziano Sclavi, disegni diAngelo Stanoe copertina diClaudio Villa) è stato variamente criticato, analizzato, imitato, satireggiato… e non poteva non essere anche rifatto. Versione originale e remake a confronto Il remake è una storia breve (32 tavole contro 96) sceneggiata daRoberto Recchionie disegnata daEmiliano Mammucari, con i colori diAnnalisa Leoni, utilizzata nel 2015 per introdurre una collana di ristampe allegata al quotidianoGazzetta dello sport. La trama è naturalmente la stessa, necessariamente condensata (ne soffrono un po’ le battute del comprimario Groucho, davvero scoppiettanti nella versione originaria), con una piccola trovata: la voce narrante è quella di un oggetto, precisamente la custodia del clarinetto di Dylan, il cui ruolo nella vicenda… è meglio non svelare, per non rovinare la sorpresa a quelle persone che non hanno letto la storia. La versione originaria ha lo status di un classico, il disegno di Stano è molto particolare, con un bianco e nero quasi sporco («inchiostrazione a tempera con sfumature secche», secondo le parole dell’autore), e ascendenze pittoriche che rimandano ad artisti come Klimt ed Egon Schiele. Il disegno di Mammucari è più “moderno”, forse più adatto a una storia breve che deve concentrare necessariamente più azione, ed è vivificato da una colorazione di ottimo livello che storicamente nei fumetti Bonelli manca (anche se il n. 1 originario è stato poi ristampato a colori). “Mi chiamo Dog. Dylan Dog”. Momento cult in versione vecchia e nuova Qualcuno storce il naso davanti aDiabolik, lo considera superato e ripetitivo. Ma una serie che resiste in edicola ininterrottamente dal 1962 non può essere liquidata in due parole. Diabolik è un fenomeno di costume, è parte della cultura popolare italiana, e lo è sia per quelli che lo leggono, sia per quelli che si “vergognano” di prenderlo in mano perché non è un fumetto “d’autore”. Il remake è in qualche modo connaturato all’origine stessa del personaggio. Angela Giussani affidò il primo numero della serie, nata senza pretese, a un disegnatore sconosciuto e di limitate risorse artistiche che, secondo una storia ormai leggendaria, sparì nel nulla dopo aver consegnato le tavole. Sempre secondo la leggenda, le sorelle Giussani conoscevano costui solo con un cognome:Zarcone, un uomo di cui null’altro si sa, anche se periodicamente qualcuno torna sull’argomento e prova a risolvere il “caso”. Fatto sta che poco tempo dopo, quando il “fenomeno Diabolik” era ormai esploso, le Giussani fecero ridisegnare pressoché integralmente il numero uno della serie adAngelo Marchesi. Recentemente, nella collanaAnastatika,sono stati integralmente ripubblicati i due albi, in modo da consentire a chiunque di apprezzare analogie e differenze tra le due versioni.