ALONE IN THE DARK FATTO A PEZZI DA UWE BOLL
Alone in the Darkè un titolo piuttosto conosciuto, no? Cosa succede quando i diritti di un nome famoso finiscono fra le grinfie di un nome altrettanto famoso, ma per i motivi sbagliati? Credo che la risposta corretta sia catastrofe. Una catastrofe chiamataUwe Boll: terremoto e tragedia degli adattamenti. Dicevo,Alone in the Darkè un titolo piuttosto conosciuto. Una serie di videogame sviluppata e distribuita dai francesi dellaInfogramesa partire dal 1992. A patto di non aver vissuto gli ultimi trent’anni in una caverna di Marte, più o meno tutti dovrebbero aver sentito parlare deisurvival horror(altrimenti fateci click sopra e avrete tutta la spiegazione). Anche se dei videogames ti sbatte meno di zero, survival horror è un termine diventato di uso comune. Definizione in bocca di tutti daResident Evil, di cui oggi tra l’altro possiamo godere di una lunga e meravigliosa serie di film campionissimi del colpo di sonno. Tenendo presente cheAlone in the Darkè comunque rinomato per esser stato il primo survival horror (almeno così come lo intendiamo oggi), questo nome devi averlo sentito per forza nominare. Era forte il primo Alone in the Dark, con trama e atmosfera dichiaratamente ispirate alle opere diH.P. Lovecraft. Tanto che viene, tra l’altro, pure citato nei ringraziamenti. Con il passare degli anni e dei capitoli della serie, però, le cose si sono un po’ perse. Ci fu comunque una specie di ritorno alle origini quando, nel 2001, uscì il videogiocoAlone in the Dark: The New Nightmare. Titolo su cui si basa sostanzialmente il film diUwe Bolldel 2005. Alone in the Dark: The New Nightmareparte con il piede giusto, con un soffocante muro di testo ammorbante, pippone croce e delizia dei film di qualità.In brevis, circa diecimila anni fa gliAbkani, antica e misconosciuta popolazione di nativi americani, credevano che il mondo fosse diviso in due. Da un lato c’era ilmondo della luce, abitato da noi e da tutto quello che conosciamo. Dall’altro ilmondo dell’oscurità, popolato da strane creature semidemoniache. Tramite una serie di riti occulti, gli Abkani riuscirono ad aprire una sorta di passaggio tra il mondo della luce e quello dell’oscurità. Per farci cosa, vattelappesca. Qualcosa andò storto e i nativi non riuscirono a chiudere il passaggio per tempo, prima che un essere proveniente dal mondo oscuro riuscisse a entrare nel nostro mondo. Arriviamo ai giorni nostri, dove un fantomaticoBureau 713, organizzazione supersegreta che investiga su razzi e paranormale, è sulle tracce di qualcosa che sembra collegato al mito degli Abkani. Il film tira un attimo fiato per introdurre il carismatico protagonistaEdward Carnby, un Christian Slater palesemente imbarazzato dall’aver accettato il ruolo per necessità. Che si presenta subito come“l’uomo giusto, che spacca i culi al momento giusto”. Eh, come no. Gira e rigira torniamo sempre allo stesso punto: perché raccontare, mostrare, quando puoi semplicemente ammazzare lo spettatore di spiegazioni? Vallo a sapere in base a quale delirio, Uwe Boll ha pensato fosse una cosa carina dare info tramite il flusso di coscienza di Carnby. Ma sì, buttiamocelo quel po’ di hard boiled, che fa tanto a cazzotti con le atmosfere diAlone in the Dark. Alé. Comunque, Carnby prende un taxi e viene inseguito da un tizio. Parte una sequenza d’azione banalotta, ma non malvagissima. Peccato che alla fine tutto si conclude in modo ridicolo. Cioè il tizio che insegue Carnby a un certo punto sembra essere immortale. Viene preso a pugni e calci. Investito, sbattuto giù da ponti e palazzi e finanche crivellato di proiettili. Niente. Inarrestabile. Alla fine Carnby come lo elimina? Mossetta di finto-karate che gli mancava giusto il kimono d’oro, il tizio inciampa, finisce impalato su una sbarra e muore. Come? Perché?Fantocci, è lei? Segue ennesimo spiegone riguardo ‘sta specie di “parassiti oscuri” che si impossessano delle persone, donandogli tali caratteristiche. Ok, d’accordo. Ma ciò non spiega perché proiettili e bombe a mano gli fanno il solletico, mentre una micragnosa sbarretta di ferro è letale. Soffoco lo spettatore in un mare di spiegazioni superflue su cose facilmente deducibili da due immagini, ma sorvolo bellamente sui come e i perché di cose che andrebbero approfondite per avere un senso. In compenso, segue altro grandissimo colpo di classe. Viene introdotta la dottoressaAline Cedrac(Tara Reid, che forse aveva bisogno pure lei di soldi in quel momento), la quale, all’oscuro delle azioni di Carnby e del Bureau 713, è impegnata “casualmente” proprio in uno studio sulla civiltà degli Abkani. Ora, come rappresenti un personaggio di cui vuoi far emergere specifici tratti distintivi? La Tara Reid del 2005 aveva ancora un livello di gnoccagine cospicuamente alto, come attenui la maialaggine accentuando le sue prerogative? Tramite una buona presentazione del personaggio? Una serie di dialoghi interessanti e finemente scritti che, nel prosieguo della storia, ne mettano in risalto i tratti? No, basta un paio d’occhiali. Sappiamo tutti che un personaggio quando indossa gli occhiali da vista è uno scienziato o qualcosa di simile. Si indica pure nel curriculum ‘sta cosa.A ogni modo è difficile capire Alone in the Dark: un film noioso e confuso da morire. Vengono buttate dentro cose che, tra loro, legano come la maionese sugli spaghetti. Tre quarti di tempo sono spiegazioni. Nel finale, per esempio, ti viene spiegato perché Carnby soffrisse di amnesia. Viene spiegato chi ha portato di nuovo la “maledizione” degli Abkani ai nostri tempi. Viene spiegato che non c’è una sola cosa che non venga spiegata. La cosa peggiore resta il finale vero e proprio: ridicolmente aperto e ridicolmente copiato daEvil Dead, con la famosa carrellata veloce che si ferma sul volto del protagonista. Non è una citazione, non è un espediente gradito e non ha contesto. Suscita giusto una risata isterica mentre sputi contro lo schermo. Alone in the Darkè, in una parola, ridicolo. Ancor di più se messo in relazione al soggetto originale, sostanzialmente valido e interessante. Viene da chiedersi come sia possibile che tre, e dico ben tre persone insieme, non siano riuscite a scrivere lo straccio di una sceneggiatura decente. Tutto è sviluppato male. La trama presenta buchi logici enormi. I personaggi sono ridicoli e stereotipati oltre ogni limite. Il susseguirsi delle vicende è noioso e le varie sequenze sono scollegate e sconclusionate. Se c’è una cosa che ho apprezzato è il montaggio. Molto neorealistico, molto zio che al matrimonio di tua cugina con una mezza bottiglia di troppo s’impossessa della videocamera e Luchino Visconti spostati.Alone in the Darkè come sparare ai pesci in un barile. Veramente difficile riuscire a fare di peggio. Perciò, mi sorge un dubbio. Non è che, magari, tutta ‘sta bruttura sia voluta? No, perché guardando il film viene da pensare che Uwe Boll sia più qualificato come pelatore di rafani, piuttosto che regista. Eppure, prima di scimunirsi con ‘sti film, è stato imprenditore, produttore cinematografico e ha pure un dottorato in letteratura. Quindi non riesco a capire se sia un genio incompreso, oppure il frutto di un esperimento mal riuscito. Con terribile disappunto credo che anche per stavolta sia tutto. Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro. Regia: Uwe BollProduzione: Uwe Boll, Wolfgang Herold, Shawn WilliamsonSceneggiatura: Elan Mastai, Michael Roesch, Peter Scheerer, basato su Alone in the Dark di InfogramesStarring: Christian Slater, Tara Reid, Stephen DorffCasa di produzione: Boll KG Entertainment, Herold Productions, Brightlight Pictures, Infogrames EntertainmentDistribuzione: Concorde Filmverleih – Lions Gate FilmsData di uscita: 28 gennaio 2005