ALBERTO BRECCIA, IL FUMETTO COME SPERIMENTAZIONE

“La storia del fumetto va divisa in due epoche: quella che precede Alberto Breccia e quella che viene dopo Alberto Breccia”, Frank Miller.
La storia personale di Alberto Breccia si confonde con quella del fumetto argentino, del quale è stato uno dei padri nobili e certamente il disegnatore più rappresentativo. Nato a Montevideo, capitale dell’Uruguay, da una famiglia di origini italiane, all’età di tre anni si trasferisce con i genitori a Buenos Aires, dove cresce assorbendo lo spirito e la cultura argentine.
Spirito irrequieto e appassionato, non ha mai smesso di sperimentare l’utilizzo di tecniche sempre nuove nel tentativo di raggiungere la massima profondità espressiva, arrivando così a creare un ponte tra il fumetto popolare e quello “d’autore”. Artista visionario e impegnato, ha legato la sua produzione alle vicissitudini dell’Argentina durante i decenni che seguirono la seconda guerra mondiale. Alberto Breccia disegnò le sue storie dalla caduta del peronismo alle giunte militari che trascinarono il paese nella “guerra sporca”, che vide l’eliminazione di oltre 30mila persone, tra le quali il suo caro amico sceneggiatore Hector German Oesterheld.
Si tratta di una storia travagliata che tenteremo di ripercorrere attraverso le opere più riuscite di questo maestro dell’historieta.
Sherlock Time (1959)
Hugo Pratt, suo grande amico, gli disse un giorno: “Tu, alla fine, non sei che una puttana da quattro soldi, perché sprechi il tuo tempo con Vito Nervio quando potresti fare cose molto migliori”. Vito Nervio era un fumetto seriale senza infamia e senza lode che Breccia portava avanti, imitando lo stile di Milton Caniff, fin dal 1947.
Queste parole colpirono Breccia, tanto che nel 1959 sulle pagine di Hora Cero iniziò la sua prima collaborazione con il direttore-editore Hector German Oesterheld. Ne uscì fuori Sherlock time, che come suggerisce il nome di professione fa “l’investigatore del tempo”.
Sherlock Time riflette in gran parte le passioni dei suoi autori, situandosi a cavallo tra la fantascienza, amata da Oesterheld e l’horror, grande amore di Breccia. Sono proprio le atmosfere horror che danno la possibilità a Breccia di fare un decisivo passo avanti stilistico rispetto a Vito Nervio.

Alberto Breccia ha ben chiaro che la rappresentazione dell’orrore non può essere realizzata efficacemente attraverso un disegno realistico. Del resto nei libri horror la paura è affidata a descrizioni che in realtà non descrivono nulla di preciso e allo stesso modo nei film horror l’ansia arriva più da quello che non si vede che da quello che si vede.
Breccia capisce che per raffigurare al meglio la paura deve affidarsi all’arte astratta. Ecco allora che le vignette si riempiono di vorticose linee di inchiostro a tratteggiare figure sostanzialmente informi, impossibili da cogliere nella loro irrazionalità. Breccia si appropria quindi, con talento artistico e consapevolezza fumettistica, dell’arte astratta per rappresentare l’irrappresentabile.
Rinuncia a futili tentativi di rendere coerenti descrizioni che non intendono esserlo, per mettere in evidenza il tono e il senso di disagio, e poi di terrore di fronte a entità che sono per loro stessa natura inafferrabili.
In Italia questi episodi furono pubblicati sul settimanale Lanciostory tra il marzo e il dicembre del 1978.
Mort Cinder (1962)
Hora Cero chiude nel novembre del 1959, insieme all’età d’oro del fumetto argentino che non vedrà mai più così tanti talenti riuniti in una sola rivista. Il maestro uruguaiano abbandona per un po’ il fumetto dedicandosi alla pubblicità. Poi torna. Ancora una volta assieme a Oesterheld, per lasciare un segno indelebile nel fumetto mondiale.
Il tutto avviene sulle pagine di MisterX, storica rivista fondata dall’Editorial Abril di Cesare Civita, passata nel 1957 alla Yago Editorial, che pubblicherà gli ultimi capisaldi della scuola argentina del fumetto.
Diciamo subito che Mort Cinder è un capolavoro assoluto. È uno di quei rari casi dove le differenze tra arte “bassa” e arte “alta” si azzerano. Mort Cinder rappresenta da subito un’anomalia, un’opera che impone regole nuove nella produzione di massa, che ribalta il rapporto tra sperimentazione e procedimenti grafici tradizionali e mette in discussione il significato stesso della tecnica e del linguaggio del fumetto.

Come riporta Beppi Zancan nell’ introduzione al volume Oscar Mondadori n. 521 gli uomini dagli occhi di piombo la tecnica usata nelle tavole è complessa. “Alberto Breccia per Mort Cinder ha usato il pennello con l’inchiostro di china variamente diluito, a volte mescolato con la colla (quella solida, tipo cocoina). Ma, oltre al pennello e agli strumenti tradizionali, ha usato anche le lamette da barba (per effetti vari e sfumature nella china). E ha fatto largo uso di oggetti tra i più disparati, come i tamponi e le spugnette per ottenere effetti tipo impronte, aggiungere un senso di materia alle cose disegnate, macchie sugli sfondi.
Negli episodi del penitenziario, poi, Breccia ha fatto anche un magistrale uso del retino”.

Furono la povertà, la mancanza di lavoro e il calvario dovuto alla malattia della moglie a spingere Breccia verso la sperimentazione. Mort Cinder è un fumetto che nasce da una crisi che è insieme economica e morale, i segni decisi della lametta che incide la china sulla carta rimangono indelebili a testimoniare una profonda sofferenza interiore.
Le storie di Mort Cinder furono pubblicate in Italia sulla rivista Il Mago dal n. 3 del giugno 1972, con la prima parte della storia Gli occhi di piombo, fino al n. 19 dell’ottobre 1973, con la seconda parte della storia La battaglia delle Termopili.
Dopo la pubblicazione su Il Mago c’è stato il passaggio nella collana degli Oscar Mondadori, nel volume n. 521 del febbraio 1974. Nel 1979 per la Imago Libri, a cura di Luigi F. Bona, esce una edizione cartonata in quattro volumi di grande formato con una qualità di stampa eccezionale, in cui si distinguono tutte le pennellate del maestro.
Vida del Che (1968)
L’ultima avventura di Mort Cinder (La battaglia delle Termopili) viene pubblicata in Argentina sui numeri 794-800 di Misterix nei primi mesi del 1964. Col numero 859, uscito nel maggio del 1965 la rivista chiude e termina quello che era rimasto dell’età d’oro del fumetto argentino.
L’ingresso massiccio in Argentina di riviste popolari di fumetti messicane a poco prezzo, le traduzioni dei supereroi nordamericani e la diffusione della televisione provocano il trasferimento in Europa (dove erano pagati meglio) di alcuni dei principali protagonisti di quella stagione.
Alberto Breccia non si trasferisce, ma comincia a lavorare per l’editore inglese Fleetway, e per il mercato italiano, dove pubblica sul Corriere dei Piccoli, e inizia a insegnare presso il “Instituto de Directores de Arte”.
Il suo stile segna un passo indietro per quello che riguarda la sperimentazione, risultando standardizzato rispetto a quello sensazionale utilizzato per Mort Cinder.

Il disegnatore di origina uruguaiana ritorna a stupire nel gennaio 1968 quando insieme al figlio Enrique, disegnatore dotato destinato pure lui alla notorietà (seppur lontano dalle vette paterne), realizza su testi di Hector German Oesterheld una specie di instant book sulla vita di Ernesto “Che” Guevara, icona della ribellione giovanile, ucciso il 9 ottobre 1967.
Alberto Breccia utilizza in quest’opera uno stile più sperimentale di quello per le opere successive a Mort Cinder, anche se comunque tradizionale rispetto alle storie dell’immortale viaggiatore del tempo. Breccia vuole qui essere soprattutto imparziale e descrittivo, completamente al servizio della importante funzione storica dell’opera, pertanto solo occasionalmente si concede qualche vignetta sperimentale, con il ricorso al collage e altre tecniche. Il volume otterrà un successo al di là delle previsioni.
L’Eternauta (1969)
La rivista giornalistica argentina Gente nel 1969 commissiona a Hector German Oesterheld un remake del suo L’Eternauta, stavolta non più con un disegnatore dal taglio tradizionale come Francisco Solano Lopez, ma di un vero e proprio artista come Alberto Breccia. Ci sono tutti i presupposti per trovarsi di fronte ad un capolavoro, ma non sarà così.
La nuova versione dell’Eternauta inizia a essere pubblicata sul numero 201 di Gente. Fin dalle prime pagine capiamo di trovarci di fronte a una sceneggiatura molto più cupa e senza speranza, anche rispetto a quella non certo ottimistica uscita nel 1957. Breccia poi taglia decisamente i ponti con il disegno preciso e lineare di Solano Lopez, schiacciando l’acceleratore sulla sperimentazione che a volte risulta fine a se stessa, poco funzionale alla narrazione. Con il numero 209 qualcosa inizia palesemente a incrinarsi. I lettori del primo Eternauta insorgono e, nella rubrica della posta, iniziano a criticare l’Eternauta di Breccia.

I lettori non contestano la bravura del disegnatore, del quale riconoscono l’unicità, ma facendo il paragone con Solano Lopez rilevano come il tratto di Breccia appaia spesso confuso, con vignette a volte incomprensibili e protagonisti che si confondono tra loro. Nel n. 216 il direttore Carlos Fontanarossa ammette che qualcosa nell’operazione non ha funzionato, evidenziando come “la forma, il mezzo, si è convertito in fine e ha perso per strada i suoi obiettivi”.
Di fronte al secco rifiuto di Alberto Breccia di rendere il suo stile di disegno più “tradizionale”, il direttore della rivista sollecita la chiusura della serie.
A distanza di anni rimane il rimpianto per quello che poteva essere e non è stato e lo stupore di fronte alla carica espressionista, glaciale e deformante delle illustrazioni di Breccia, che realizza tavole oscure e paurose che mal si prestano a raccontare quella che ormai era diventata la “storia” Argentina per eccellenza.
Nel 1972 la versione pensata per Gente compare a puntate in Italia su Linus, riscuotendo un discreto successo. I lettori italiani, che non potevano fare i paragoni con la versione di Solano Lopez (a quei tempi ancora inedita in Italia), apprezzarono lo stile di Breccia trovandolo molto sofisticato. Sette anni dopo uscirà un volume che raccoglie tutte le puntate. Titolo: “Oltre il tempo”. Casa editrice: L’isola trovata.
I miti di Chtulu (1973)
Nel 1973, dopo una breve pausa, Alberto Breccia torna a disegnare fumetti e lo fa misurandosi con un gigante come H.P. Lovecraft. Da sempre affascinato dalle tematiche horror, l’autore argentino si trova a proprio agio con le atmosfere dei “miti di Chtulu”. Compreso che Lovecraft prima che all’orrore tende all’astrazione, Breccia crea un fumetto che più che poggiarsi sul terrificante lo fa sull’arte informale.
I mostri di Breccia sono macchie d’inchiostro, tratteggi informi di grafite, collage di cose familiari che riescono ad apparire inquietanti. Perché, dice l’autore, “volevo che ogni lettore aggiungesse del suo alla mia rappresentazione di Lovecraft: che sovrapponesse alla base informe che gli fornivo i propri timori, la propria personale paura”. Non si sta parlando di un orrore fisico, viscerale, ma di un orrore astratto, indescrivibile.

Le divinità di Lovecraft sono spesso solo nomi. Di loro sappiamo poco o nulla, abbiamo solo descrizioni sommarie, inadatte a una rappresentazione figurativa. Ci è concessa la massima libertà: li possiamo immaginare a nostro piacimento, come masse di gelatina o nebulose nello spazio profondo.
Per descrivere l’indescrivibile il maestro argentino fa ricorso ai mezzi più disparati. Utilizza uno stile convenzionale, quasi classico, nella descrizione degli esseri umani, raffigurati con anatomie accademiche e abiti d’epoca. Si avvale della tecnica del collage per mettere in scena le location dove si svolgono le storie. Questa tecnica permette di realizzare ambienti ambigui che emanano un profondo senso di irrealtà, dando così un contributo decisivo al mood della storia.
Infine, quando arrivano i mostri, Breccia si rifugia nell’astratto, in questo caso nell’informale. Il risultato finale, raggiunto attraverso sgocciolamenti di inchiostro, tagli, cancellature e sovrapposizioni di biacca, lascia a bocca aperta.
Si tratta di una serie di nove racconti pubblicati sulla rivista Il Mago tra il 1973 e il 1975 e poi raccolti in volume dall’editore L’isola trovata nel 1978.
Un tal Daneri (1975)
Dopo la crisi di inizio anni sessanta il fumetto argentino vive una nuova primavera a partire dai primi anni settanta, legata principalmente alla rivista Skorpio, da non confondere con la successiva “versione” italiana. Skorpio apparve nelle edicole nel luglio 1974, sotto la direzione di Alfredo Scutti per le Ediciones Record.
Ben presto Skorpio vendette così bene da spingere l’editore a lanciare altre riviste, testimoniando l’inizio di una una nuova primavera per il fumetto argentino. Tra queste riviste è rimasta nella storia Mengano, una pubblicazione che ospitò i primi lavori di Carlos Trillo, all’epoca giovane sceneggiatore esordiente che, per una serie di fortunate circostanze, riesce a fare coppia con Alberto Breccia. Dalla loro collaborazione nascono otto episodi senza titolo, pubblicati tra il 1975 e il 1977, che hanno come protagonista un “tal Daneri”.

Sono storie profondamente argentine, a partire dal nome del protagonista che omaggia un personaggio dell’Aleph, il capolavoro di Jorge Luis Borges. Carlos Trillo ci racconta le avventure di un maturo investigatore privato, cinico e disincantato, impegnato in casi fallimentari che hanno per protagonisti perdenti e poveracci, i quali vagano tra i bassifondi di una città decadente e crudele in cui riaffiorano vecchi ricordi, inutili vendette, laceranti solitudini e amori sbagliati.
L’ambientazione è quella del barrio Mataderos, quartiere di Buenos Aires in cui Breccia ha trascorso gli anni della giovinezza. Le sperimentazioni di Breccia sono qui funzionali alle atmosfere dei racconti e trovano nella tecnica del collage una modalità espressiva perfetta per rappresentare un’Argentina cupa e decadente, i suoi vicoli scuri, i suoi locali di terz’ordine. Il protagonista, dal volto e dall’anima segnati è afflitto da una stanchezza eterna e immutabile.
In Italia vennero pubblicati negli anni settanta da Milano Libri sulla rivista Alter Alter e, in volume, dalle Edizioni Editiemme.
Il cuore rivelatore (1975)
La passione di Alberto Breccia per la letteratura gotica non poteva che portare il nostro a confrontarsi con il suo massimo esponente: Edgar Allan Poe. Il disegnatore prese questo impegno molto seriamente. “Considero ‘Il cuore rivelatore” uno dei miei adattamenti più riusciti”, rivelò in un’intervista. “Mi costò quasi un anno di progettazione. Un anno in cui non smisi mai di chiedermi quale fosse la soluzione migliore per realizzare la storia. Un giorno mi recai a teatro a vedere ‘Morte di un commesso viaggiatore’ di Arthur Miller. La scenografia consisteva in una casetta di due piani tagliata a metà, in modo che lo spettatore potesse vedere le stanze con l’arredamento e tutto il resto. Ero così preso dalla osservazione della quantità di dettagli che il regista aveva inserito nella messa in scena che alla fine non mi ricordavo niente di quello che era successo. Fu così che mi convinsi a eliminare tutto il superfluo dalla mia storia. Lo scenario sarebbe stato un semplice bianco e nero. Mi sarei concentrato solo sui personaggi”.

Scelta quanto mai felice, dato che Breccia alla fine realizza un’opera di sole 11 pagine che è una vera e propria lectio magistralis di arte fumettistica. Con questa storia Breccia regala ai posteri nuove regole di sintassi, certifica nuove possibilità, inaugura filoni poetici che forniranno linfa vitale a decine di autori.
Apparso in Italia su Alterlinus n. 9 del settembre 1975, il fumetto appare a prima vista realizzato in modo ingannevolmente semplice. Le pagine sono interamente basate su di una griglia di 3×3 per un totale di 9 vignette a pagina. I toni presenti sono solo due, il bianco e il nero assoluti.
Lo storytelling è basato sulla ripetizione ossessiva di pochi, scarni moduli espressivi. Anche le variazioni all’interno delle singole vignette sono minime, spesso attuate mediante un uso evocativo dello zoom. Non si esce da questa struttura oppressiva, da questa gabbia formale che sembra imprigionare e invece libera esaltando l’ossessività e la schizofrenia del racconto originale. In questo universo minimale i volti della vittima, del carnefice e dei poliziotti sono trasformati in suggestive maschere da teatro greco.
Breccia riesce a distillare tutta l’essenza paranoica del testo di Poe e a restituircela sotto forma di un ritmo che pulsa sull’onda dell’immaginaria pulsazione del cuore dell’anziano ucciso. Si tratta senza dubbio di una tra le trasposizioni di Poe più riuscite, che si presenta come un opera dal carattere profondamente fumettistico.
Perramus (1985)
Dopo la guerra contro gli inglesi per il possesso delle isole Falkland, inevitabilmente persa, nel 1983 crolla come un castello di carte la dittatura di Jorge Rafael Videla e di Leopoldo Galtieri che aveva avuto inizio nel 1976. Il ritiro dei militari lasciò in eredità al governo democratico di Raúl Alfonsín un paese in precario equilibrio sociale e in balia di una profonda crisi economica. Questo periodo di passaggio fu attraversato da molteplici fermenti politici e culturali che si intersecarono e si intrecciarono.
Si verificò un fenomeno simile a quello successo pochi anni prima nella Spagna post-franchista, chiamato “scoprimento”. La ripresa democratica segnò un’importante trasformazione della produzione culturale, che evidenziò il pluralismo e la libertà di espressione come valori principali. Venne sviluppato un programma di alfabetizzazione di massa, fu abrogata la censura cinematografica, fu approvata la legge sul divorzio e si tentò di promuovere un clima di assoluta libertà di opinione.
Questi cambiamenti furono accompagnati dalla voglia di trasgredire i limiti di ciò di cui si poteva parlare e trasmettere in tv, sulle radio e sui giornali. In questa atmosfera di euforia collettiva nasce nel 1984, pubblicata dalla casa editrice La Urraca, la rivista a fumetti Fierro, che recava il significativo sottotitolo “storie per sopravvissuti”. Juan Sasturain era a capo della redazione e Andrés Cascioli svolgeva funzioni di direzione editoriale.

Sulle pagine di Fierro nel 1985 venne pubblicato un fumetto che Juan Sasturain aveva concepito assieme ad Alberto Breccia nel 1983, nell’immediato dopo-dittatura. Il fumetto era già stato pubblicato nel 1984 sulla rivista italiana Orient Express e già se ne parlava come di un capolavoro.
Il suo nome era Perramus. Perramus va letto sulla falsariga delle grandi storie che attraversano la cultura argentina, nel doppio senso della parola. Sono grandi per la loro qualità e anche per quello che cercano e riescono a includere: narrazioni, spiegazioni e interpretazioni del mondo comprese.
Perramus è classico e doloroso come certi tanghi. Perramus è forse uno dei migliori fumetti argentini. La storia segue lo schema classico della caduta seguita da una lenta risalita. Tra questi due estremi c’è l’oblio come unica possibilità di salvezza. Perramus è l’Argentina della ripresa democratica che non riesce a dimenticare gli anni della guerra sucia (sporca) e dell’orrore.
Nelle vignette di Alberto Breccia gli oppressori stanno dappertutto, rappresentati con potenza grafica devastante come teschi con l’elmetto. Breccia sceglie di dare vita al mondo di Perramus attraverso una serie infinita di grigi. L’unico colore adatto a rappresentare la “repubblica del guano” che basa sugli escrementi dei volatili la propria precaria economia.
Infine, unica ancora di salvezza in questa traversata infinita, appare la sapienza, la cultura, la poesia, incarnata nella persona del grande scrittore Jorge Luis Borges. Un faro nella notte, una guida infallibile per l’Argentina che verrà.
Rapporto sui ciechi (1991)
Ernesto Sabato era uno scrittore di origini italiane, come la metà degli abitanti dell’Argentina. Nel 1961 scrisse il romanzo storico “Sopra eroi e tombe”, considerato una delle più grandi opere della letteratura Argentina del Novecento.
Il terzo capitolo del romanzo, il cosiddetto “Rapporto sui ciechi” viene considerato il cuore oscuro dell’opera. Si tratta di un allucinato racconto in prima persona che insegue e sviluppa idee assolutamente deliranti.
Alberto Breccia incontra Ernesto Sabato nel 1970. Gli chiede di adattare il Rapporto sui ciechi. Sabato accetta. Breccia lavora all’adattamento del testo assieme a Norberto Buscaglia, marito di sua figlia Cristina. Una volta pronte le matite, Sabato dice che del suo testo non deve essere toccata nemmeno una riga.
Breccia allora declina: non vuole illustrare, ma adattare il testo di Sabato al medium del fumetto. Sabato dà dieci anni dopo l’ok, ma Breccia era occupato in altro. Passano altri dieci anni. Il Rapporto sui ciechi esce infine nel 1991. Ed è un nuovo incredibile capolavoro del maestro uruguaiano che morirà due anni dopo.

Dal punto di vista letterario, il testo originale è stato stravolto. “Quando adatto un testo letterario la sua mutilazione è un fatto inevitabile. La trasposizione da un linguaggio a un altro implica per forza, l’indebolire di una sorgente rispetto al nuovo corso”, dirà Breccia.
Si tratta del racconto del delirio di Fernando Vidal Olmos, un uomo ossessionato dai ciechi che crede stiano tramando per impadronirsi del mondo. È sicuro che vivano “in caverne, cantine, condotti fognari, fessure profonde… e alcuni, i più potenti, in enormi tane sotterranee a centinaia di metri di profondità”.
Fernando inseguirà i ciechi lungo il loro sentiero per scoprire la fonte ultima del loro potere. Nel realizzare questo suo ultimo capolavoro, “El viejo” (Il Vecchio, come ormai venva chiamato Alberto Breccia) utilizza tutto l’immenso vocabolario grafico che ha messo assieme in tanti anni.
Troviamo soprattutto rimandi all’intera storia dell’arte. Da Giovan Battista Piranesi, uno degli iniziatori dell’immaginario gotico, a Francisco Goya con le sue pitture nere, a Alfred Kubin e alla sua Totentanz, per finire con l’artista astratto Franz Kline e le sue spesse linee nere su fondo bianco…
Complimenti, uno splendido articolo.
Quando seppi della morte di Alberto Breccia mi sentii orfano, provai uno smarrimento.
Ecco, bravo, Arcangelo: tanto che sei lì, scrivi qualche altro articolo per Giornale POP.
Articolo molto interessante. Solo di una parte ho notizie diverse. Le famose lettere dei lettori indignati non erano vere, ma inventate di sana pianta dal direttore della rivista, su pressioni della giunta militare. In pratica la storia, che doveva essere molto più lunga, fu interrotta bruscamente per i motivi sopra elencati.
Mi pare difficile: la pubblicazione su Gente è del 1969, la giunta militare del 1976.
Piuttosto i testi furono rivisti dal direttore di Gente, per renderli meno politicizzati e più vicini al fumetto originale.
Chissà: in realtà dal ’66 vigeva la dittatura del generale Onganía, meno apertamente feroce di quella avviata dieci anni dopo da Videla Massera ecc, ma che potrebbe aver voluto censurare il fumetto
Mi pare comunque strano. Un direttore non ha la necessità di mandarsi delle lettere false che criticano i disegni: semplicemente non pubblica quello che non vuole vedere sul proprio giornale. La sua azione è stata quella di censurare i testi del nuovo Eternauta, piuttosto.
Sbaglierò o un pezzo dell’articolo cita pedissequamente l’intro dell’Oscar “Gli uomini dagli occhi di piombo”? Lo prendo come un atto di amore, anche per me quel volume è stato un incontro fondamentale