QUELLO CHE NON SAPETE DEL NATALE IN CUI NACQUE ZIO PAPERONE

QUELLO CHE NON SAPETE DEL NATALE IN CUI NACQUE ZIO PAPERONE

Il 15 dicembre 1947 esce il numero 178 di “Four Color” con all’interno una storia dal titolo“Christmas on Bear Mountain”(Paperino e il Natale sul Monte Orso), in essa esordisce un nuovo personaggio del variopinto mondo Disney: Scrooge McDuck, in Italia Zio Paperone. Ebenezer Scrooge, il personaggio del racconto di Charles Dickens La parodia del racconto di Dickens realizzata da Barks, con la prima apparizione di uno Zio Paperone molto anziano Il nuovo personaggio viene presentato come la versione antropomorfa del taccagno Ebenezer Scrooge, il protagonista del racconto “Canto di Natale” di Charles Dickens, e in effetti le caratteristiche ci sono tutte. Però nel tempo quel vecchio rancoroso attaccato al denaro muta il proprio aspetto che diventa più vigoroso, anche perché le avventure da affrontare da lì in poi saranno tantissime. In pensione, Carl Bark dipinse i suoi personaggi realizzati per la Disney Oltre alle caratteristiche che vengono comunemente attribuite a Paperon De Paperoni ritengo ci sia molto di più, perché in lui ritroviamo tutte le fatiche e difficoltà che ognuno di noi ha affrontato almeno una volta nella vita. Tutto quello che possiede non glielo ha regalato nessuno: lo ha ottenuto con lacrime e sangue. Il suo attaccamento ai beni materiali è tutto sommato comprensibile. Il giovane Paperon De Paperoni con Doretta Doremì, il suo primo amore Nonostante la sua cattiva fama, non di rado il cuore di Paperone si scalda sorprendendoci con gesti di bontà apparentemente estranei alla mentalità di un tirchio dall’apparente cuore di pietra come lui.Quest’anno ricorre il settantesimo anniversario di quello che è lo zio di un po’ tutti noi, nei pregi e nei difetti, perché, ammettiamolo, abbiamo sempre parteggiato per lui. Non meno straordinaria e degna di essere raccontata è stata la vita del suo creatore, l’immenso Carl Barks, l’uomo dei Paperi. Nasce il 27 marzo del 1901 e per capire almeno un po’ di che livello fosse il suo genio basti pensare che nel 1931 lavorava per il giornale Calgary Eye-Opener, il cui redattore Ed Summer era convinto di pagare uno staff composto da più persone quando in realtà Barks faceva tutto da solo, firmando in modi diversi: la cosa andò avanti per quattro anni. Questo episodio cela anche le difficoltà che Barks incontrò durante la prima metà della sua vita, perché in un difficile periodo storico che abbracciò due dopoguerra, segnato anche da un doloroso divorzio (la moglie non appoggiava le aspirazioni di Barks), non venne mai meno il suo amore per ciò che più di ogni altra cosa voleva fare: disegnare. Prima di andare alla Disney, Carl Barks fece diversi lavori, tra i quali quello del vignettista erotico PerWalt Disneyinizia a lavorare nel 1935 come intercalatore, ma ben presto il suo talento e la bellezza delle sue gag lo catapultano nello staff di soggettisti che si sarebbero dovuti occupare dell’astro nascente in casa Disney: Paperino. Nel 1943 abbandona l’animazione (detestava i cortometraggi di propaganda militare di quel periodo e il dover continuamente discutere con i superiori), per cominciare a fare l’allevatore di bestiame insieme alla seconda moglie. Un albo della casa editrice Dell, per la quale Barks disegnava i fumetti dei paperi: visto il successo, a Zio Paperone fu data una serie tutta sua Contemporaneamente allaccia un rapporto con la casa editrice Western Printing & Lithographing Co., meglio conosciuta con il marchio Dell, cominciando a disegnare storie a fumetti di Paperino. Diversamente dai cartoni animati, finalmente qui poteva fare tutto da solo, dalla sceneggiatura ai disegni.Come abbiamo detto, nel natale del 1947 crea il suo personaggio simbolo: Zio Paperone. A 46 anni raggiunge il successo, e con Paperone entra in simbiosi, fino a riuscire anche a eguagliarne la lunghissima vita. L’arte di Carl Barks è in qualche modo simile a quella di Charlie Chaplin, un altro genio che amava costruire tutto da solo personaggi e storie. Le storie di Barks sono umoristiche e avventurose insieme, mettono a frutto la sua bravura come animatore nel trasmettere il movimento in maniera dinamica, cinetica, con scenografie da grandi kolossal hollywoodiani. Facendo attenzione, si nota che in alcune storie c’è anche il lato squisitamente umano di Barks. Nei volti dei paperi il suo vissuto viene spesso a galla con riflessioni romantiche, malinconiche e dagli sguardi sognanti. Esprimono il disincanto e la nostalgia del guardarsi indietro, rimpiangendo qualcosa che si è perduto: magari i periodi dell’innocenza in cui il piccolo Carl girovagava avventurosamente con la sua famiglia cambiando spesso mestiere, provando gioie e dolori. Carl Barks muore poco prima di compiere cento anni, lasciandoci una eredità fatta di umanità, divertimento e riflessione dolceamara unica nel suo genere. Nota a marginedi Sauro Pennacchioli Come dice l’autore dell’articolo,Angelo La Rosa, Zio Paperone è un ispirato a Ebenezer Scrooge, il protagonista del racconto “Canto di Natale” pubblicato nel 1843 da Charles Dickens. Un racconto bellissimo che vale la lettura anche in questa vecchia traduzione che vi proponiamo.Però, ne sono certo, quando Carl Barks creò Zio Paperone nel 1947 aveva in mente soprattutto la parodia del vecchio tirchio dickensiano fatta dalla giallista Agatha Christie nel romanzo“Il Natale di Poirot”(Hercule Poirot’s Christmas, 1939). Simeon Lee, questo il nome del taccagno nel romanzo, ha la mania che vedremo riprodotta in Zio Paperone di gingillarsi infantilmente con i propri averi: nel caso del personaggio della Christie non sono monete, ma diamanti. A questo si aggiungono altri particolari interessanti che scoprirete voi stessi quando andrete a prendere il romanzo in libreria per leggervelo con la dovuta attenzione. Marley, prima di tutto, era morto. Niente dubbio su questo. Il registro mortuario portava le firme del prete, del chierico, dell’appaltatore delle pompe funebri e della persona che aveva guidato il mortoro. Scrooge vi aveva apposto la sua: e il nome di Scrooge, su qualunque fogliaccio fosse scritto, valeva tant’oro. Il vecchio Marley era proprio morto per quanto è morto, come diciamo noi, un chiodo di porta. Badiamo! non voglio mica dare ad intendere che io sappia molto bene che cosa ci sia di morto in un chiodo di porta. Per conto mio, sarei stato disposto a pensare che il pezzo più morto di tutta la ferrareccia fosse un chiodo di cataletto. Ma poiché la saggezza dei nostri nonni sfolgora nelle similitudini, non io vi toccherò con sacrilega mano; se no, il paese è bell’e ito. Lasciatemi dunque ripetere, solennemente, che Marley era morto com’è morto un chiodo di porta. Sapeva Scrooge di questa morte? Beninteso. Come avrebbe fatto a non saperlo? Scrooge e il morto erano stati soci per non so quanti anni. Scrooge era il suo unico esecutore testamentario, unico amministratore, unico procuratore, unico legatario universale, unico amico, unico guidatore del mortoro. Anzi il nostro Scrooge, che per verità il triste evento non aveva fatto terribilmente spasimare, si mostrò sottile uomo d’affari il giorno stesso dei funerali e lo solennizzò con un negozio co’ fiocchi. Il ricordo dei funerali mi fa tornare al punto di partenza. Non c’è dunque dubbio che Marley era morto. Questo mettiamolo bene in sodo, se no niente di maraviglioso potrà scaturire dalla storia che son per narrarvi. Se non fossimo perfettamente convinti che il padre d’Amleto è morto prima che s’alzi il sipario, la sua passeggiatina notturna su pei bastioni al vento di levante non ci farebbe maggiore effetto della bisbetica passeggiata di un qualunque attempato galantuomo il quale se n’andasse di notte in un posto ventoso – il cimitero di San Paolo, poniamo – pel solo gusto di sbalordire la melansaggine del proprio figliuolo. Scrooge non cancellò dall’insegna il nome del vecchio Marley. Parecchi anni dopo, leggevasi sempre sulla porta del magazzino: “Scrooge e Marley”. La ditta era nota per Scrooge e Marley. Seguiva a volte che qualche novizio agli affari desse a Scrooge ora il nome di Scrooge e ora quello di Marley; ma egli rispondeva a tutti e due. Per lui era tutt’una cosa. Oh! ma che stretta sapevano avere le benedette mani di cotesto Scrooge! come adunghiavano, spremevano, torcevano, scuoiavano, artigliavano le mani del vecchio lesina peccatore! Aspro e tagliente come una pietra focaia, dalla quale nessun acciaio al mondo aveva mai fatto schizzare una generosa scintilla; chiuso, sigillato, solitario come un’ostrica. Il freddo che aveva di dentro gli gelava il viso decrepito, gli cincischiava il naso puntuto, gli accrespava le guance, gli stecchiva il portamento, gli facea rossi gli occhi e turchinucce le labbra sottili, si mostrava fuori in una voce acre che pareva di raspa. Sul capo, nelle sopracciglie, sul mento asciutto gli biancheggiava la brina. La sua bassa temperatura se la portava sempre addosso; gelava il suo studio né giorni canicolari; non lo scaldava di un grado a Natale. Caldo e freddo non facevano effetto sulla persona di Scrooge. L’estate non gli dava calore, il rigido inverno non lo assiderava. Non c’era vento più aspro di lui, non c’era neve che cadesse più fitta, non c’era pioggia più inesorabile. Il cattivo tempo non sapeva da che parte pigliarlo. L’acquazzone, la neve, la grandine, il nevischio, per un sol verso si potevano vantare di essere da più di lui: più di una volta si spargevano con larghezza: Scrooge no, mai. Nessuno lo fermava mai per via per dirgli con cera allegra: “Come si va, caro il mio Scrooge? a quando una vostra visita?” Né un poverello gli chiedeva la più piccola carità, né un bambino gli domandava che ore fossero, né uomo o donna, una volta sola in tutta la vita loro, si erano rivolti a lui per informarsi della tale o tal’altra strada. Perfino i cani dei ciechi davano a vedere di conoscerlo; scorgendolo di lontano subito si tiravano dietro il padrone in una corte o in un chiassuolo. Poi scodinzolavano un poco, come per dire: “Povero padrone mio, val meglio non aver occhi che avere un mal occhio!” Ma che gliene premeva a Scrooge! Meglio anzi, ci provava gusto. Sgusciare lungo i sentieri affollati della vita, ammonendo la buona gente di tirarsi in là, era per Scrooge come per un goloso sgranocchiar pasticcini. Una volta – il più bel giorno dell’anno, la vigilia di Natale – il vecchio Scrooge se ne stava a sedere tutto affaccendato nel suo banco. Il tempo era freddo, uggioso, tutto nebbia; e si sentiva la gente di fuori andar su e giù, traendo il fiato grosso, fregandosi forte le mani, battendo i piedi per terra per scaldarseli. Gli orologi del vicinato avevano battuto le tre, ma era già quasi notte, se pure il giorno c’era stato. Dalle finestre dei negozi vicini rosseggiavano i lumi come tante macchie sull’aria grigia e spessa. Entrava la nebbia per ogni fessura, per ogni buco di serratura; e così densa era di fuori che, ad onta dell’angustia del vicoletto, le case dirimpetto parevano fantasmi. Davvero, quella nuvola scura che scendeva e scendeva sopra ogni cosa faceva pensare che la Natura, stabilitasi lì accanto, avesse dato l’aire a una sua grande manifattura di birra. L’uscio del banco era aperto, per dare agio a Scrooge di tenere d’occhio il suo commesso, il quale, inserito in una celletta più in là, una specie di cisterna, attendeva a copiar lettere. Scrooge non aveva per sé che un fuocherello; ma tanto più misero era il fuocherello del commesso, che pareva fatto di un sol pezzo di carbone. Né c’era verso di accrescerlo, perché la cesta del carbone se la teneva Scrooge con sé; e quando per caso il commesso entrava con in mano la paletta, issofatto il principale gli faceva capire che sarebbe stato costretto a dargli il benservito. Epperò lo scrivano si avvolgeva al collo il suo fazzoletto bianco e ingegnavasi di scaldarsi alla fiamma della candela: il che, per non essere egli un uomo di gagliarda immaginazione, non gli riusciva né punto né poco. – Buon Natale, zio! un allegro Natale! Dio vi benedica! – gridò una voce gioconda. Era la voce del nipote di Scrooge, piombato nel banco così d’improvviso che lo zio non lo aveva sentito venire. – Eh via! – rispose Scrooge – sciocchezze! – S’era così ben scaldato, a furia di correre nella nebbia e nel gelo, cotesto nipote di Scrooge, che pareva come affocato: aveva la faccia rubiconda e simpatica; gli lucevano gli occhi e fumava ancora il fiato. – Come, zio, Natale una sciocchezza! – esclamò il nipote di Scrooge. – Voi non lo pensate di certo. – Altro se lo penso! – ribatté Scrooge. – Un Natale allegro! o che motivo hai tu di stare allegro? che diritto? Sei povero abbastanza, mi pare. – Via, via – riprese il nipote ridendo. – Che diritto avete voi di essere triste? che ragione avete di essere uggioso? Siete ricco abbastanza, mi pare. – Scrooge, che non avea pel momento una risposta migliore, tornò al suo “Eh via! sciocchezze.” – Non siate così di malumore, zio – disse il nipote. – Sfido io a non esserlo – ribatté lo zio – quando s’ha da vivere in un mondaccio di matti com’è questo. Un Natale allegro! Al diavolo il Natale con tutta l’allegria! O che altro è il Natale se non un giorno di scadenze quando non s’hanno danari; un giorno in cui ci si trova più vecchi di un anno e nemmeno di un’ora più ricchi; un giorno di chiusura di bilancio che ci dà, dopo dodici mesi, la bella soddisfazione di non trovare una sola partita all’attivo? Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale” in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio! – Zio! – pregò il nipote. – Nipote! – rimbeccò accigliato lo zio, – tieniti il tuo Natale tu, e lasciami il mio. – Il vostro Natale! ma che Natale è il vostro, se voi non ne fate? – Vuol dire che così mi piace, e tu non mi rompere il capo. Buon pro ti faccia il tuo Natale! E davvero che te n’ha fatto del bene fino adesso! – Di molte cose buone sono stato io a non voler profittare, quest’è certo – rispose il nipote; – e il Natale fra l’altre. – Ma il fatto è che io ho tenuto sempre il giorno di Natale, quando è tornato – lasciando stare il rispetto dovuto al suo sacro nome, se si può lasciarlo stare – come un bel giorno, un giorno in cui ci si vuol bene, si fa la carità, si perdona e ci si spassa: il solo giorno del calendario, in cui uomini e donne per mutuo accordo pare che aprano il cuore e pensino alla povera gente come a compagni di viaggio verso la tomba e non già come ad un’altra razza di creature avviata per altri sentieri. Epperò, zio, benché non mi abbia mai cacciato in tasca la croce di un soldo, io credo che il Natale m’abbia fatto del bene e me ne farà. Evviva dunque il Natale! – Il commesso non si seppe tenere dall’applaudire dal fondo della sua cisterna; ma, subito accortosi del marrone, si diè ad attizzare il fuoco e riuscì ad estinguere l’ultima scintilla. – Un altro di cotesti rumori dalla vostra parte – disse Scrooge – e ve lo darò io il Natale con un bravo benservito. Sei davvero un parlatore coi fiocchi – sopraggiunse volgendosi al nipote. – Mi sorprende che non ti ficchino in Parlamento. – Non andate in collera, zio. Orsù, vi aspettiamo domani sera a pranzo. – Scrooge rispose che piuttosto lo volea vedere all’inf… Sì davvero, la disse tutta la parola. Allora, forse, avrebbe accettato l’invito. – Ma perché? – esclamò il nipote. – Perché?