SINÁN CAPUDÁN PASCIÁ, UN RINNEGATO GENOVESE TRA I GIANNIZZERI

SINÁN CAPUDÁN PASCIÁ, UN RINNEGATO GENOVESE TRA I GIANNIZZERI

Sinán Capudán Pasciáè un brano del cantautore genovese Fabrizio De André, del quale quest’anno ricorre il ventesimo dalla morte. Nel 1984 pubblicò l’undicesimo album di inediti,Creuza de mä, con la volontà di fare un disco in genovese usando strumenti musicali tradizionali del Mediterraneo. De André unì a sé nell’impresa, come musicista e produttore, Mauro Pagani, un musicista strumentista che ha fatto parte della Premiata Forneria Marconi. Un ricercatore di musica etnica araba. Il disco, che alcuni pensavano sarebbe stato un insuccesso, è in quarta posizione nella classifica di Rolling Stone Italia dei 100 dischi italiani più belli di sempre. In Cina nel 2015 è uscito il libro“Creuza de Mao”di Zhang Changxiao, in arteSean White. Il libro, che racconta ai cinesi i cantautori italiani, ha venduto 100 mila copie. L’autore da giovane era venuto in Italia per frequentare la facoltà di ingegneria al politecnico di Lecco, in seguito abbandonò gli studi per fare lo scrittore e far conoscere i cantautori italiani ai compatrioti. De André è quello che l’ha colpito di più. Fabrizio De André(1940-1999), confessò di essersi dedicato alle canzoni perché era circondato da una famiglia geniale e importante. Il padre Giuseppe era presidente dell’Eridania, una grande società che produceva e commercializzava lo zucchero. Il fratello di Fabrizio, Mauro, era diventato il consulente e uomo di fiducia del gruppo Ferruzzi. Fabrizio De André sentiva di non poter competere né con il padre laureato in filosofia né con il fratello avvocato. Quando Fabrizio aveva 14 anni la madre gli regalò una chitarra e lui imparò a suonare. L’amico Paolo Villaggio dirà che Fabrizio aveva una paura terribile di non riuscire, di non avere successo. Paolo Villaggio(1932-2017), nato a Genova, è diventato famoso per avere inventato il personaggio di Fantozzi, l’impiegato sfigato e incapace, vessato dai superiori. Conobbe Fabrizio De André quando aveva tre anni e ne divenne amico. Anche lui aveva un fratello straordinario a scuola che era suo gemello, Piero. Piero Villaggio divenne docente alla Scuola superiore normale di Pisa, l’istituto di perfezionamento universitario e post universitario di altissimo livello. Anche il padre dei gemelli, Ettore Villaggio, era un uomo di successo. Era un ingegnere edile palermitano che con la madre insegnante di tedesco, di origini veneziane, si era trasferito a Genova. “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers” (1963), brano scritto da Paolo Villaggio e cantato da Fabrizio De André Nel 1963 l’amicizia tra Fabrizio De André e Paolo Villaggio si concretizzò in un disco di 45 giri pubblicato dalla casa discografica Karim:“Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”. L’autore del testo delle due canzoni è Paolo Villaggio, mentre le musiche e la voce sono di Fabrizio De André. La musica di “Carlo Martello” è ispirataauna canzone popolare francese.La casa musicale Karim era stata fondata nel 1961 da vari soci tra cui il padre di Fabrizio, Giuseppe De André. In “Carlo Martello” il linguaggio è una parodia di italiano medievale mescolato con parole volgari. La musica è orecchiabile e sembra antica. La canzone procurò ai due autori anche un’accusa di immoralità. A destra, Fabrizio De André e Paolo Villaggio Paolo Villaggio era un grande appassionato di storia e anche Fabrizio De André pensava che fosse importante conoscere la storia del proprio paese. Conoscenza necessaria per capire chi siamo e per smascherare i pregiudizi. La lanterna di Genova, l’antico faro diventato simbolo della città Genova è stata una potente repubblica marinara dal 1099 al 1805. A capo della città ci furono, fin dal medioevo, consoli, podestà e capitani del popolo. In realtà il potere era gestito da alcune famiglie come gli Adorno, i Fregoso, i Guarco, i Montaldo, i Doria, gli Spinola, i Fieschi, i Grimaldi e i Lomellini. Nel Trecento vennero eletti i dogi a capo della repubblica, che in seguito divennero a vita. La città traeva la propria potenza dalla posizione geografica che le permetteva di commerciare i prodotti che provenivano dalla pianura padana con il vicino Oriente. Inoltre possedeva basi mercantili in alcune città del Mediterraneo, dove raccoglieva i prodotti provenienti dall’Oriente: li portava a Genova con la sua flotta e li distribuiva in Italia e nell’Europa del Nord. In questa attività si scontrava con le altre repubbliche marinare italiane, soprattutto Pisa e Venezia. Torre di Galata a Pera, il quartiere genovese della città di Istanbul Nella lotta per il predominio sul Mediterraneo, i genovesi dovettero fare i conti con gli ottomani, una popolazione turca di religione musulmana che aveva conquistato l’impero bizantino. Il sultano Solimano il magnifico governò su Costantinopoli (Istanbul) dal 1520 al 1566 L’Impero ottomano fu uno dei più estesi e duraturi della storia. Tra il Cinquecento e il Seicento, nel suo periodo più prospero, sotto il sultanoSolimano il Magnificofu uno dei più potenti Stati del mondo. Era un impero che si estendeva a nord dai confini dell’Austria fino allo Yemen a sud, dall’Algeria a ovest fino ai monti del Caucaso a est. Si scontrò inevitabilmente con le flotte delle repubbliche marinare italiane, con gli spagnoli e i portoghesi nonché con l’Austria degli Asburgo. Stemma della famiglia Cicala o Cigala Nella canzone “Sinán Capudán Pasciá De André” parla in prima personaScipione Cicala, condottiero, corsaro e navigatore ottomano di origine genovese. Sinán Capudán Pasciá Sinán Capudán Pasciá (Sinan significa genovese perché in turco Genova è Sina; da Zena, nome in dialetto genovese della città) eraScipione Cicala. Figlio della nobile famiglia genovese dei Cigala, fu catturato dai turchi nel 1560 nella battaglia di Gerba. Gli ottomani compivano scorrerie sulle coste dei Paesi che non erano stati sottomessi. La repubblica di Genova, la repubblica di Venezia, il regno di Spagna, lo Stato Pontificio e il ducato di Savoia si allearono contro di loro, ma nell’isola tunisina di Gerba gli ottomani sconfissero gli alleati cristiani. Catturarono diverse navi, tra cui quella del visconte Vincenzo Cicala. Sequestrarono anche il figlio, Scipione Cicala, e li portarono a Istanbul. Sciabecco I cristiani catturati dagli ottomani venivano ridotti in schiavitù, ma se erano ricchi e nobili potevano pagare un riscatto ed essere liberati. Il visconte Vincenzo Cicala, dopo aver pagato il proprio riscatto, non aveva più risorse per liberare il figlio. Gli ottomani potevano ridurlo in schiavitù e servirsene come rematore sulle galere, oppure Scipione poteva diventare giannizzero. Battaglia di Vienna, il sultano Murad con i giannizzeri Igiannizzerierano un corpo militare alle dirette dipendenze del sultano (noto oggi agli italiani soprattutto per i fumetti diDago). I sultani evitavano di reclutare i soldati fra la nobiltà ottomana per non creare pericolosi concorrenti. Quindi ingaggiavano giovani cristiani che, se volevano fare carriera, dovevano abiurare la religione cristiana. Questo fu il destino di Scipione Cicala. Teste fascië ‘nscià galéaë sciabbre se zeugan a lûn-aa mæ a l’è restà duv’a a l’éape nu remenalu ä furtûn-a Intu mezu du mä gh’è ‘n pesciu tunduche quandu u vedde ë brûtte u va ‘nsciù funduintu mezu du mä gh’è ‘n pesciu pallache quandu u vedde ë belle u vegne a galla E au postu d’i anni ch’ean dedexenuevese sun piggiaë ë gambe e a mæ brasse neuved’allua a cansún l’à cantà u tambûue u lou s’è gangiou in travaggiu dûu Vuga t’è da vugâ prexunée spuncia spuncia u remu fin au pëvuga t’è da vugâ turtaiéue tia tia u remmu fin a u cheu E questa a l’è a ma stöia, e t’ä veuggiu cuntâ‘n po’ primma ch’à vegiàià a me peste ‘ntu murtäe questa a l’è a memöia, a memöia du Cigäma ‘nsci libbri de stöia Sinán Capudán Pasciá E suttu u timun du gran cäruc’u muru ‘nte ‘n broddu de fàru‘na neutte ch’u freidu u te mordeu te giàscia u te spûa e u te remorde E u Bey assettòu u pensa ä Meccae u vedde ë Urì ‘nsce ‘na seccaghe giu u timùn a lebecciusarvàndughe a vitta e u sciabeccu Amü me bell’amü, a sfurtûn-a a l’è ‘n grifunch’u gia ‘ngiu ä testa du belinunamü me bell’amü, a sfurtûn-a a l’è ‘n belinch’ù xeua ‘ngiu au cû ciû vixín E questa a l’è a ma stöia, e t’ä veuggiu cuntâ‘n po’ primma ch’à a vegiàià a me peste ‘ntu murtäe questa a l’è a memöia, a memöia du Cigäma ‘nsci libbri de stöia Sinán Capudán Pasciá. E digghe a chi me ciamma rénegôuche a tûtte ë ricchesse a l’argentu e l’öuSinán gh’a lasciòu de luxî au sügiastemmandu Mumä au postu du Segnü Intu mezu du mä gh’è ‘n pesciu tunduche quandu u vedde ë brûtte u va ‘nsciù funduintu mezu du mä gh’è ‘n pesciu pallache quandu u vedde ë belle u vegne a galla. Teste fasciate sulla galeale sciabole si giocano la lunala mia è rimasta dov’eraper non stuzzicare la fortuna In mezzo al mare c’è un pesce tondoche quando vede le brutte va sul fondoin mezzo al mare c’è un pesce pallache quando vede le belle viene a galla E al posto degli anni che erano diciannovesi sono presi le gambe e le mie braccia giovanida allora la canzone l’ha cantata il tamburoe il lavoro è diventato fatica Voga devi vogare prigionieroe spingi spingi il remo fino al piedevoga devi vogare imbutoe tira tira il remo fino al cuore E questa è la mia storia, e te la voglio raccontareun po’ prima che la vecchiaia mi pesti nel mortaioe questa è la memoria, la memoria del Cicalama sui libri di storia Sinán Capudán Pasciá E sotto il timone del gran carrocon la faccia in un brodo di farrouna notte che il freddo ti mordeti mastica ti sputa e ti rimorde E il Bey seduto pensa alla Meccae vede le Urì su una seccagli giro il timone a libecciosalvandogli la vita e lo sciabecco