ANCHE I GIAPPONESI FANNO A PUGNI

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In poche metropoli come Tokyo si percepisce un tale livello di ordine e sicurezza. Basta non rompere le scatole a certi tizi molto, molto tatuati, e difficilmente ti può succedere qualcosa. Un loro quartiere “vivace” come Ikebukuro fa ridere, se confrontato alle nostre periferie. Ikebukuro è comunque l’unico posto dove ho visto in pieno giorno un ragazzo grosso tentare di pestarne un altro smilzo, con una ragazza che si metteva in mezzo pregando il ragazzo grosso di smettere. Una scena che aveva anche una sua poesia, anche se il ragazzo a terra forse non riusciva propriamente a coglierla.Di pugni ne ho visti volare anche altrove e, come spesso mi è accaduto in Giappone, ho assistito a qualcosa che non avevo mai visto prima e manco pensavo esistesse. Passeggiando di notte dalle parti di Shinjuku, mi sono imbattuto in gruppo rumoroso intorno ad un piccolo uomo. Sarà stato alto un metro e 60, forse meno, indossava il caschetto di protezione imbottito dei pugili dilettanti, pantaloncini blu elettrico e stivaletti regolamentari. Più due guantoni da boxe. Era lì, in mezzo a una strada secondaria, vestito di tutto punto come se dovesse partecipare ad un incontro. In cambio di una piccola somma, questo singolare pugile di strada incrociava i guantoni con chiunque volesse provare a colpirlo all’interno di un ring improvvisato, delimitato per terra da semplici strisce di nastro adesivo. Le regole erano semplici: indossare i guantoni e tirare pugni per una ripresa. L’omino non rispondeva ai colpi, si limitava solo a schivarli. Chiunque poteva sentirsi un pugile per tre minuti senza rischiare mezzo livido. L’incontro iniziò subito. Per farsi bello davanti alle ragazze, un giovane e appesantito colletto bianco aveva deciso di approfittare della cattiva sorte di questo pugile fallito, ma che allo stesso tempo riusciva a guadagnarsi da vivere attraverso il fallimento. L’abilità del piccolo pugile era notevole. Nessuno di quelli che ho visto è riuscito a mettere a segno neanche un colpo. Se l’omino avesse deciso di rispondere, i clienti non avrebbero avuto scampo. Polli da spennare. Ma su un cartello che faceva bella vista sopra un carrellino dove teneva i vestiti e le sue poche cose, c’erano le foto della sua faccia gonfia di quando i pugni li aveva presi per davvero. Suonato il gong, il piccolo pugile abbracciò lo sfidante e posò per una surreale foto ricordo. L’omino sfoderò un grande sorriso sincero che stonava sotto quegli occhi profondamente tristi. Ma adesso non rattristatevi anche voi! Perché voglio raccontarvi di un vecchietto di nome Ushio Shinohara. Anche lui tira di boxe, a 80 anni suonati, anche se in modo poco ortodosso. Dopo aver frequentato il Geidai, l’antica e gloriosa università delle arti di Tokyo, cominciò a riscuotere un certo successo a partire dagli anni ‘60. Le sue opere sono esposte nei più importanti musei del mondo, come il Tokyo Metropolitan Museum, il Guggenheim Museum di New York, e il Metropolitan Museum of Art di New York. Quindi, a differenza del conterraneo piccolo pugile, se l’è passata decisamente bene. E anche lui boxa in modo inconsueto per vivere (bene). Usho, che vive negli Stati Uniti, indossa i guantoni, li inzuppa di colore e giù cazzottoni a grandi fogli appesi al muro. Il bello è che anche questa sua performance, che lui chiama “battle”, fa parte dell’opera d’arte, come vogliono i canoni dell’action painting. Quindi, in un certo senso, fanno lo stesso lavoro, interpretando creativamente uno sport e cercando di privarlo della sua violenza ma non della sua energia. Anche se un po’ di violenza comunque rimane perché al piccolo pugile qualche cazzotto è arrivato, e il muro di Shinohara ne ha presi parecchi. Anche se è davvero un gran incassatore. Per vedere qualche opera di Ushio Shinohara, ecco un bel link in Inglese:Shinohara on Artnet