LE LINGUE DEL FUMETTO IN ISOLE REMOTE E MONDI ALIENI

History is littered with hundreds of conflicts over the future of a community, group, location or business that were “resolved” when one of the parties stepped ahead and destroyed what was there. With the original point of contention destroyed, the debates would fall to the wayside. Archive Team believes that by duplicated condemned data, the conversation and debate can continue, as well as the richness and insight gained by keeping the materials. Our projects have ranged in size from a single volunteer downloading the data to a small-but-critical site, to over 100 volunteers stepping forward to acquire terabytes of user-created data to save for future generations. The main site for Archive Team is atarchiveteam.organd contains up to the date information on various projects, manifestos, plans and walkthroughs. This collection contains the output of many Archive Team projects, both ongoing and completed. Thanks to the generous providing of disk space by the Internet Archive, multi-terabyte datasets can be made available, as well as in use by theWayback Machine, providing a path back to lost websites and work. Our collection has grown to the point of having sub-collections for the type of data we acquire. If you are seeking to browse the contents of these collections, the Wayback Machine is the best first stop. Otherwise, you are free to dig into the stacks to see what you may find. The Archive Team Panic Downloadsare full pulldowns of currently extant websites, meant to serve as emergency backups for needed sites that are in danger of closing, or which will be missed dearly if suddenly lost due to hard drive crashes or server failures. In tanti classici del fumetto troviamo non solo personaggi che visitano valli perdute o isole remote, ma anche eroi che viaggiano nello spazio interplanetario e che incontrano popoli extraterrestri, come Buck Rogers o Flash Gordon, o che viaggiano in lungo e in largo nel tempo incontrando popoli dei più diversi periodi e paesi, come Brick Bradford, senza che sembrino avvertire alcun problema nel comunicare, come se i popoli di mondi diversi per assurdo parlassero la stessa lingua. Qui il problema linguistico è stato semplicemente rimosso e ignorato, in modo da concentrarsi sulla storia, ma così facendo il realismo e la verosimiglianza della storia stessa ne risente, poiché il lettore percepisce che “non si fa sul serio”. In pratica, i fumetti di una volta riproducono quanto accade in una storia del bambino sognatoreLittle Nemorealizzata daWinsor McCaynel 1910, dove, in quello che si potrebbe quasi considerare il primo fumetto di fantascienza, Nemo vola sul pianeta Marte in dirigibile trovando un mondo in cui tutti parlano inglese. Ciò è accettabile quando, come in questo caso, si tratta di un sogno, ma nella realtà le cose non dovrebbero andare così.Certi autori di fumetti si sono quindi posti il problema di come far parlare i popoli stranieri o alieni, le cui lingue non potevano conoscere o che avrebbero dovuto inventarsi. Un escamotage abbastanza comune consiste nel trovare una spiegazione di comodo per il fatto che i diversi popoli riescano a capirsi senza sforzo. Tipica dei vari modi in cui il problema viene spesso risolto nella fantascienza è la striscia intitolata all’ufficiale dell’aeronautica ingleseJeff Hawke, creata daSidney Jordannel 1954. Nei primi episodi tutti gli alieni sono telepatici, il che risolve ogni problema di comunicazione. In seguito, con il proliferare nella serie, di tanti popoli alieni uniti in una vera e propria Federazione dei Pianeti, divenne chiara l’esistenza anche di una sorta di esperanto intergalattico. Infine, per comunicare con i primitivi terrestri, che a volte sono così mentalmente limitati rispetto agli alieni da non riuscire a captarne i messaggi telepatici, in alcuni episodi vediamo che certi viaggiatori extraterrestri dispongono di meccanismi che fanno da interpreti simultanei. Si tratta di traduttori universali più efficienti e precisi di qualunque interprete umano. Se ne trova un esempio anche nella serie diLanterna Verde(la seconda versione iniziata nel 1959 daJohn BroomeeGil Kane). Qui è l’anello energetico in dotazione a un corpo di agenti intergalattici a fungere, tra l’altro, da traduttore simultaneo per le lingue parlate da alieni che non solo vengono da differenti settori dell’Universo. In un certo senso anche le isole sconosciute e inesplorate possono essere paragonate a mondi alieni, a volte possono esserlo anche per l’originalità della loro fauna e flora. Soprattutto risulteranno piuttosto ostici gli idiomi parlati dai loro abitanti. Così in molti fumetti può capitare, anche solo per poche nuvolette, che siano immaginate delle frasi di lingue inventate parlate da popoli isolati dal mondo esterno, come in un paio di storie diTopolinodel 1961 scritte e disegnate dal venezianoRomano Scarpa. In “Topolino nel Favoloso Regno di Shan-Grillà”, Topolino visita una valle isolata dal clima temperato incassata tra altissime montagne in mezzo a una regione inesplorata del Polo Nord. È una parodia della felice terra di Shangri-La, apparsa nel romanzoOrizzonte perdutopubblicato dallo scrittore James Hilton nel 1933 e nell’omonimo film che ne fu tratto nel 1937 dal regista Frank Capra, anche se l’originale era collocata tra le regioni altrettanto innevate delle montagne del Tibet. La lingua degli abitanti della sua versione umoristica, che dagli abiti e dai tratti somatici si direbbero di stirpe mongolica o himalaiana come nell’originale, è così incomprensibile da essere resa da Scarpa con inintelligibili ghirigori sempre diversi, più simili a scarabocchi che a lettere di un alfabeto. In una prima didascalia l’autore si scusa scherzosamente di non poterli tradurre, poiché è una lingua sconosciuta anche a lui, ma alla fine della storia si decide a tradurne alcune frasi, sempre però in didascalia, senza quindi rinunciare al gioco linguistico di far parlare in modo del tutto incomprensibile il popolo della sua Shan-Grillà. In circostanze simili una scrittura altrettanto inventata, ma dai caratteri più piccoli e un po’ più raffinati, che rappresentava la “lingua dell’antico Katai”, cioè una sorta di cinese antico, era apparsa nella storia di Carl Barks del 1954 “Avventura nella valle di Tralla-La”, uscita in Italia nello stesso anno con il titolo “Zio Paperone e la dollarallergia”.Anche in quel caso la terra di Tralla-La, o Trulla nella prima versione italiana, nascosta tra i monti dell’Himalaia, era ispirata anche nella sua collocazione alla Shangri-La creata da James Hilton. In un’altra storia di Scarpa sempre pubblicata nel 1961, “Topolino e la Fiamma Eterna di Kalhoa”, l’autore si limita a inventare delle frasi nel nostro alfabeto composte da semplici parole dalle vaghe sonorità polinesiane, per rappresentare il linguaggio degli abitanti dell’isola dal cui sottosuolo sgorga la fiamma inestinguibile del titolo, che è ispirato al fumetto di di Cino e Franco del 1933 “La Misteriosa Fiamma della Regina Loana”, e di conseguenza al romanzo “La Donna Eterna” di Henry Rider Haggard. Una famosissima isola della letteratura è l’Isolachenoncè inventata a teatro dal commediografo James Matthew Barrie per il suo “Peter Pan”, poi riadattato come romanzo con il titolo “Peter Pan e Wendy”.Qui a parlare una lingua immaginaria dovrebbe essere l’immaginaria tribù degli indiani Picaninny che vi abitano, ma nel libro l’autore ne cita una sola parola, squaw, che è tutto tranne che inventata, anche se scherzando le attribuisce il significato un po’ anomalo di “vecchia mia”. A rimediare ci pensò il fumettista franceseRegis Loiselnella sua versione diPeter Pan, pubblicata in sei episodi usciti dal 1990 al 2004. Non è un adattamento dell’opera di Barrie, ma il racconto delle origini di Peter e dei bimbi perduti narrate in chiave adulta, a metà tra il crudo realismo dei melodrammi alla Dickens e le storie sexy tipiche del fantasy francese. Nel fumetto di Loisel vediamo in quali poveri quartieri di Londra viveva Peter, come e perché incontrò la fata Campanellino che lo condusse volando sull’isola, per quali frustrazioni e risentimenti imparò a combattere ferocemente e perché fu felice di dimenticare il passato e smettere di crescere. Come perse sua madre e come prese il nome di Pan, come mozzò la mano a Capitan Uncino gettandola in pasto al Coccodrillo e naturalmente come conobbe la principessa indiana Giglio Tigrato, che l’avrebbe sposato se lui non l’avesse rifiutata come qualunque ragazzino schizzinoso di fronte a chi tenta di baciarlo. Per far parlare Giglio Tigrato e gli altri indiani Picaninny, Loisel ha inventato una vera e propria lingua su misura, dalle sonorità vagamente amerinde, benché limitandosi a un numero di vocaboli non troppo vasto e dal senso difficilmente decifrabile. Tra le poche espressioni chiaramente tradotte o dai significati abbastanza intuibili della lingua Picaninny, troviamo nao (no), tyomah (sirena), papai (padre), Tigra Li (Giglio Tigrato), i wo mah (io voglio sposare), yet (sì), tao (tu), haona thao (arrivederci e grazie) e in qualcuna si può intuire una vaga derivazione dall’inglese o forse anche dal francese, ma sempre opportunamente camuffati sotto forma di lingua indiana. Di gran lunga molto più articolata, verosimile e accuratamente costruita è la lingua dell’immaginario popolo Ozu che abita l’isola di Attabar Teru, collocata in un imprecisato punto delle Indie Occidentali dallo sceneggiatore ingleseAlan Moorenella serieTom Strong, pubblicata dal 1999 con i disegni diChris Sprouse. Rovesciando i pregiudizi razziali e probabilmente rifacendosi anche alle culture che vedono certe droghe naturali come fonti di benessere psicofisico, Moore immagina che gli ozu, di pelle nera, siano diventati più intelligenti e longevi di ogni altro popolo al mondo nutrendosi di una radice chiamata Goloka. La loro lingua deve quindi essere in grado di esprimere anche concetti molto complessi e raffinati, benché l’autore non aiuti sempre i lettori a decifrarla. Ma fin dal primo episodio alcune frasi e parole dalle vaghe sonorità africane vengono tradotte più o meno letteralmente, come huda (salve), oroti (madre), atari (padre), weh-wah (bambino), gamogan (morti), kumba (grazie), okabu (addio), tahomeh (benvenuto). Mentre Chukulteh è il nome con cui gli ozu chiamano il Grande Essere identificato con tutto ciò che esiste. Tra i pronomi risulta abbastanza chiaro il significato dei termini su (io, me), teh (tu, te, voi), teo (lui), temo (loro). Tra i verbi si possono citare etes (essere), chimiri (aiutare), euleh (pregare), ovoru (amare), teko (dire), ma solo del verbo essere si individua una precisa coniugazione, distinguendo le parole suro (io sono), etes (sei, siete, essi sono), ete (è). Come in inglese gli articoli determinativi sono indicati da un solo termine, che in questo caso è mi, mentre l’articolo indeterminativo è on. Tra gli aggettivi possessivi si distinguono suro (mio), ton (tuo), ten (vostro). Notare che lo stesso termine che significa mio coincide anche con la prima persona del verbo essere, come se in questa lingua, appartenente a un popolo dalla coscienza particolarmente evoluta, ciò che si possiede si identificasse non tanto con ciò che si ha, quanto piuttosto con ciò che si è. Congiunzioni e altre particelle del discorso della lingua Ozu sono o (e), e (che), ko (chi), fos (a). A volte dal contesto si può intuire il senso di altre parole ozu, come lepsma (presto), jumba (attento), ara (sotto, giù), orotu (signora), ataru (signor). Questi ultimi due termini, chiaramente derivati da quelli che significano madre e padre, precedono i cognomi proprio come nella terminologia cittadina più borghese, indicando che gli ozu non sono per nulla selvaggi come l’uomo civilizzato più superficiale potrebbe supporre. Infatti nonostante il loro intelletto superiore, dato il clima tropicale di Attabar Teru, il succinto abbigliamento degli ozu non si differenzia dai tipici costumi tribali tradizionali dei popoli africani e anche le loro abitazioni sono semplici capanne. A parte l’introduzione dell’energia elettrica nel loro villaggio a opera di Tom Strong (il figlio di un inventore tanto brillante quanto radicale, che dopo essere rimasto orfano è stato adottato dal popolo di Attabar Teru) e alcune conseguenti concessioni alle più utili comodità moderne, sembra insomma che gli ozu non abbiano ritenuto per niente intelligente sviluppare una società tecnologica o un’economia capitalistica, come se l’autore volesse così polemizzare contro la presunta superiorità della civiltà occidentale. Ma l’ozu non è l’unico esperimento linguistico messo in atto da Moore sugli albi di Tom Strong. In altri numeri della stessa serie, chiaramente ispirata alle avventure fantascientifiche di Doc Savage, l’eroe dei pulp degli anni trenta, troviamo mesoamericani ipertecnologici di altre dimensioni la cui lingua è rappresentata con ideogrammi precolombiani, e delle misteriose creature umanoidi che vivono immerse nelle fiamme del centro della Terra che parlano una lingua costituita da monosillabi. Di quest’ultimo idioma si può intuire o dedurre vagamente il senso soltanto di poche parole, come pun (io), pul (me), tem (te), sha (essere), fe (fare), map (toccare), mek (volere, amare), ma sembra plausibile che anche in questo caso Moore abbia costruito tutte le frasi con una certa cura, pur senza spiegarne nei dettagli i significati. Sempre a proposito di isole, uno dei primi romanzi in cui uno scrittore si è preoccupato di inventare parole in lingue immaginarie è il celebre “I Viaggi di Gulliver” dell’autore satirico irlandese Jonathan Swift, in cui al pari di altri pianeti le terre oltremare su cui di volta in volta naufraga il protagonista ospitano popoli diversi dai comuni terrestri, pur evocando in modo amplificato qualità o difetti umani, in parte anche simboleggiati dalle particolarità fisiche di quei popoli. Infatti Lillipuziani e Blefuschiani sono uomini piccoli sia nel fisico che nel pensiero da farsi la guerra per i motivi più futili, mentre gli abitanti di Brobdingnag sono giganti tanto fisicamente quanto moralmente e condannano con decisione l’uso di armi distruttive. Naturalmente anche nelle versioni a fumetti diGulliver, come quella diRenata Gelardinidisegnata daLino Landolfiper la rivista per ragazzi Il Giornalino (raccolta in volume nel 1994), ritroviamo le parole delle lingue immaginarie incontrate e con il tempo apprese dal dottor Lemuel Gulliver, alcune dal significato dubbio, come le espressioni lillipuziane Hekinah Degul, Tolgo Phonac o Landro Déhulsan, e altre il cui significato viene approssimativamente spiegato, come i soprannomi attribuiti a Gulliver, che in Lillipuziano è detto Quinbus Flestrin (Uomo-Montagna) e in Brobdingnaghiano Grildrig (Piccolo Nanetto). Mentre la versione di Gelardini e Landolfi si rivolge ai ragazzi, tagliando le parti più satiriche e provocatorie del testo originale di Swift, che in effetti non era un libro per bambini, un altro autore di fumetti italiano,Guido Crepax, nella sua serieI viaggi di Biancarealizzata tra 1981 e 1982 ha disegnato delle versioni spaziali e parzialmente erotiche, eppure nello spirito tutto sommato più fedeli, dei viaggi di Gulliver, utilizzando al posto del protagonista del libro una delle sue tipiche e disinibite eroine femminili.