GO, IL GIOCO DEL PIENO E DEL VUOTO

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History is littered with hundreds of conflicts over the future of a community, group, location or business that were “resolved” when one of the parties stepped ahead and destroyed what was there. With the original point of contention destroyed, the debates would fall to the wayside. Archive Team believes that by duplicated condemned data, the conversation and debate can continue, as well as the richness and insight gained by keeping the materials. Our projects have ranged in size from a single volunteer downloading the data to a small-but-critical site, to over 100 volunteers stepping forward to acquire terabytes of user-created data to save for future generations. The main site for Archive Team is atarchiveteam.organd contains up to the date information on various projects, manifestos, plans and walkthroughs. This collection contains the output of many Archive Team projects, both ongoing and completed. 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Lo scrittore Georges Perec (noto ai più per laLa vita, istruzioni per l’usooltre che per la sua passione rivolta aparole crociatee giochi di logica pubblicati sui settimanaliLe PointeTélérama) e i due coautori Pierre Lusson e Jacques Roubaud hanno scritto nel loroBreve trattato sulla sottile arte del go:“… ma, novizi tra i novizi, sapendo fin troppo che in questo gioco saremo sempre principianti, sapendo fin troppo che una vita intera non basterà a farci percepire un solo quarto delle raffinatezze che accompagnano il go, subiamo questa fascinazione senza poterla esprimere.”.È singolare come, nella loro cosciente dichiarazione di ignoranza, quasi fosse uno specchio al negativo, ne abbiano raggiunto la comprensione sapendo di non comprendere.In accordo a questa ignoranza, a cui mi associo, parlerò dell’arte delgoattraverso tre libri, di cui proporrò una scaletta di lettura da osservare nella sequenza in cui sarà esposta (per il lettore occidentale, o comunque per chi non conosce ilgo). Scaletta che sarà una sfida, sia per chi non conosce il gioco e desidera introdursi, sia per chi il gioco lo pratica.I tre libri di cui ho accennato sono due romanzi e un saggio da poco pubblicato di cui farò una recensione.Per chi leggerà il primo, ci sono grandi possibilità di non poter fare a meno di leggere gli altri. Prima di iniziare, è necessario almeno descrivere i punti essenziali delgo.L’arte delgo, denominato in modi diversi a seconda di dove è giocato e vedremo come (goè la denominazione giapponese), è il gioco di strategia per eccellenza e si gioca su una scacchiera ogobandove si intersecano 19 linee verticali e 19 orizzontali per un totale di 361 intersezioni. I due sfidanti hanno 181 pietre nere e 180 pietre bianche (il nero inizia).Il gioco inizia a tavoliere vuoto. Lo scopo è costruire territori inattaccabili circondati da pietre del proprio colore.Le pietre si dispongono man mano lungo le intersezioni e non si muovono. Ogni pietra ha valore paritetico a qualunque altra e gode di quattro libertà (lungo il bordo sono tre). Una pietra viene catturata quando le pietre avversarie ne occupano tutte le libertà; questo vale anche per un gruppo di pietre.La partita termina di comune accordo quando gli sfidanti dichiarano non esserci più possibilità di fare territori o minacciare quelli avversari. Vince la partita chi ha circondato maggior territorio. Trevanian: Il ritorno delle gru (Sonzogno, 1980) Trevanian: Shibumi (“Crown”; Outlet, 1979). Prima edizione originale Il primo libro èIl ritorno delle gru, scritto daTrevanian, pseudonimo dello scrittore statunitenseRodney William Whitaker(chissà perché, fino a pochi anni fa lo credevo canadese). Nato nel 1931 e scomparso nel 2005, ha pubblicato anche con altri pseudonimi: Nicholas Seare, Edoard Moran e Beñat Le Cagot. Quest’ultimonom de plumericorrerà, nelle vesti di uno dei protagonisti, nel romanzoIl ritorno delle gru, in originale uscito comeShibuminel1979. Trevanian è uno scrittore misterioso. Dalle poche notizie bibliografiche pubbliche, si sa che ha vissuto per alcuni anni nei Paesi Baschi, in Europa. Questo, però, non spiega la profonda intensità con cui ha saputo descrivere alcuni luoghi e circostanze (e arti) che nulla hanno a che vedere con i Paesi Baschi e che costituiscono i diversi nuclei del romanzoShibumi. Una normale “raccolta dati”, infatti, non implica la conoscenza delle numerose tematiche che ha rivelato scrivendolo. Per esempio, non ho trovato testimonianze della sua conoscenza delgo, eppure racconta come se lo conoscesse. Shibumiparrebbe quasi un romanzo di formazione, nel suo significato originale (cioè un genere letterario che segue e racconta la formazione di un individuo, attraverso lo sviluppo storico dell’ambiente che lo circonda), se non fosse che il protagonista è un apolide.Da molti è definito un romanzo di suspense, un giallothriller: è riduttivo, raccoglie solo l’atmosfera incalzante e complicata degli eventi. In realtà, le connessioni tra i protagonisti e le vicende vanno ben al di là di un intrecciospy story, pur contenendolo. Non si può dire nemmeno che sia un romanzo d’amore sebbene contenga un intreccio d’amore di sublimi pennellate erotiche. Neppure politico, anche se dinamiche politiche vengono contemplate. E nemmeno storico, anche se pezzi di storia affiorano e vanno a confluire in un affresco crudo e disincantato. Se proprio volessimo trovare una definizione, potremmo chiamarloromanzo poliglotta, oppureromanzo di strategia, e ancora non avremmo detto niente. Di certo,Shibumiè quel che si suole definire untrait d’union, cioè un elemento di unione di due opposti, l’Oriente e l’Occidente, nella figura stessa del protagonista, Nicholai Hel, che vediamo per la prima volta a Shanghai negli anni Trenta.Shanghai comincia la sua storia internazionale quando i britannici, in seguito alla prima guerra dell’oppio che si protrasse dal 1839 al 1842, hanno la meglio sull’impero cinese e la occupano, in virtù dei loro interessi commerciali, firmando iltrattato di Nanchino. L’anno dopo, il 1843, segue una ratifica con iltrattato di Humen, in cui il regno britannico si accaparra due clausole di diritto internazionale:extraterritorialitàenazione più favorita. Con l’ulteriore trattato del 1844, iltrattato sino-americano di Wanghia, Shangai si trova invasa da potenze europee e statunitensi che riescono a estendere la loro influenza commerciale anche oltre le mura della città, pur essendo territorio governato dai cinesi.Nel 1863 l’insediamento britannico e quello statunitense si uniscono per formare l’insediamento internazionale di Shanghai, provocando un’ingente migrazione da tutti i continenti verso la città. Nel decennio che va dal 1920 al 1930, in seguito alle purghe della neonata Unione Sovietica, circa ventimila russi si spostano a Shanghai creando la seconda comunità straniera più grande.È proprio in questo periodo, per l’esattezza nel 1922, che la fuoriuscita nobildonna Alexandra Ivanovna arriva da Pietroburgo per stabilirsi in città con il suo piccolo, il sopracitato protagonista Nicholai Hel.Poco dopo, sarà la volta dell’impero giapponese che, con la battaglia del 1937, occuperà la parte cinese e poi, nel 1941, anche gli insediamenti internazionali… Ma il romanzo non si apre su questo scorcio di storia, bensì su uno scorcio di Stati Uniti e di Europa intorno agli anni Sessanta.Da questo momento è ben difficile parlare oltre della trama senza rovinare l’incanto della storia. Basti dire che il piccolo Nicholai imparerà a giocare ilgo, di cui un giorno, ormai adulto, darà questa definizione:“Gō sta agli scacchi come la filosofia sta alla contabilità della partita doppia”.Ma il vero, primo concetto, da cui sarà affascinato sarà quello che ruota intorno ashibumi.“Shibumi, signore?”chiede il piccolo Nicholai.“In che senso usa questa parola, signore?”“Oh, vagamente. E scorrettamente, sospetto. Un goffo tentativo di descrivere una qualità ineffabile. Come sai, shibumi allude a una grande raffinatezza sotto apparenze comuni. È un’affermazione così ardita, così acuta che non dev’essere bella, così vera che non dev’essere reale. Shibumi è comprensione più che conoscenza. Silenzio eloquente. Nel modo di comportarsi, è modestia senza pruderie. Nell’arte (…) è elegante semplicità, articolata brevità. Nella filosofia (…) è una serenità spirituale non passiva; l’essere senza angoscia del divenire. E nella personalità di un uomo, è… come dire? Autorità senza dominio? Qualcosa del genere.” Il romanzo è strutturato come una partita digo: i capitoli si distendono tra l’inizio (fuseki), varie altre fasi di gioco e il capitolo finale, quando le gru tornano al nido (tsuru no sugomori), cioè il momento decisivo in cui si catturano le pietre dello sfidante. Kawabata Yasunari: Il maestro di go (Einaudi, 2012 e 2019). La presente edizione è stata condotta sull’originale Kawabata Yasunari zenshū (Shinchōsha, 1981-1984) e comprende tutti i 47 capitoli di Meijin, sei capitoli in più rispetto all’edizione inglese curata da Edward G. Seidensticker, The Master of Go (Tokyo, 1973) Kawabata nella sua abitazione a Hase, Kamakura, intorno al 1946 Dalla febbrile compartecipazione aShibumi, il passaggio successivo è a un secondo libro che, a differenza del primo, è stato scritto da uno scrittore giapponese,Yasunari Kawabata, nato nel 1899 e morto nel 1972, forse suicida.Premio Nobelnel 1968, la sua opera letteraria, sebbene in Italia dai più sia conosciuta per la qualità prettamente giapponese, in senso tradizionale, contiene istanze sperimentali che lo fanno uno scrittore moderno. Ma poco è stato tradotto, in generale, di questa sua produzione e quindi in Occidente non c’è, in generale, una comprensione olistica di ciò che ha scritto.A noi interessa il suo romanzoIl maestro di go(名人, Meijin), pubblicato nel1954.Per il lettore digiuno digo, e anche di cultura giapponese, è un libro difficile, ma non per scrittura o per trama: Kawabata scrive in un modo puro e cristallino. La sua penna mostra le cose, gli spiriti, gli eventi, come se li si guardasse attraverso acqua di sorgente. Tutto affiora con una pulizia sintattica e di pensiero che ne fanno un capolavoro, e, come guardando il letto dove scorre l’acqua di una sorgente, il fondo su cui scivola il flusso (dell’acqua, delle parole) è esaltato attraverso una visione lenticolare quasi decuplicata per l’effetto della materia pura, che nulla nasconde.Proprio questa mancanza di oscurità che esalta ilvuoto, crea il significato nascosto (ilpieno) del racconto. Percepirlo è il ruolo del giocatore digo, ma anche del lettore. Nel1938avvenne una partita di go che iniziò il 26 giugno e terminò il pomeriggio del 4 dicembre, per un totale di quattordici incontri. Fu un evento di interesse nazionale e dai risvolti drammatici, e numerosi giornali ne pubblicarono via via la cronaca. Tra i cronisti c’era Kawabata che all’epoca aveva ricevuto dal giornaleTōkyō nichinichil’incarico di seguire la partita. La sua cronaca venne pubblicata in sessantaquattro puntate, raccolta in volume nel 1954. In questo romanzo in forma di cronaca si raccontano gli eventi, inerenti alla partita ma anche allo schema esteriore di contorno, ossia la vita, che concorsero durante la partita digoavvenuta tra il maestroHon’inbō Shūsai, ultimo capo della casa Hon’inbō e Meijin (quest’ultimo il massimo grado assegnato e con equivalenza di 9° dan, titolo storico a partire dal Periodo Edo) e il maestroMinoru Kitani.Quella partita sancì una differenza epocale che, raccontata con le parole delgo, creava unvuotonazionale a cui sarebbe seguito, di necessità, unpieno. Kawabata, pienamente cosciente, descrive con l’oggettività di un maestro quello che sta accadendo nella partita e, di risvolto, a un intero Paese. Perché la simbologia dell’arte delgo, in Giappone seguito da ogni strato sociale, stava cronicizzando in tempo reale la storia di tutti i giapponesi e il futuro immediato.Si potrebbe dire che la sera del 4 dicembre, quando fu reso noto l’esito, ogni giapponese era in grado di conoscere lo schema nazionale che si stava preparando, lo schema vitale che si stava delineando e, di riflesso, quello personale e altrui. Ora facciamo un salto indietro, e di riflesso in avanti.Nel romanzoShibumisi racconta, tra le altre cose, di quello che avviene in Giappone poco dopo quell’anno descritto da Kawabata. Al lettore le proprie considerazioni, dopo aver letto entrambi i romanziNella sua dedica iniziale aShibumi, Trevanian scrive:“Alla memoria degli uomini / che appaiono in questo libro / sotto il nome di: Kishikawa / Otake / De Landhes / Le Cagot – Tutti gli altri personaggi e tutte le organizzazioni / qui descritte non hanno alcun rapporto / con la realtà: anche se qualcuno di essi non se n’è accorto.”.Forse è unacoincidenzache Otake sia anche il nome fittizio con cui Kawabata chiama il maestro Minoru Kitani. Il secondo e unico altro nome fittizio del romanzo è quello dello stesso autore. Voltata l’ultima pagina, l’incantesimo diShibumicorre su fili nascosti dove si affastellano mille domande, talvolta di natura parallela all’arte delgo.ChiusoIl maestro di go, il clima di sospensione struggente lascia luogo a quiete e straordinaria lucidità mentale. È possibile trovare qualche risposta a questi stati perfettamente antitetici e perciò concorrenti al movimento delpienoe delvuoto, in un saggio pubblicato poco tempo fa, il quale mi ha dato l’idea di scrivere il presente testo. Si tratta diEvoluzione e rappresentazione simbolica del gioco del godiMarco Milone(Aracne, ottobre 2020), del quale tempo fa avevo già recensito un altro suo saggio sugliemaki.Sapere anche qualcosa sul gioco delgo, sulle sue origini e come si è diffuso, permetterà di capire un po’ meglio i primi due libri, anche se una sensibilità aperta e priva di pregiudizi dovrebbe coglierne ugualmente il senso ultimo. Diversamente, nulla impedisce di tornare a rileggereShibumieIl maestro di go, dopo aver letto il saggio.Il saggio di Milone parte dalle origini di questo antichissimo gioco, collocandolo inCinain una data incerta poiché le prime notizie risalgono alla tradizione orale che racconta dell’imperatore Yao (2357 – 2255 a.C.). Le fonti scritte in cui è citato cominciano con i classici cinesi, dal quinto secolo avanti Cristo in poi, dove viene chiamatoYi, termine con cui era designato anticamente ilwei chi, cioè ilgo.InGiapponeilgoarriva tra il V e l’VIII secolo d.C. e, attraverso i secoli, arriva a essere giocato da professionisti in tornei.InCoreailgoarriva, presumibilmente, sempre dalla Cina ed è chiamatobaduk. Non si sa esattamente quando. Le prime notizie certe della sua presenza nel Paese si leggono nellaCronaca dei tre regni, scritta da Chen Shou nel III secolo d.C.InVietnamviene chiamatocò vây, oppurevi kýin sino-vietnamita, e approda intorno all’XI secolo, sebbene sia presumibile che fosse già stato introdotto dai cinesi durante l’invasione incominciata nel III e II secolo a.C.NelTibetarriverà nel 641, in seguito al matrimonio con l’imperatore Songtsen Gampo e la principessa cinese Wencheng. Verrà chiamatomig mang, ma si discosterà dal gioco delgotradizionale per un tavoliere diverso, costituito da ungoban17×17, anziché 19×19. Ogni capitolo illustra nel dettaglio il percorso storico del gioco, la documentazione e le testimonianze letterarie, le vicissitudini e la popolarità presso le diverse fasce sociali, nonché l’evoluzione del sistema di punteggio. Il gioco, invece, è pressoché rimasto il medesimo nel tempo.Chi lo ha portato ai massimi livelli è stato il Giappone.Un capitolo conclusivo illustra la suadiffusionenel globo, con uno studio sulle motivazioni per cui ha incontrato resistenza a diffondersi in Occidente. L’autore non dimentica, inoltre, di fare una panoramica del gioco ai tempi odierni. Il saggio si presenta esaustivo e ben documentato, con appendici e una vasta bibliografia. Unica pecca: una vistosa mancanza di revisione da parte dell’editore (negli ultimi anni ormai una pratica quasi endemica), per cui esiste un fiorire di refusi che poco si allineano con ilshibumidell’argomento.Infine e più importante, la bibliografia in lingua italiana sull’argomento è pressoché inesistente, nella forma di un saggio che ne contempli la storia, la diffusione e l’evoluzione; è quindi encomiabile e necessario questo libro, per cui ringraziamo l’autore. Un antico goban giapponese. I contenitori per le pietre si chiamano goke