35 ANNI FA L’ELEFANTE GAY, LA CANZONE PER BAMBINI SULL’OMOSESSUALITÀ

35 ANNI FA L’ELEFANTE GAY,  LA CANZONE PER BAMBINI SULL’OMOSESSUALITÀ

Al di là dei generi musicali, dei ritmi, degli autori, degli interpreti, la canzoni si suddividono essenzialmentein due categorie: quelle belle e quelle brutte.E poi, fuori gara, ci sono le canzoni uniche.“L’Elefante Gay” è una di queste.Ecco la sua storia. Era il 1983 quando mi fu proposto di scrivere una canzoncina per bambini da presentare al concorso canoro Ambrogino ‘84, versione milanese più matura dello Zecchino d’Oro, in quanto tarata su interpreti di età leggermente superiore a quelli dello storico Festival dell’Antoniano (10/13). C’era già la bambina, Erika Mannelli, 9 anni, molto carina, brava e intonata. Ne avrebbe avuti 10 giusti per partecipare l’anno successivo. Mancava solo la canzone. Io avevo da un po’ di tempo un’idea in testa, e il preciso incarico ricevuto mi dette l’occasione di buttarla giù. Lo feci in un attimo, parole e musica. Qual era l’idea? Semplicemente quella di completare una trilogia, iniziata nel 1981 con “Tommi”, che raccontava, 28 anni prima che lo facesse Povia, la storia di un ragazzo omosessuale che ci ripensa. Inutile dire le polemiche, persino le offese e le minacce che mi arrivarono dal mondo gay, e fortuna che allora non esistevano i social… Per rincarare la dose, sul retro del mio 45 giri c’era “Donna più donna”, storia di una moglie che chiede al marito il permesso di poter fare sesso con un’altra donna. Lui acconsente, a patto però di entrarci in mezzo. Sempre avido di primati, fu qui che ardii inserire per la prima volta nel testo di una canzone il numero 69 alluso come posizione sessuale(“Provi estasi nuove fino a sessantanove”), e forse è pure rimasto l’unico caso, non so. Piovvero altre critiche, ovviamente, anche perché non tutti avevano capito che era il maschio a farci la peggiore figura. Insomma, al di là delle polemiche, e a mio modo, avevo scritto e cantato una canzone sui gay e una sulle lesbiche, incise nei solchi di un medesimo 45 giri che si potrebbe definire “concept”. Il quadro non era però ancora completo. Cosa mancava? Il campo neutro. Una canzoncina che parlasse simpaticamente ai bambini del mondo omosessuale, per un approccio sgombro di pregiudizi a tale inoppugnabile realtà. Questa era l’idea, un po’ azzardata, certo, ma consona alla mia indole provocatoria, nonché alla mia vocazione di apripista. Fu così che nacque “L’Elefante Gay”, personaggio allegro, divertente, inequivocabilmente riconoscibile come “diverso”, ma, per la sua schietta simpatia, più “uguale” di tanti altri. E quello che segue, su due fogli pieni di scarabocchi, cancellature, ripensamenti, redatto con la mia pessima calligrafia, è il suo certificato di nascita: una mattinata di gestazione (veloce, perché a mezzogiorno dovevo essere davanti a un microfono distante 15 chilometri), seguita da un parto naturale con l’ausilio di una chitarra levatrice che mi guidò le dita su un accordo di Mi minore: non proprio il massimo per comporre qualcosa di allegro. Eppure il fiore dell’allegria quella mattina sbocciò. Nacque e barrì. Anzi, cantò. E il suo canto non fu simile ad alcun altro: unico anche in questo, nei suoi sei distinti momenti musicali. Sì, quella mattina mi nacque un figlio davvero… diverso. E lo spartito? Eccolo, scritto con accurata calligrafia in tempi successivi. La creazione è sempre caotica, la stesura però, poi, deve essere precisa. Quella che vediamo è la copia spedita alla SIAE per il deposito della canzone. Ora vi chiederete il perché di questa mia fissazione sui gay, e forse vi sarete già risposti… Ma sbagliate. Anch’io a un certo punto mi feci marzullianamente la fatidica domanda, dandomi, com’è d’uopo, l’imprescindibile risposta: questo battere e ribattere sul tema era senz’altro attribuibile al mio interesse per tutto ciò che mi è estraneo, che non conosco, che mi è diverso. Infatti non c’è uno più eterosessuale di me, plurisposato, pluripadre, innamorato delle donne come pochi, uno purtroppo incapace, fin da quando ancora giocava col secchiello sui greti dei fiumi, di immaginarsi anche solo sfiorare la pelle di un maschio. Dico purtroppo perché è un limite, ma non posso oppormi alla natura. E mi va bene così. Dopo questo imbarazzantecoming outal contrario, non sufficientemente suffragato, mi rendo conto, dal puerile tentativo di alibi fotografico (ma avevo pure dato un fiore alla bambinona dal costumino ascellare!), torniamo alla canzone. Lo scabroso argomento inizialmente incontrò qualche resistenza da parte della mamma della piccola interprete, personaggio importante in quanto promotrice e sponsor dell’operazione, che però poi, una volta ascoltato il provino, rimase del tutto convinta. Andava bene, anzi, benissimo. Incaricai l’amico Giulio Clementi, musicista bravo ed eclettico, di curare l’arrangiamento, e lui centrò in pieno lo spirito del pezzo, sempre sotto la mia supervisione. Ci volle molto più tempo per trovargli la veste musicale che per scriverlo: alcune indimenticabili notti in bianco nell’appartamento dabohémiendel musicista, posto nel centro storico di Firenze, guarda caso proprio a S. Ambrogio, vedi il destino.Enfin voilà: base fatta con comune soddisfazione. In uno studio di registrazione situato nel popolarissimo quartiere di San Frediano poi la ragazzina, che era di una intonazione rara, infilò alla grande con la sua vocina limpida tutta la canzone, che alla fine risultò un vero gioiellino. Colgo l’occasione per precisare per l’ennesima volta che la voce maschile nelriffnon è la mia. Me lo chiedono sempre. Ecco: adesso la parte artistica c’era, mancava la collocazione. Sarebbero stati così coraggiosi all’Ambrogino da accettare una bambina che cantava nel 1984, anno sinistramente orwelliano, una canzone sull’omosessualità? A proposito, per rendersi conto di un testo, la cosa migliore è leggerlo. Uaccadìuaccadùunghieasmalto rossouaccadìuaccadùzanne di lamèuaccadìuaccadùguarda com’ègrossouaccadìuaccadùsta arrivando… L’ElefanteGay con cinquanta neisparsi qua e là,che arie che si dà.Le mutande blu a pois,ciglia finte in su,si sa,non nasconde piùla suavera identità. L’elefante gay,non piùlui ma lei,gli occhi dolci fa con ambiguità,il vizietto lui ce l’ha,colgiudizio altrui ci faun gioiello per la suafemminilità. ElefanteGay,ElefanteGay,ElefanteGay…che simpatico che sei! Uaccadìuaccadùunghieasmalto rossouaccadìuaccadùzanne di lamèuaccadìuaccadùguarda com’ègrossouaccadìuaccadùsta arrivando… L’ElefanteGay,oraètutto ok,la virilitàl’ha attaccata al tram,con le orecchie lui ci fadeltaplani e poi si dàsvolazzando a chi gli vacon avidità. ElefanteGayElefanteGayElefanteGay…che simpatico che sei! …………………… Il vizietto lui ce l’ha,si distende sui lillà,se gli piaci poi ti fa:“Bello vieni qua!” ElefanteGayElefanteGayElefanteGay…che simpatico che sei! Uaccadìuaccadùunghieasmalto rossouaccadìuaccadùzanne di lamèuaccadìuaccadùguarda com’ègrossouaccadìuaccadùl’ElefanteGay… Sì, all’Ambrogino furono coraggiosi: in quegli anni, sembra assurdo, c’era più apertura mentale di adesso. Lo sapevo bene io, che alla radio frantumavo impunemente ogni convenzione loquiale, cosa che oggi non potrei fare senza rischiare pesanti conseguenze. Pier Quinto Cariaggi, direttore artistico, e Lara Saint Paul, famosa cantante e presentatrice dell’evento, accolsero senza storcere il naso quell’elefantino anticonvenzionale, e alla loro memoria va tutto il mio apprezzamento: oggi, paradossalmente, sarebbe molto più arduo piazzare in un festival infantile il mio ingombrante elefante, ma anche allora, benché il “politicamente corretto” non avesse ancora avvelenato il linguaggio, non era cosa da poco. Anzi. Per farla breve, “L’Elefante Gay” entrò in finale, e passò due volte in diretta su Rai Due. Erika appariva sia nella sigla iniziale che in quella finale della trasmissione, in onda, dopo una prima giornata di selezioni, per due puntate il 6 e il 7 dicembre, festa di S. Ambrogio, patrono di Milano, nel grande spazio del Palalido. Complimenti anche alla Rai per il coraggio, una volta tanto. La stessa Rai che metteva le mutandone alle ballerine e censurava canzoni come “Tua” e “Disperato erotico stomp” lasciò che una bambina cantasse di un elefantino omosessuale che“si dà svolazzando a chi gli va con avidità”, e che“se gli piaci poi ti fa: Bello vieni qua!”, uno che“la virilità l’ha attaccata al tram”, che è“non più lui ma lei”e…“il vizietto lui ce l’ha”. E di che vizietto si trattasse era evidente, dopo il successo dei film omonimi del 1978 e del 1980, che avevano reso questa definizione proverbiale. Per non parlare dell’allusivo e ricorrente“guarda com’è grosso”… Mi stupii, sinceramente, di tanta apertura, avrei giurato che la canzone per motivi strategici venisse stroncata alle selezioni, proprio allo scopo di evitare la sua andata in onda sulla TV di Stato, e invece passò. A me piace molto il dietro le quinte, vi si fanno incontri da ricordare, e l’osservazione dei comportamenti dei vari personaggi che abitano questo spazio ai confini della realtà è molto istruttiva per un osservatore come me. Potrei scrivere un trattato in merito, e chissà che prima o poi non lo faccia. Per la finale dell’Ambrogino gli ospiti d’onore della trasmissione erano due gloriosi cantanti della vecchia guardia, Nilla Pizzi e Giorgio Consolini, che credo a quell’epoca si esibissero insieme, poi c’erano Fabrizio Frizzi e Roberta Manfredi, il duo che aveva dato vita al fortunato programma per ragazzi “Tandem”, e, visto il carattere sportivo del palazzetto in cui ci trovavamo, troneggiava Dino Zoff, mitico portierone da poco ex. Non mancava un gruppo di fresche medaglie olimpiche di Los Angeles ‘84 di cui avrò modo di riparlare. Io per la verità ero parecchio distratto dal prominente “dietro le quinte” della figlia di Nino Manfredi, ma non potei resistere al largo sorriso di un giovane Fabrizio Frizzi, che si avvicinò premuroso e mi chiese se fossi un papà o un autore, e, ricevuta risposta, quale fosse il titolo della mia canzone. Glielo dissi. Lui rimase un po’ interdetto, e ripeté: “L’elefante…”. “Gay”. “Ah… Ho capito”, e di nuovo il viso gli si allargò in uno dei suoi sorrisi irresistibili. Dandomi la mano mi disse: “Complimenti!”, ma non mi sembrava del tutto convinto. Altissimo e gentilissimo sì, però. Lì vicino c’era la regina della canzone, la grande Nilla, che intervenne: “Sorbole!”. Dino Zoff si chiuse in un impenetrabile silenzio. Lara Saint Paul:“Ti piace la tua canzone?”.Erika:“Sì, è buffa”.La miglior risposta. L’esibizione di Erika fu spettacolare. Dico subito che era tutto in playback, cosa che dava modo ai piccoli interpreti di animare le loro esecuzioni a piacere. Erika danzò leggera e acrobatica seguendo una precisa coreografia che si era accuratamente preparata. Potete vederla e sentirla qui: E per vederla da adulta… basta continuare a leggere. Senza farsi per niente intimidire dal muro di persone assiepate sulle gradinate lei volò insieme al suo elefantino.